MOSE del Brolo
MOSÈ del Brolo. – Di cospicua famiglia bergamasca, originaria della località suburbana di Brolo, si può congetturare sia nato intorno alla fine dell’XI secolo.
La sua vita è divisa in due periodi dall’andata a Costantinopoli: del primo, per cui non soccorrono testimonianze documentarie, si può ricavare qualche notizia dalla sua opera più significativa, il Liber Pergaminius, poemetto incompiuto di 372 esametri caudati, documento di notevole perizia versificatoria, sostenuta da una metrica rigorosa d’imitazione ovidiana, e fonte fondamentale della storia di Bergamo e, in particolare, delle origini del Comune.
Nella narrazione, suddivisa in distinte sezioni di 150 versi, hanno parte precipua gli elogi dei luoghi exteriora e interiora della città, di cui viene celebrato soprattutto l’esemplare ordinamento politico («Non alias tante leges aut civica jura/aut decus aut pietas viget aut concordia pura./Tradita cura viris sanctis est hec duodenis,/qui populi jussis urbis modernatur habenis./Hi sanctas leges scrutantes nocte dieque/dispensant equo cunctis moderamine queque./Annuus his honor est», vv. 275-281). La concordia civile propagandata da Mosè acquista rilievo dall’inquieta storia precedente, dopo i contrasti tra i capitoli di S. Vincenzo e di S. Alessandro e la lunga vacanza vescovile, protrattasi dalla scomunica del potente Arnolfo (1098) all’elezione di Ambrogio dei Mozzo (1112; M.G. Bertolini, s.v. Ambrogio, in Diz. biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 707-710): quale parte avesse avuto Mosè in queste gravi vicende è impossibile dire. Ma nel Pergaminius si rivela fautore di Ambrogio e dei signori di Mozzo (Hinc prodire solent sapientum corda virorum/consiliis cedunt urbana negocia quorum,/ex quibus Ambrosius, quem plenitudo bonorum / ornat ab etatis puerilis tempore morum, vv. 111-114), collaborando col suo carme al piano di pacificazione del nuovo vescovo.
Certo i rapporti di Mosè con Ambrogio dovettero essere di stretta intesa, se proprio il fratello di Mosè, Pietro, ricopriva in quegli anni la carica di prevosto di S. Alessandro, di decisiva importanza per la pace religiosa della diocesi. Il poemetto indugia in disgressioni storiche e leggendarie, desunte da una ricca Lokalsage, e si interrompe dopo la celebrazione dell’eroica virtus di Fabio e della sua gente, splendido esempio proposto ai protagonisti della nascente civiltà comunale.
Al periodo costantinopolitano spettano invece le altre opere di Mosè: l’Expositio in grecas dictiones que inveniuntur in Prologis sancti Hieronymi, scritta su istanza di un chierico «nomine Paganus, Britannus genere», che in un prologo e 39 capitoletti traduce e commenta vocaboli greci (particolarmente esteso il cap. I: Quid sit «Homerocentonas» et «Virgiliocentonas»); l’Exceptio compendiosa de divinitus inspirata Scriptura, ossia «argumentum ortodoxe fidei de sancta Trinitate», versione dal greco di un opuscolo anonimo, tradotto, come informa il prologo: «cum presentim grecas litteras propter id potissimus didicisse me sim semper testatus ut ex eis in nostra, si quid utile reperirem quod nobis minus ante fuisset, debita devotione transverterem». Le due operette collocano Mosè nel canone esiguo degli occidentali conoscitori di lingua greca nel Medioevo.
In proposito, è preziosa la testimonianza di Anselmo di Havelberg, che nell’aprile 1136 sostenne a Costantinopoli una famosa disputa teologica: «Aderant quoque non pauci Latini, inter quos fuerunt tres viri sapientes, in utraque lingua periti, et litterarum doctissimi: Jacobus nomine, Veneticus natione; Burgundio nomine, Pisanus natione; tertius inter alios precipuus, Grecarum et Latinarum litterarum doctrina, apud utramque gentem clarissimus Moyses nomine, italus natione ex civitate Pergamo: iste ab universis electus est ut utrimque fidus esset interpres» (J.P. Migne, Patrologia Latina, CLXXXVIII, col. 1163). Di questo periodo restano due lettere di Mosè al fratello: una del 1128, dalla Dacia, ove Mosè era al seguito dell’imperatore Giovanni Comneno, è una sorta di opuscolo grammaticale greco-latino; la seconda, di cui si conserva l’originale, spedita da Costantinopoli nel 1130, è il più importante documento su Mosè. Contiene, tra l’altro, un minuto ragguaglio sulla sua situazione finanziaria, dopo il rovinoso incendio del quartiere venetico, in cui: «combusti sunt igitur omnes libri greci quos multo dudum labore quesiveram». La lettera informa della partecipazione alla campagna danubiana del Comneno «rursum me principis violentia procinctus laborem subire coegit», e preannuncia imminente il ritorno a Bergamo, di cui non si ha notizia e che probabilmente non avvenne mai.
Sono infondate le identificazioni variamente proposte con Mosè da Vercelli, arcivescovo di Ravenna dal 1144, e con un Mosè giurista, citato dai Glossatori. Cremaschi congetturò che Mosè fosse ancora autorevole e vivo intorno alla metà del secolo, parendogli di poterlo riconoscere nel «magister Moyses» citato in una lettera di Gerhoh di Reichersberg (J.P. Migne, Patrologia Latina, CXCIII, col. 489), d’accompagnamento al suo trattato sulle dispute dei Greci e Latini (v. Bergomum, XLVIII [1954], n. 1, pp. 49-58). Ma dopo la testimonianza anselmiana del 1136 non si ha certa notizia di lui.
Fonti e Bibl.: il Pergaminus è conservato unicamente dal ms. Σ. IV. 31 della Biblioteca civica di Bergamo, sec. XIV ex. XV in. (ma i vv. 75-86 hanno una tradizione frammentaria nella Vita sancte Grate di Pinamonte Brembati). La prima stampa fu allestita dal poeta bergamasco Achille Mozzi e pubblicata, in appendice al poema di lui Theatrum, dal figlio Mario nel 1596; Mozzi, che probabilmente disponeva di un manoscritto diverso da quello conosciuto, è responsabile di estese interpolazioni: tra l’altro accreditò, con falsi documenti, una tradizione locale che riteneva il Pergaminius opera di un Mosè Mozzi e composto nel 707; la leggenda pareva confermata da un’assurda glossa del manoscritto: «Dicitur quod cum quidam magister Moyses pergamensis, valens et probus homo in Scriptura, esset in curia imperatoris constantinopolitani […] composuit hunc librum ad preces ipsius domini imperatoris»; fu Muratori a denunciare con solidi argomenti – che trovarono localmente opposizione soprattutto a opera del bizzarro poligrafo Ferdinando Caccia – la falsificazione mozziana, nella prefazione alla stampa del poemetto in Rer. Ital. Script., V, pp. 521-536. Un’accurata edizione del Pergaminius fornì G. Pesenti nel Bollettino della Civica Biblioteca di Bergamo, VII (1913), 3, pp. 57-93 (con traduzione), preceduta da studi preliminari, ibid. VI, 4, pp. 1-31 e VII , 1, pp. 1-22, migliore anche di quella curata da G. Cremaschi in Mosè di Brolo e la cultura a Bergamo nei secoli XI e XII, Bergamo 1945 (in cui si leggono tutte le opere di Mosè, tranne l’Exceptio). All’edizione critica con commento allestita da G. Gorni in Studi medievali si rimanda per la dimostrazione che il poemetto è stato composto a Bergamo, prima della partenza di Mosè. L’Expositio, già attribuita a Mosè da G. Tiraboschi (Storia della letteratura italiana, III, 1795, p. 320 n.), ha una tradizione manoscritta discretamente vasta: si legge nelle edizioni di J.B. Pitra, in Analecta sacra Spicilegio Solesmensi parata, V, Paris 1883, pp. 125-134; F. Gustafsson, in Acta Societatis Fennicae, XXII (1897), n. 3; G. Cremaschi, in Mosè cit., pp. 153-195. L’Exceptio fu scoperta nella Bibl. di Nîmes, ms. 52, cc. 96-126 da C.H. Haskins, che provvide a stamparne il prologo in Moses of Bergamo, in Byzantinische Zeitschrift, XXIII (1914), pp. 133-142, e pubblicata per intero da G. Cremaschi, in Bergomum, XLVII (1953), 4, pp. 29-69. In quell’ottimo studio Haskins segnalò e trascrisse, dal ms. 52 della Bibl. nazionale del Lussemburgo, cc. 179-80, la lettera dalla Dacia (riedita in Mosè cit., pp. 197-200). La lettera da Costantinopoli si trova presso la Bibl. civica di Bergamo, fondo Capitolare, L, V 3698: edita da M. Lupi - G. Ronchetti, Codex diplomaticus civitatis et Ecclesiae Bergomensis II, pp. 949-952; B. Vaerini, Scrittori di Bergamo, I, Bergamo 1788, pp. 276 s.; G. Cremaschi, Mosè cit., pp. 141-150. Ai citati contributi si aggiungano: A. Mazzi, Mosè del Brolo e il “Pergamemo”, in Bergamo o sia Notizie patrie, Bergamo 1870; La origine del Consolato - il “Pergamenius” …, in Studi bergomensi, Bergamo 1888, pp. 1-49, e C. Capasso, Il “Pergaminius” e la prima età comunale a Bergamo, in Archivio Storico Lombardo, s. IV, XXXIII (1906), pp. 269-350; tra gli studi più generali sono di particolare interesse: F. Novati - A. Monteverdi, Le origini, Milano 1926, pp. 605-609; M. Manitius, Geschichte der Lateinischen Literatur des Mittelalters, III, München 1931, pp. 683-687; F. Pontani, Mosè del Brolo fra Bergamo e Costantinopoli, in Maestri e traduttori bergamaschi fra medioevo e rinascimento, a cura di C. Villa-F. Lo Monaco, Bergamo 1998, pp. 13-26; F. Ronconi, Il Paris. suppl. gr. 388 e Mosè del Brolo da Bergamo, in Italia Medievale e Umanistica, 47 (2007), pp. 1-27.