MOSCOFORO e CRIOFORO (Μοσχοϕόρος; Κριοϕόρος)
Il motivo dell'uomo che porta un animale sulle spalle, un vitello (μόσχος) o un capretto (κριός) compare nell'arte greca fino dal VII sec. a. C. ed ha una notevole diffusione sia, soprattutto, nel periodo arcaico, sia nei secoli posteriori e nell'ellenismo, da dove poi passa nell'arte romana e in quella cristiana (v. buon pastore).
È possibile, benché non tutti gli studiosi siano disposti ad ammetterlo, che l'introduzione iniziale del tema sia dovuta all'influenza di rappresentazioni orientali, analoghe o dello stesso tipo, anche se di significato diverso. Si possono citare a questo proposito, tanto per fare un esempio, alcuni rilievi neo-hittiti da Cerablus e da Zincirli, datati dal Bossert forse già all'VIII sec., che presentano la processione di un certo numero di persone recanti l'offerta di un animale (probabilmente un capretto), tenuto appunto sulle spalle.
La prima testimonianza del motivo in Grecia è costituita da una figurina aurea, stampata in doppia lamina, proveniente dal dròmos di una tomba a thòlos di Cnosso (museo di Candia), generalmente datata alla prima metà del VII sec. a. C. Insieme con questo c. maschile, che indossa un aderente chitonisco con bordo decorato e presenta due lunghi riccioli che gli scendono davanti sul petto, è stata trovata anche la parte superiore di un c. femminile, figurazione invero del tutto eccezionale. Piuttosto discussa è la posizione cronologica e stilistica della famosa statuetta bronzea di c. del museo di Berlino (proveniente da Creta; v. greca, arte, fig. 1292), la cui datazione ha oscillato dalla metà del VII sec. (Neugebauer, che l'attribuisce al I Dedalico), fino al pieno VI sec. (Lamb); il Jenkins, probabilmente con ragione, la ritiene subito postdedalica, databile perciò a poco dopo il 620 a. C. La figura è rigidamente verticale, con i piedi uniti; indossa soltanto una specie di perizoma, di tradizione minoico-cretese; tiene ambedue le braccia sollevate quasi a sorreggere sopra la testa il capretto, che è poggiato sulle sue spalle in posizione perfettamente orizzontale. Il legame fra i due elementi è puramente formale, espresso soltanto dal leggero piegamento in avanti della testa dell'uomo sotto il peso materiale dell'animale. Si tratta in realtà ancora di due figure separate. Ciò non si verifica invece nel caso del celebre M. dell'acropoli di Atene che costituisce la più alta e compiuta espressione di questo motivo nell'arte greca; qui non si tratta più di una giusta opposizione di due elementi, ma di una composizione le cui singole parti sono veramente inseparabili, perché fuse in un insieme unico. Siamo in realtà di fronte al primo vero e proprio gruppo dell'arte greca. Il carattere particolare dell'opera è dato dal motivo serrato delle braccia e delle zampe sul petto dell'uomo; dal fatto che il vitello non è tenuto in una rigida posizione orizzontale sulle spalle, ma vi poggia comodamente, accompagnandone quasi l'andamento; la testa dell'animale poi non è verticale, ma si inclina leggermente verso quella dell'uomo.
La statua, in marmo dell'Imetto, fu trovata sull'acropoli di Atene nel 1864; nel 1887 si rinvenne la base in pòros (sulla quale è rimasta la piattaforma su cui poggia la gamba destra), che reca l'iscrizione con la dedica di questo dono votivo da parte di un personaggio, il cui nome, mancante della prima lettera, è stato quasi universalmente integrato come Rhombos (è stato proposto anche Khombos). La figura ha il piede sinistro lievemente spostato in avanti; indossa un leggero mantello che, privo di pieghe, scende dalle spalle fino ad arrivare alle ginocchia, restando strettamente aderente al corpo che è lasciato interamente scoperto al centro. La capigliatura, in grosse perle, tenuta raccolta da una sottile benda, descrive un arco sulla fronte, e, passando dietro alle orecchie, ricade sul davanti in tre grosse trecce per parte. La barba a punta (ora spezzata all'estremità) incornicia la parte inferiore del viso. La datazione più probabile dell'opera, dotata di grande unità e chiarezza, capolavoro di un ignoto scultore attico, è quella proposta dal Payne al decennio 570-560.
Ad Atene il tema del m. risulta isolato e mancano ovunque, nel VI sec., gruppi bronzei o marmorei da potergli paragonare. Nelle arti minori di questo periodo la rappresentazione del motivo si presenta solo in opere secondarie. Dalla regione del monte Lykaion in Arcadia proviene un bronzetto (Museo Nazionale, Atene) che raffigura un pastore in corta tunica, calzari e un cappello conico, che tiene un vitello sulle spalle; databile al 520-530, mostra come, solo pochi decenni dopo Rhombos, anche in questa produzione secondaria, uomo e animale siano sentiti tanto strettamente uniti, che il vitello può essere sorretto dal suo portatore con una sola mano.
La vasta diffusione del motivo e la sua continuità nel tempo è attestata poi dal ricco numero di bronzetti, terrecotte, monete e altri oggetti con raffigurazioni di m. o c., provenienti un po' da ogni parte della Grecia nonché dell'Italia meridionale e sparsi nei più diversi musei e collezioni private.
Per un certo numero di essi, appartenenti al V e al IV sec. a. C., è stata sostenuta o avanzata, su basi più o meno attendibili, l'ipotesi della derivazione dal celebre Hermes crioforo di Tanagra, scolpito, come statua di culto per un santuario di questa città da Kalamis. Di questa opera ci dà notizia Pausania (ix, 22, 1), il quale narra la leggenda locale beotica, secondo la quale Hermes aveva liberato la città da una pestilenza portando in giro, attorno alle mura, un ariete, e dice che per tale ragione Kalamis aveva scolpito una statua di culto del dio "ϕέρων κριὸν ἐπὶ τῶν ὤμων". Aggiunge poi che in occasione della festa della divinità veniva scelto il più bello fra gli efebi, che, con un ariete sulle spalle doveva fare il giro della città. Il culto del Crioforo sembra dunque uno dei più importanti di Tanagra, e senza dubbio, ne devon restare tracce su monete e statuette votive. Ed è ugualmente verosimile che questi piccoli monumenti si saranno richiamati in un modo o in un altro alla statua calamidea. Si conservano monete tanagree dell'età degli Antonini con una immagine piuttosto rigida di un crioforo nudo, giovanile con un ariete sulle spalle; statuette fittili tanagree molto numerose, tutte appartenenti al V sec., presentano Hermes con la tipica κυνῆ beotica, un corto mantello e l'ariete sulle spalle. Di influenza calamidea sono considerati ancora: l'Hermes crioforo su un rilievo di un'ara quadrangolare ateniese; l'Hermes della Collezione Pembroke, e, in particolare, l'Hermes Barracco (v. hermes, fig. 5). Tale statua, rinvenuta nei pressi di Roma, è una copia di età romana da un originale bronzeo. Conformemente alla più comune tipologia beotica, differente da quella attica, Hermes è raffigurato in aspetto giovanile e imberbe. È chiara in quest'opera la tendenza dell'artista ad arcaizzare di proposito. È stato notato come la particolare posizione della testa dell'animale, decisamente rivolta verso Hermes, sembri voler conferire ad esso una evidente attribuzione di dio pastore. Il legame, diverso da quello dei m. più antichi, finora considerati, dove l'animale è vittima o offerta votiva alla divinità, potrebbe non essere qui casuale, ma effettivo e voluto in connessione con la citata leggenda narrata da Pausania, riguardo all'Hermes di Tanagra, di cui questa statua è senz'altro probabile che rappresenti in qualche modo una derivazione. Va ricordato d'altronde che Hermes, così come Apollo con l'appellativo di Karnèios, sono le due divinità delle greggi per eccellenza; e bisogna considerare inoltre (pur senza arrivare a chiamare Apollo o Hermes ogni figura di m.), che esistono già nel VI sec. delle rappresentazioni, alcune certe, altre molto probabili, dell'una e dell'altra divinità recante un vitello o un capretto. È questo il caso di due bronzetti provenienti dall'Arcadia, uno ad Atene, l'altro a Berlino, databili rispettivamente alla metà e al terzo venticinquennio del VI secolo. Essi appartengono all'altro tipo di m., quello in cui l'animale è tenuto davanti al petto o, come in questi due esempî, lateralmente sotto il braccio sinistro. Questo motivo, per il quale meno discussa e incerta è la derivazione orientale (cfr. per esempio un bassorilievo da Khorsābād al Louvre, con una scena di offerta al sovrano), pur diverso iconograficamente dall'altro, ne rispecchia esattamente tutti i varî siguificati e valori di contenuto. Come tipo risulta in realtà un po' meno diffuso del precedente, ma è ugualmente conosciuto nell'arte greca, sia in opere di arte minore, sia in grandi statue marmoree. Alla prima categoria appartengono, oltre i due bronzetti citati, alcune raffigurazioni sulla ceramica, come la coppa di Sosias da Vulci a Berlino, e altri numerosi bronzetti, pure provenienti da varie località dell'Arcadia, che rappresentano pastori, di solito vestiti con corta tunica, pètasos, o cappello conico, che recano un capretto, talvolta piccolissimo, sotto un braccio.
Nella seconda categoria vanno annoverati: 1) il gigantesco Crioforo di Thasos: tiene il capretto lungo il corpo, appoggiandolo soltanto contro il petto con il braccio sinistro piegato; l'altro braccio cadeva giù nella posa tradizionale, aderente al corpo. Le gambe indicano una posizione di leggero movimento. La figura è stata più volte interpretata come una divinità (appunto Hermes o Apollo) piuttosto che come un sacrificatore. 2) L'Hermes crioforo di Olimpia, opera di Onatas di Egina e di suo figlio Kalliteles, dedicato dagli Arcadi di Phenea. Ne abbiamo notizia da Pausania (v, 27, 8): indossava chitone, clamide e il tipico copricapo e teneva τὸν κριὸν ὑπὸ τῃ μασχάλῃ. Di questa statua qualcuno credeva di poter vedere un riflesso in alcune monete eginetiche; esse presentano però un tipo di m. con l'animale sulle spalle; l'ipotesi non è perciò ammissibile, anche se, come si è detto, il significato intimo della figura non muta col variare della tipologia. E non si può pensare ad un errore da parte di Pausania, che aveva potuto vedere il gruppo ancora al suo posto ad Olimpia.
Rappresentazioni di m. e c. continuano nell'arte ellenistica e poi nell'arte romana; in alcuni casi il significato è assai vicino a quello dei classici m. greci; molto spesso il motivo si trova in scene di paesaggi e in scenette di genere, con specifico significato pastorale, nelle quali compaiono divinità, semidei, pastori illustri della mitologia o anche semplici pastori con un animale sulle spalle. Di un valore particolare può essere rivestito il bronzetto di Rimat in Siria, che, proveniendo da un santuario dedicato al Sole, deve essere immagine del dio pastore e non rappresentazione generica.
Nell'arte cristiana, la figurazione del Buon Pastore (v.), in uno dei suoi tipi, si ricollega senz'altro strettamente, quanto alla iconografia, a tutta la serie delle figurazioni pagane, greche e romane di m. o c., assume in parte un significato nuovo, che trova però anch'esso la sua prima origine nel significato di quelle rappresentazioni greche in cui il rapporto fra uomo e animale non è quello di vittima e sacrificatore, ma di divinità o uomo e creatura protetta o compagna.
Monumenti considerati. - Bassorilievo da Khorsābād: Perrot-Chipiez, Histoire de l'art dans l'ant., ii, p. 109, fig. 29. Rilievi hittiti: H. Th. Bossert, Altanatolien, Berlino 1942, figg. 844, 910, 954. C. aureo da Cnosso: J. Dunbabin, in Journ. Hell. St., lxiv, 1944, p. 68, tav. x; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, pp. 43, 164, n. 155. Crioforo di Berlino: E. Kunze, in Ath. Mitt., Lv, 1930, p. 16o ss.; W. Lamb, Greek and Roman Bronzes, Londra 1929, p. 84, tav. 25 b; K. A. Neugebauer, Die minoischen und archaisch-griechischen Bronzen (Staatliche Museen zu Berlin, Katalog der statuarischen Bronzen im Antiquarium, 1), Berlino-Lipsia 1931, p. 61, n. 158, tav. 13; R. J. H. Jenkins, Dedalikà, Cambridge 1936, pp. 11, 82 ss.; L. Alscher, Griechische Plastik, Berlino 1954, p. 63. M. di Atene: A. Conze, Kalbträgender Hermes, in Arch. Zeit., 1864, p. 169-73, tav. 187; F. Winter, Der Kaibtràger und seine kunstgeschichtliche Stellung, in Ath. Mitt., 1888, p. 113 ss.; A. Maas, Eine neue Deutung des Kalbträger im Akropolis Museum, in Philologus, 1889, p. 155; G. Dickins, Catalogue of the Akropolis Museum, vol. I, 1912, p. 156 ss., n. 624; W. H. Schuchhardt, in Die archaischen Marmorbildwerke der Akropolis, herausgegeben von H. Schrader, 1939, p. 278 ss., n. 409; H. Payne G. Mackworth - Young, Archaic Marble Sculptures from the Acropolis2, pp. 1 ss., 67, tav. 2-4. Hermes crioforo del Museo Barracco: G. Lippold, Griechische Plastik (Handbuch der Archaeologie), v, Monaco 1950, p. 111. Bronzetti arcadici: W. Lamb, Arcadian Bronze Statuettes, in Ann. Brit. School Athens, xxvii, 1925-26, p. 133 ss.; K. A. Neugebauer, Die minoischen und arcaisch-griechischen Bronzen, cit., p. 67 ss., n. 165-68, tavv. 23, 24, 26. Crioforo di Thasos: C. Picard, Fouilles de Thasos, Sculpture, in Bull. Corr. Hell., xlv, 1921, p. 113 ss.; G. Welter, in Arch. Anz., 1925, p. 331; G. M. A. Richter, Kouroi, Londra 1960, p. 34, fig. 84-6. Coppa di Sosias: J. C. Hoppin, Red-fig., ii, p. 422-23.
Bibl.: M. A. Veyries, Les figures criophores dans l'art grec, l'art grec-romain et l'art chrétien, in Bibliothèque des écoles françaises d'Athènes et de Rome, 1884, p. 39 ss.; C. Picard, in Bull. Corr. Hell., XLV, 1921; H. Payne-G. G. Mackwort-Young, Archaic Marbles Sculptures from the Acr.2, Londra 1936, pp. 1 ss., 67 tav. 2-4; E. Kunze, in 109. Berl. Winckelmannspr., 1953; W. Schiering, Der Kalbträger, Brema 1958.
Per le altre sporadiche rappresentazioni di m. e c., oltre l'elenco pressoché completo del Veyries, v.: Fasti, II, 1947, n. 160; Fasti, X, 1955, n. 1887, fig. 41 (terrecotte da Gela); F. Benoît, Le dieu accroupi criophore de Vesoul, in Ogam, VII, 1955, p. 351.
(S. De Marinis)