MONTEFIORE, Moses Haim
MONTEFIORE, Moses Haim (Ḥayyim). – Nacque a Livorno il 24 ottobre 1784 da Joseph Elias e da Raquel Mocatta.
La famiglia, originaria di Ancona, si era trasferita prima a Livorno e poi a Londra con l’intenzione di sviluppare le proprie attività commerciali. Nella capitale inglese, nel 1759, era nato Joseph Elias che aveva intrapreso la carriera di agente mercantile per conto della ditta familiare, i cui legami con Livorno si erano consolidati grazie soprattutto al commercio dei marmi di Carrara. In uno dei soggiorni nella città toscana era nato Moses Haim, dopo pochi mesi ricondotto a Londra. Compiuti gli studi nelle scuole israelitiche, a soli vent’anni conseguì la licenza di agente di cambio presso la Borsa di Londra, riuscendo a occupare uno dei 12 posti, molto richiesti e molto costosi, riservati agli ebrei. Assieme al fratello Abraham, sotto la ragione sociale «Montefiore brothers», avviò diverse iniziative commerciali che lo misero in contatto con i Rothschild. A rinsaldare i rapporti con questi, concorse nel 1812 il suo matrimonio con Judith Cohen, figlia di Levi Barent Cohen e sorella di Henriette, maritata nel 1806 con Nathan Mayer Rothschild, da poco stabilitosi a Londra.
Insieme ai Rothschild, i Montefiore impiantarono un’efficiente rete di sconti cambiari e di assicurazioni sulle merci, capace di raccogliere cospicui finanziamenti per le campagne militari in pieno svolgimento; tali affari si rivelarono molto lucrosi per l’abilità e la possibilità di scommettere alternativamente su Napoleone e sulle potenze a lui avverse. Il legame con i Rothschild fu particolarmente importante per i Montefiore in occasione della battaglia di Waterloo, quando Nathan Mayer Rothschild, avendo appreso prima di ogni altro – grazie alla sua capillare rete di agenti – la notizia della sconfitta napoleonica, riuscì a trarne congrui benefici di natura speculativa.
Nel 1824 morì il fratello Abraham e Moses, dopo aver accumulato un’ingente fortuna, prese la decisione di abbandonare l’ufficio di agente di Borsa l’anno seguente. Conservò, però, la carica di presidente di alcune compagnie nelle quali aveva investito: la Imperial Continental Gas Association, la Provincial Bank of Ireland, la British, Irish and Colonial Silk Company e l’Alliance Insurance Company, società concepita per ovviare alle difficoltà degli ebrei inglesi nel trovare compagnie disposte ad assicurarli sulla vita (perché si pensava vivessero troppo a lungo).
Nel 1827 Montefiore compì il primo viaggio in Terra Santa, rivelatosi decisivo per il suo futuro percorso. Dopo aver attraversato la Francia e l’Italia, si trovò coinvolto nella guerra d’indipendenza greca, scampando a un assalto di pirati e approdando fortunosamente ad Alessandria. Da qui si trasferì al Cairo, dove incontrò Mehemet Alì – uomo politico e capo militare considerato il padre fondatore dell’Egitto moderno – e a Gerusalemme, dove stabilì uno stretto contatto con la comunità ebraica locale; infine, mentre attraverso un tortuoso tragitto tentava di rientrare in Inghilterra, fu trascinato nella battaglia di Navarino. Ebreo professante, frequentatore assiduo della sinagoga, esponente di primo piano della comunità ispanica e portoghese di Londra, di ritorno dalla Terra Santa decise di assumere un ruolo attivo nell’azione più strettamente politica degli ebrei inglesi. Nel 1828, superati diversi ostacoli di ordine procedurale, entrò nel Board of deputies, l’organismo di rappresentanza della comunità ebraica in terra britannica, e si dedicò alla lotta per l’emancipazione degli ebrei. Nel corso degli anni Trenta, assieme a Nathan Rothschild, Lyon Goldsmid e David Salomons, promosse diverse iniziative per consentire agli ebrei di entrare in Parlamento, eliminando l’obbligo di dichiararsi «veri cristiani» e permettendo di giurare solo sull’Antico Testamento. Mentre si impegnava in quelle battaglie – ancor più dopo l’elezione a presidente del Board of deputies che resse ininterrottamente dal 1835 al 1874 – fu nominato fellow della Royal Society londinese e divenne membro del prestigioso Athenaeum Club.
La sua ascesa sociale fu testimoniata dall’acquisto, nel 1831, della fastosa residenza di Ramsgate, una tenuta di 24 acri già proprietà della regina Carolina, principessa del Galles. Nel 1835 sottoscrisse, ancora insieme a Rothschild, una porzione significativa del prestito emesso dal governo inglese per finanziare l’indennizzo riservato ai proprietari di schiavi danneggiati dall’abolizione della schiavitù. Due anni dopo fu eletto sheriff di Londra, secondo ebreo a rivestire tale carica, e sempre nel 1837 la neocoronata regina Vittoria gli conferì il titolo di sir, al quale nel 1846 aggiunse quello di barone. L’intensa attività politica non ostacolò la sempre più convinta professione di fede che lo portò ad assumere il ruolo di Gabbai della congregazione sefardita londinese e per sei volte quello di Rosh Hakahal.
Sul finire degli anni Trenta compì un nuovo viaggio in Terra Santa, dopo aver attraversato le principali città italiane e soggiornato a Roma, dove studiò le condizioni della locale comunità ebraica. Obiettivo di questo secondo viaggio in Palestina fu introdurre nuove tecniche agricole e favorire lo sviluppo economico. A Gerusalemme rimase per alcuni mesi del 1839, distribuendo ingenti somme di denaro e ricevendo attestati di benevolenza. Prima di tornare in Inghilterra incontrò, ad Alessandria, Mehemet Alì dal quale ebbe la promessa di un sostegno ai suoi piani di colonizzazione agricola. Nel 1840 svolse un ruolo di primo piano nel cosiddetto affare di Damasco.
In questa città la comunità ebraica era stata accusata di aver compiuto un «omicidio rituale». L’accusa si legava alla calunnia plurisecolare secondo la quale gli ebrei erano soliti uccidere un cristiano, in occasione della Pasqua, per servirsi del sangue al fine di impastare il pane azzimo. A Damasco erano spariti in circostanze misteriose il padre cappuccino Tommaso, da molti anni medico nella città, ed il suo servitore. Sulla scia di questa scomparsa, collegata a un ‘omicidio rituale’, furono compiuti numerosi arresti nel quartiere ebraico e demolite varie abitazioni. Due ebrei arrestati furono torturati e uccisi, mentre i sospetti di un altro omicidio rituale prendevano corpo a Rodi. Montefiore, assieme a Lionel Rothschild, sollecitò l’intervento di lord Palmerston e della diplomazia inglese presso Mehemet Alì e il sultano di Costantinopoli, promuovendo al tempo stesso un dibattito parlamentare e un interessamento della Francia. Temendo il protrarsi delle trattative, Montefiore e alcuni membri della comunità ebraica parigina si recarono ad Alessandria prima, e a Costantinopoli poi, e ottennero la liberazione dei prigionieri di Damasco. Dal sultano turco Montefiore riuscì inoltre ad avere la firma di un decreto, datato 16 novembre 1840, nel quale si condannava di fatto il pregiudizio alla base delle accuse rivolte agli ebrei di essere responsabili di omicidi rituali.
Il successo di questa missione accrebbe la sua popolarità in Inghilterra: ne derivarono un rafforzamento dei contatti con Robert Peel e James Graham e un avvicinamento della comunità ebraica londinese agli ambienti del liberalismo riformatore. Anche grazie ai cospicui finanziamenti a scuole e ospedali israelitici il prestigio di Montefiore tra i correligionari continuò a crescere. Sempre a sostegno degli ebrei di Palestina creò un Fondo destinato ai prestiti e al credito agrario, modello poi replicato per gli ebrei di Smirne, di Beirut e del Marocco. Nel 1846 decise di accettare l’invito del ministro dell’Educazione Sergej Semënovič Uvarov e del ministro degli Interni conte Kissilev, e di compiere un viaggio in Russia.
Oggetto di discussione fu la questione degli ebrei russi, colpiti da diversi provvedimenti persecutori nel 1843, dei quali Montefiore aveva chiesto e ottenuto, tramite lord Aberdeen, la cancellazione ma che, due anni dopo, erano stati ripristinati. Le proteste si erano rivelate inefficaci e Montefiore ritenne opportuno recarsi a San Pietroburgo. Il colloquio con lo zar Nicola si dimostrò fruttuoso e si concluse con una nuova revoca della persecuzioni antiebraiche. Lo scopo della politica zarista, in realtà, era quello di utilizzare l’influenza di Montefiore per indurre i capi religiosi della comunità ebraica a cooperare nell’opera di assimilazione, un intento che Montefiore, pur dimostrando grande disponibilità verso lo zar, non volle fare proprio.
Montefiore divenne uno dei principali esponenti della comunità ebraica internazionale ma il suo operato fu particolarmente intenso in Inghilterra. Qui, negli anni Cinquanta, si batté per la piena emancipazione degli ebrei e nel 1851 ebbe un ruolo importante nella elezione alla Camera dei Comuni di Lionel Rothschild, figlio di Nathan, primo israelita a entrare nel parlamento inglese. Nel 1855 compì un terzo viaggio in Palestina durante il quale aprì una scuola tecnica femminile e progettò un ospedale a Gerusalemme da finanziare con i fondi di vari filantropi, tra cui il milionario americano Judah Touro e diversi membri della famiglia Rothschild. Sempre nel 1855, e in parte con gli stessi fondi, acquistò un vasto terreno, denominato inizialmente Mishkanot Shananan e più tardi Yemin Moshe, che costituì il primo quartiere fuori le mura della città vecchia con l’intento di creare un insediamento produttivo, utilizzando imprese e manodopera inglese, e far crescere l’abitato ebraico. Tra il 1858 e il 1859 si trovò nuovamente a svolgere l’ufficio di mediatore nella spinosa vicenda Mortara.
Nel giugno 1858, a Bologna, il bambino Edgardo Mortara fu sottratto ai genitori dalla polizia pontificia e portato a Roma per essere educato al cattolicesimo. Mortara, che aveva allora sei anni, era stato battezzato all’insaputa della famiglia, di religione ebraica, dalla domestica cattolica e per questo gli uffici vaticani, con il beneplacito di Pio IX, avevano prelevato il bambino che, in quanto battezzato, non avrebbe potuto essere allevato da una famiglia ebrea. Appena si diffuse la notizia, si levarono le proteste delle comunità ebraiche italiane ed europee. Nel 1859 Montefiore, a nome degli ebrei inglesi, si recò a Roma per incontrare il pontefice riuscendo però a parlare solo con il cardinale Giacomo Antonelli che gli ribadì la posizione pontificia, contraria a qualsiasi ipotesi di restituzione del bambino alla famiglia.
Nel 1860 si fece promotore di una raccolta di fondi per aiutare i rifugiati ebrei che dalla Siria, dove erano oggetto di discriminazioni e persecuzioni, erano riparati a Gibilterra; tale sforzo consentì di mettere insieme 30.000 sterline, versate da evangelici (sir Culling Eaderley e lord Shaftesbury), politici di spicco (lord Palmerston e lord Russel) e israeliti (Adolphe Crémieux e i Rothschild). Nel 1862 morì l’amata moglie Judith alla quale Montefiore dedicò un collegio e per la quale costruì a Ramsgate un mausoleo, sul modello della tomba di Rachele a Betlemme.
Le iniziative avviate da Montefiore in varie parti del mondo posero le basi per una concreta attività internazionale di sostegno alle comunità ebraiche.
Un suo nuovo intervento si ebbe nell’estate del 1863 allorché nella città di Safi, in Marocco, due giovani ebrei furono giustiziati senza processo, con l’accusa di aver avvelenato l’esattore del viceconsole spagnolo, e altri nove furono incarcerati. L’episodio scatenò una sequenza di violenze verso molti dei 500.000 ebrei residenti in Marocco, per arginare la quale Montefiore si recò in Spagna per incontrare la regina Isabella e avere credenziali utili da spendere, insieme a quelle del Foreign Office, a Tangeri dove riuscì a far liberare i prigionieri. Non soddisfatto del risultato, all’inizio del 1864 intraprese un avventuroso viaggio a Marrakech per incontrare il sultano del Marocco dal quale ottenne un decreto contro le discriminazioni antiebraiche.
Nel 1867, ormai apprezzato in seno alla comunità ebraica sia dai ‘modernizzatori’ sia dai tradizionalisti, si recò in Romania, dove si erano consumate numerose aggressioni nei confronti di israeliti, per porre fine alle quali volle incontrare il principe Carol. Anche in questa missione – nel corso della quale rischiò di essere ucciso durante una manifestazione antisemita – riuscì ad avere rassicurazioni circa un «giusto trattamento» degli ebrei romeni. Nel 1874 compì un ulteriore viaggio in Russia, incontrando lo zar Alessandro II, mentre l’anno successivo, all’età di 91 anni, soggiornò per l’ultima volta in Palestina dopo ben sette pellegrinaggi.
Morì il 28 luglio 1885 a Londra.
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