MOSCA BARZI, Francesco Maria
– Nacque a Pesaro il 16 settembre 1756 dal marchese Carlo, conte Barzi, e dalla contessa Francesca della Branca di Coccorano, di casato eugubino. La famiglia era di origine bergamasca e si era trasferita agli inizi del XVI secolo a Pesaro dove, nel corso di due secoli, era divenuta una delle maggiori della città per antichità di origini, patrimonio e legami parentali.
La sorella Virginia sposò il conte Giacomo Leopardi di Recanati, padre di Monaldo e nonno del poeta, che non sembra aver conosciuto di persona il prozio pesarese. A differenza però dei Leopardi, i Mosca Barzi rappresentarono quel patriziato illuminato che, convertitosi alle idee di un temperato giacobinismo, accettò il nuovo corso politico inaugurato dall’arrivo dei francesi e non disdegnò la partecipazione agli affari politici in età napoleonica. Il padre Carlo (1720-1790), nipote del cardinale Domenico Passionei, si era distinto per intensa religiosità e vasta erudizione, fondando l’Accademia per lo studio della Sacra scrittura, e avviando la stamperia Amatina, un’intrepida attività tipografico-editoriale, alla cui direzione aveva posto il savignanese Pasquale Amati. Tra le sue opere vanno ricordate le Lettere sopra la limosina (1765), che suscitarono scandalo per l’atteggiamento di rottura verso la teologia tridentina e furono poste all’Indice, la Biblioteca antica e moderna di storia letteraria (1766-68, in sei tomi) e la Collectio Pisaurensis omnium poëmatum, carminum, fragmentorum latinorum (1766, in sei tomi), ricordata e lodata nel VI tomo dei Mémoires di Giacomo Casanova, ospite nella villa dei Mosca nel corso del suo terzo passaggio a Pesaro.
Mosca Barzi studiò presso il Collegio dei Nobili di Parma, istituto noto in tutta Europa e fucina della cultura umanistica, giuridica e cavalleresca, avendo come maestri Anton Maria Grondoni, docente di logica e metafisica, e padre Ubaldo Cassina, professore di filosofia morale, fautore delle idee gianseniste e divulgatore di Rousseau, Condillac e Bonnet; con questi maestri intrattenne una lunga corrispondenza e Cassina gli indirizzò nel 1778 nove Lettere filosofiche, stampate nel 1779 nella tipografia Amatina. A Parma acquisì notorietà nei circuiti culturali: venne eletto Principe nell’Accademia degli Scelti e nel luglio 1775 sostenne pubblicamente un dibattito filosofico (Proposizioni di filosofia morale sostenute in pubblica disputa) che, dedicato a don Ferdinando di Borbone e volto a conciliare i principi illuministici con quelli cristiani, conobbe un tale successo da venir pubblicato nella Reale Stamperia e da trovar eco nella Gazzetta di Parma (18 luglio 1775). Don Ferdinando ricompensò il pesarese con la nomina a gentiluomo della sua Camera ducale (novembre 1775), dignità conservata fino al 1791. Con tutta probabilità nel 1784 si sposò con la marchesa Beatrice Imperiali dei principi di Sant’Angelo: dall’unione nacquero tre figli (Costante, Benedetto e Margherita), ma la moglie non seguì il consorte nei diversi incarichi pubblici e gli premorì nell’aprile 1811.
Rimase a Parma fino al 1792. Rientrato a Pesaro, riprese a vivere more nobilium, coltivando gli studi umanistici e filosofici e sostenendo la vita culturale locale.
Ottenne dal custode generale d’Arcadia l’autorizzazione ad aprire in Pesaro una nuova «colonia», inaugurando un’Accademia letteraria nella villa avita di Caprile, della quale fu nominato vicecustode. All’adunanza del 26 agosto 1792 presero parte personalità come Francesco Maria Mazzolari e Antonio Gavardini e, dietro la simulazione di ‘svago innocente’, diverse composizioni esaltarono l’assolutismo illuminato.
Con l’ingresso dei francesi a Pesaro (5 febbraio 1797) la sua vita conobbe un radicale cambiamento. Insieme al marchese Alessandro Baldassini, ad altri esponenti di famiglie nobili (Cassi, Ronconi) e a qualche ecclesiastico, simpatizzò per le idee francesi e il 6 febbraio ospitò, nel palazzo di famiglia, il generale Bonaparte, che si fermò una seconda volta nella residenza il 20 seguente, dopo aver firmato il trattato di Tolentino. Il 7 febbraio, con ordinanza emanata da Bonaparte, Mosca Barzi fu nominato primo membro dell’Amministrazione civica provvisoria del Ducato e Legazione di Urbino e indirizzò ai cittadini della provincia un proclama in cui professava fedeltà all’‘Eroe Bonaparte’ e ai principi repubblicani.
Dopo essere tornata per nove mesi sotto la dominazione pontificia, Pesaro si rese di nuovo indipendente il 21 dicembre 1797, grazie all’appoggio dalle truppe cisalpine: si costituì una Municipalità provvisoria, composta da democratici e moderati della prima fase, della quale Mosca Barzi fu nominato membro, venendo di lì a poco inviato a Milano per ottenere la riunione della città alla Cisalpina; successivamente, grazie alle capacità diplomatiche dimostrate, divenne presidente della Municipalità. Tornato a Pesaro, si trovò ad affrontare questioni politiche, amministrative, finanziarie e soprattutto l’ostilità di diversi proprietari e del vescovo locale Giuseppe Beni, un eugubino forzatamente emigrato da Carpentras, investito della mitra da Pio VI nel 1796.
I provvedimenti che Mosca Barzi assunse sin dalla fine del 1797 attestarono la scelta laica e giacobina. Richiese al vescovo di sopprimere la disposizione sulla chiusura natalizia delle botteghe (23 dicembre 1797) e di revocare, vista la carenza di generi alimentari, il divieto d’uso delle carni durante la Quaresima (17 febbraio 1798); comunicò a nome della Municipalità il decreto di soppressione di alcuni conventi (21 febbraio) e ricordò ai parroci che, in quanto pubblici funzionari, erano unicamente subordinati all’autorità civile (27 febbraio); inoltre notificò al vescovo che il testo della Costituzione Cisaplina, in vendita presso la stamperia Gavelli, doveva essere acquistato e spiegato dai parroci alla popolazione.
Nel luglio 1798 ritornò a Milano per dirimere la spinosa questione, sorta in seguito all’annessione di Pesaro, dei confini tra la Cisalpina e la neonata Repubblica Romana. Risolta la controversia a vantaggio della città natale, venne eletto nel settembre tra i Juniori del Gran Consiglio, organo di cui divenne presidente nel dicembre 1798.
Il 28 aprile 1799, con l’occupazione di Milano da parte degli austro-russi, ebbe inizio la restaurazione e Pesaro fu occupata dagli ‘insorgenti’ il 7 giugno successivo. Catturato dagli austriaci a Bologna, tradotto in stato di arresto a Pesaro il 5 ottobre 1799 e sottoposto a giudizio politico, Mosca Barzi chiese perdono al vescovo e ritrattò pubblicamente il proprio passato, sconfessando il giuramento civico e le idee coltivate; nella circostanza intervenne in sua difesa il nipote Monaldo Leopardi. Tornati i francesi in Italia, riprese, nel giugno 1800, il cammino democratico interrotto dalla reazione, venendo nominato municipale di Pesaro e poi membro dell’Amministrazione centrale di Forlì. Nell’agosto 1800 la sua attività politica si spostò a Milano, dove si stabilì definitivamente dopo aver ceduto il patrimonio ai figli e aver ottenuto la cittadinanza del Dipartimento del Serio. In ascesa costante, la sua carriera beneficiò di potenti amicizie (Aldini, Felici, Paradisi) e del favore di Francesco Melzi d’Eril: nel maggio 1802 fu nominato commissario straordinario di governo e viceprefetto di Verona, assumendo le funzioni il 6 giugno; il 29 settembre 1804 fu trasferito a Brescia come prefetto del Mella e il 19 luglio 1906 – poco dopo essere stato nominato da Napoleone commendatore della Corona di Ferro (1° maggio 1906) – divenne prefetto del Reno, a capo cioè di Bologna, la seconda città per importanza del Regno.
È vero che in questi anni la sua vita fu costellata anche da aspirazioni fallite (come quelle di farsi destinare al Dipartimento del Rubicone nell’aprile 1802, di venir trasferito a Parigi come collaboratore del ministro delle Relazioni estere sul finire del marzo 1803, di diventare ministro degli Interni della Repubblica Italiana nella primavera del 1805 e poi, nel 1808, di essere nominato senatore), nondimeno amministrò con capacità, preparazione e giudizio, affrontando problemi complessi e meritando gli encomi delle autorità imperiali. Certe sue fisiologiche alterigia, energia e avversione verso le posizioni concilianti consolidarono la fama di funzionario fermo e risoluto.
Napoleone lo nominò, l’8 ottobre 1809, barone del Regno d’Italia e, il 10 seguente, consigliere di Stato uditore e direttore generale della polizia. All’apice della carriera, agì con prudenza e fermezza, conservando la protezione dei vertici statali, garantendo la pubblica tranquillità e affrontando la coscrizione obbligatoria, la delinquenza, il brigantaggio, la pirateria in Adriatico, le prepotenze a danno delle popolazioni, gli episodi di malversazioni e di resistenza passiva da parte dei funzionari civili e la capillare ostilità del clero rimasto fedele al pontefice.
Colpito da una malattia progressiva, morì a Milano il 15 dicembre 1811.
La morte fu ricordata dai giornali milanesi e ai funerali parteciparono le più alte autorità civili e militari. Il fatto che nel VI capitolo della Chartreuse de Parme Stendhal, ospitato a palazzo Mosca, abbia dato al potente ministro del principe di Parma il cognome Mosca ha portato gli studiosi a elaborare diverse teorie circa la possibilità che tale scelta fosse stata dettata dalla realtà storica. La politica filofrancese e napoleonica, l’esperienza parmense e altre analogie tra il personaggio storico e quello della Chartreuse (tra cui il predicato a lui attribuito, della Rovere Sorezana, che ricorda uno dei più famosi casati del Pesarese) fanno propendere per una scelta determinata dalla congiuntura storica. D’altra parte, la scomparsa del manoscritto e delle bozze di stampa, la mancanza di correzioni e l’assenza di qualsiasi altra annotazione a riguardo da parte di Stendhal fanno sì che la questione resti insoluta.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, fondo Aldini, cart. 26, f. 40, Promemoria di F.- M. B., e fondo Melzi, cart. 34, 43-44; Forlì, Biblioteca Comunale, Collezioni Piancastelli, Carte di Romagna, Autografi, Romagna Risorgimento. G. Compagnoni, Elogio funebre in morte del Signor conte F. M.B. di Pesaro, Milano 1811; M. Leopardi, Autobiografia, a cura di A. Avoli, Roma 1888, cap. XVIII, pp. 24, 152-155; T. Casini, Pesaro nella Repubblica Cisalpina (Estratti dal «Diario» di D. Bonamini), Pesaro 1892, passim; D. Spadoni, M.B., F.M., in Dizionario del Risorgimento Nazionale, III, Milano 1933, p. 661; E. Mondaini, Le nostre glorie: profili di pesaresi illustri, Pesaro 1934, p. 31; I carteggi di Francesco Melzi d’Eril, a cura di G. Zaghi, Milano 1958-66, ad nomen; S. Caponetto, Il Giacobinismo nelle Marche. Pesaro nel triennio rivoluzionario, in Studia Oliveriana, X (1962), pp. 7-121; Id., Il marchese Carlo Mosca e le sue «Lettere sopra la limosina», ibid., XI (1963), pp. 55-71; A. Brancati, Una statua un busto e una fontana di Lorenzo Ottoni. Pagine di storia pesarese, Pesaro 1981, pp. 311-315; R. De Cesare, Per una questione di onomastica stendhaliana: il conte Mosca, in Rivista italiana di studi napoleonici, 2 (1983), pp. 9-63; A. Brancati, Pesaro nella bufera della rivoluzione. Spunti di riflessione sul mito della palingenesi e dei suoi adattamenti, in 1789: la rivoluzione e i suoi miti, a cura di B. Consarelli, Pesaro 1983, pp. 393-410; L. Antonielli, Prefetti dell’età napoleonica, Bologna 1983, ad nomen; D. Fioretti, Persistenze e mutamenti dal periodo giacobino all’Unità, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Le Marche, a cura di S. Anselmi, Torino 1987, pp. 64-65; I. Corsini, Giuramenti e ritrattazioni a Pesaro nel periodo napoleonico, in Lo Stato della Chiesa in età napoleonica, Fonte Avellana 1995, pp. 213-226; A. Brancati - G. Benelli, Divina Italia. Terenzio Mamiani della Rovere cattolico liberale e il risorgimento federalista, Ancona 2004, pp. 14, 34; P. Bellucci, La Chiesa pesarese nel periodo napoleonico, Pesaro 2010, pp. 6-20.