Venezia, mostra del cinema di
Primo tra i festival cinematografici di prestigio, la Mostra nacque nel 1932 nell'ambito della XVIII Biennale d'arte (diventata ente autonomo nel 1930) con la denominazione di Esposizione internazionale d'arte cinematografica. Nel corso della sua storia ha tenuto fede all'originario intento di far conoscere i prodotti migliori di un cinema inteso come forma d'arte, ma è stata anche specchio, nel bene e nel male, delle politiche culturali espresse da regimi e governi italiani, attraversando non di rado polemiche, subendo condizionamenti e finendo comunque per identificarsi, nei vari periodi, con le idee di cinema espresse dai direttori succedutisi.
Fondatore della Mostra fu il conte Giuseppe Volpi di Misurata, all'epoca presidente della Biennale; primo consulente artistico fu lo scultore Antonio Maraini, mentre direttore-selezionatore era Luciano De Feo, segretario generale dell'Istituto internazionale per la cinematografia educativa, organo della Società delle Nazioni. Faceva parte del comitato d'onore Louis Lumière, che ringraziò gli organizzatori per il riconoscimento finalmente conferito al cinema come espressione estetica; scopo dell'iniziativa era infatti la presentazione di opere che attestassero il valore del cinema in campo artistico, culturale, scientifico ed educativo. Proprio per queste ragioni, la manifestazione conquistò subito prestigio e autorevolezza: alla prima edizione (svoltasi dal 6 al 21 agosto 1932 nell'Hotel Excelsior del Lido di Venezia) aderirono ufficialmente numerosi Paesi, otto dei quali presentarono trentanove film selezionati da una commissione internazionale, mentre la platea era formata da rappresentanti dell'alta società di tutto il mondo. Le proiezioni furono aperte da Dr. Jekyll and Mr. Hyde (1932; Il dottor Jekyll) di Rouben Mamoulian; tra gli altri film presentati Grand hotel (1932) di Edmund Goulding e Gli uomini, che mascalzoni… (1932) di Mario Camerini. Nel primo anno non venne previsto concorso; fu indetto soltanto un referendum tra il pubblico, che premiò Putëvka v žizn′ (1931, Il cammino verso la vita) di Nikolaj V. Ekk, À nous la liberté (1931; A me la libertà) di René Clair, Dr. Jekyll and Mr. Hyde e The sin of Madelon Claudet (1931; Il fallo di Madelon Claudet) di Edgar Selwyn. La seconda edizione si tenne nel 1934 (diciannove i Paesi partecipanti con quaranta film), ma già con una differenza rispetto alla precedente: furono infatti assegnati dei premi, risultato di un compromesso tra il referendum pubblico e il giudizio di alcuni esperti, e in accordo con l'Istituto internazionale per la cinematografia educativa. Venne dato il nome di Coppa Mussolini sia al premio per il miglior film italiano sia a quello per il miglior film straniero, mentre alle migliori interpretazioni, maschile e femminile, erano assegnate le Grandi medaglie d'oro dell'Associazione nazionale fascista dello spettacolo. Negli anni successivi proseguì il consolidamento della manifestazione, che nel 1935, per decreto governativo, assunse cadenza annuale sotto la direzione di Ottavio Croze (rappresentante dell'Istituto Luce e dell'Ente nazionale industrie cinematografiche) rimasto in carica fino al 1942, mentre i premi per le migliori interpretazioni presero il nome di Coppa Volpi; tra i film, fu memorabile l'impatto con il primo Technicolor, Becky Sharp (1935) di Mamoulian. Nel 1936, cambiata la denominazione in Mostra internazionale d'arte cinematografica, fu insediata per la prima volta una giuria internazionale. L'anno successivo la manifestazione trovò la sua sede nel Palazzo del cinema appositamente costruito al Lido, e fu in quell'anno che un capolavoro come La grande illusion (1937; La grande illusione) di Jean Renoir venne fischiato dai fascisti per il suo carattere pacifista. Nel 1938 l'aggravarsi delle pressioni politiche fece sì che venissero premiati film di propaganda, come Olympia di Leni Riefenstahl e Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini; l'evidente condizionamento del regime fascista generò forti tensioni con gli Stati Uniti che, presenti fino ad allora con produzioni qualitativamente e quantitativamente rilevanti, decisero che non avrebbero più partecipato. Ma nello stesso anno fu anche organizzata la prima grande retrospettiva, dedicata al cinema francese dal 1891 al 1933. L'edizione del 1939 fu segnata ancora di più dal precipitare della situazione internazionale: le assenze furono numerose e venne assegnata soltanto la Coppa Mussolini per il miglior film, ancora ad Alessandrini per Abuna Messias ‒ Vendetta africana.
Nei primi anni di guerra (1940-1942) si impose il trasferimento a ranghi ridotti in una sala cinematografica di Venezia: parteciparono quasi esclusivamente film italiani e tedeschi, tra cui opere non prive di un certo rilievo, dallo spettacolare L'assedio dell'Alcazar (1940) di Augusto Genina a La corona di ferro (1941) di Blasetti, dal propagandistico Ohm Krüger (1941; Ohm Krüger, l'eroe dei boeri) di Hans Steinhoff a Der grosse König (1942; Il grande re) di Veit Harlan. Dal 1943 al 1945 la manifestazione fu interrotta. La prima edizione del dopoguerra (1946) si svolse ancora in città, nel cinema San Marco e nei giardini della Biennale; ad assumere la direzione artistica fu Elio Zorzi, che prese accordi con gli organizzatori del concorrenziale Festival di Cannes per non far coincidere i due appuntamenti. La manifestazione ebbe carattere di rassegna, con scelte direttamente concordate fra la direzione, le case di produzione e gli enti interessati. Fu segnalato come miglior film The southerner (1945; L'uomo del Sud) di Renoir, quasi un atto di riparazione verso il cineasta che era stato bersaglio di un attacco politico. Più consistente la ripresa del 1947, con proiezioni nel cortile di Palazzo ducale, una giuria nuovamente internazionale e il ritorno delle cinematografie dell'Unione Sovietica (esclusa dal 1935) e degli altri Paesi dell'Est europeo. Fu premiato infatti Siréna (Sirena) del regista cecoslovacco Karel Steklý, modellato sui classici del cinema sovietico. L'edizione del 1949, sotto la nuova direzione di Antonio Petrucci, vide il ritorno definitivo al Lido, nonché nuove iniziative come la Mostra del film per ragazzi e la Mostra del film documentario e del cortometraggio, e una nuova denominazione del premio, ora chiamato Leone di San Marco in omaggio alla città.
Nel 1950 la manifestazione fu aperta ai film fuori concorso, su invito, e si tentò di avviare una mostra-mercato, risultata però deludente e quindi abolita nel 1952; per tutto il decennio comunque la Mostra si qualificò come significativa ribalta di cinematografie (come per es. la giapponese) fino ad allora pressoché sconosciute in Occidente. Nel 1951 fu premiato Rashōmon (1950; Rashomon) di Kurosawa Akira, nel 1958 Muhōmatsu no issho (L'uomo del risciò) di Inagaki Hiroshi, mentre il Leone d'argento fu assegnato nel 1954 a Shichinin no samurai (I sette samurai) di Kurosawa e a Sanshō dayū (L'intendente Sansho) di Mizoguchi Kenji. La nuova vivacità della Mostra non mancò tuttavia di generare polemiche altrettanto vive: nel 1953, in un concorso che aveva visto ben rappresentate le cinematografie occidentali e orientali, la giuria presieduta da Eugenio Montale non assegnò il massimo riconoscimento, attribuendo soltanto alcuni il Leone d'argento, fra gli altri film come il giapponese Ugetsu monogatari (I racconti della luna pallida di agosto) di Mizoguchi e l'italiano I vitelloni di Federico Fellini "per la felice scoperta ‒ diceva la motivazione ‒ di un ambiente della provincia italiana espresso in un linguaggio che rivela una nuova personalità di regista". Tensione anche nel 1954, con il finale tutto italiano: da una parte Senso di Luchino Visconti, dall'altra Giulietta e Romeo di Renato Castellani, che fino all'ultimo si contesero, tra opposte fazioni, il primo premio. Quando Castellani salì sul palco per ritirare il Leone d'oro, aspra fu la reazione dei 'viscontiani' che inscenarono una clamorosa bagarre; la Mostra fu accusata di subalternità alle pressioni governative che boicottavano Senso in quanto diffamatore delle forze armate. Sopravvenne una crisi pesante, alla quale si cercò di reagire avviando, con il ritorno di O. Croze già in passato alla guida della manifestazione, alcune riforme organizzative; ma continuavano a farsi sentire pressioni e condizionamenti provenienti da ambienti politici e produttivi. Le polemiche proseguirono, e fatale si rivelò l'incidente relativo al film The blackboard jungle (1955; Il seme della violenza) di Richard Brooks: il lavoro, che rappresentava con crudezza la periferia povera di New York e la vita delle minoranze etniche, fu giudicato irrispettoso verso la società americana dall'ambasciatrice degli Stati Uniti in Italia, Clara Booth Luce, che ne impose il ritiro. L'episodio fu unanimemente deplorato, ma la selezione approntata per l'edizione 1955 (nonostante la presenza di un capolavoro come Ordet, 1954, La parola, di Carl Theodor Dreyer, cui andò il Leone d'oro) riscosse una decisa bocciatura, e costrinse il direttore alle dimissioni. La carica fu conferita a Floris Luigi Ammannati, proveniente dall'esercizio cinematografico cattolico, il cui primo provvedimento fu di ridurre la sovrabbondanza dei programmi e dei premi. La giuria della sua prima edizione (1956), di cui facevano parte tra gli altri André Bazin e Visconti, nonostante riconoscesse il valore della selezione, decise di non attribuire i massimi premi: le polemiche infuriarono di nuovo, malgrado la presenza alla Mostra di ben ventiquattro Paesi e un'importante retrospettiva dedicata al cinema muto statunitense. Nell'edizione successiva, la giuria (presieduta da R. Clair) inserì nella sua motivazione un'aperta critica al lavoro dei selezionatori, rilevando la mediocrità di alcuni film in gara e auspicando per l'avvenire una scelta in base a criteri di puro valore artistico, che escludesse ogni considerazione di carattere nazionale o commerciale. Criticato anche dal versante conservatore, che gli rimproverava di aver ammesso un film spregiudicato come Les amants (1958) di Louis Malle, Ammannati fu sostituito nel 1960 con Emilio Lonero, segretario del Centro cattolico cinematografico. Negli anni Cinquanta, comunque, la Mostra nel suo insieme aveva contribuito all'affermazione dei migliori registi italiani del dopoguerra, da Fellini a Francesco Rosi, Ermanno Olmi, Michelangelo Antonioni, nonché di importanti autori europei (Ingmar Bergman, Robert Bresson, Claude Chabrol) e statunitensi (Elia Kazan, Billy Wilder, Robert Aldrich).
Anche gli anni Sessanta furono contrassegnati da polemiche e dibattiti: subito dopo la nomina Lonero indicò come priorità l'affermazione dei valori spirituali nel cinema. Tale obiettivo risultò troppo ideologico e provocò le immediate dimissioni della commissione selezionatrice (di cui facevano parte Guglielmo Biraghi, Luigi Chiarini, Gian Luigi Rondi) in nome di criteri impostati sulla massima libertà e apertura. L'unica edizione diretta da Lonero, quella del 1960, fu tempestosa: la sera della premiazione, in cui fu assegnato il Leone d'oro al discusso Le passage du Rhin (Il passaggio del Reno) di André Cayatte, il Palazzo del cinema venne sommerso dai fischi (a opera ancora una volta dei 'viscontiani' che sostenevano Rocco e i suoi fratelli). Lonero fu sostituito da Domenico Meccoli, proveniente dal giornalismo cinematografico; grazie a lui trovarono spazio nuovi linguaggi, dal Free Cinema inglese (Saturday night and Sunday morning, 1960, Sabato sera, domenica mattina, di Karel Reisz; A taste of honey, 1961, Sapore di miele, di Tony Richardson) alla Nouvelle vague francese (L'année dernière à Marienbad, L'anno scorso a Marienbad, di Alain Resnais, Leone d'oro nel 1961, e Vivre sa vie, 1962, Questa è la mia vita, di Jean-Luc Godard), ed ebbe luogo l'esordio veneziano di Pier Paolo Pasolini con Mamma Roma (1962). La direzione passò quindi a L. Chiarini, illustre teorico che abolì quasi totalmente i riti mondani e fu sordo alle pressioni dell'industria cinematografica. Chiarini diresse cinque manifestazioni con rigore e coerenza, affiancando a opere di autori ben noti i lavori di registi emergenti e conferendo grande visibilità al cinema italiano: furono premiati Le mani sulla città (1963) di Rosi, Deserto rosso (1964) di Antonioni, Vaghe stelle dell'Orsa (1965) di Visconti, La battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo, ma anche Belle de jour (1967; Bella di giorno) di Luis Buñuel. Nelle sue scelte il direttore non ebbe paura di scontrarsi con la morale più conformista proiettando Nattlek (1966; Giochi di notte) di Mai Zetterling ‒ film svedese ad alta tensione erotica che provocò proteste infinite e la cui visione fu riservata infine solo ai giornalisti ‒ e dovette fronteggiare la contestazione del Sessantotto. In quell'anno il Palazzo del cinema fu investito dalle proteste di manifestanti (tra cui Pasolini) che reclamavano una riforma radicale dello statuto e l'abolizione dei premi, ma la Mostra andò avanti egualmente (vinse Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos, Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, di Alexander Kluge, capofila del rinnovamento del cinema tedesco-occidentale). Tutto ciò non impedì che il laico Chiarini venisse infine allontanato; subentrò (1969) un esponente di formazione cattolica, lo studioso e critico Ernesto G. Laura, che cercò di ricucire i rapporti con le case di produzione statunitensi e inglesi, ma nello stesso tempo puntò sulle produzioni indipendenti e sulle cinematografie esterne ai grandi circuiti internazionali. Soprattutto, sotto la spinta della contestazione ‒ i registi italiani iscritti all'ANAC (Associazione Nazionale Autori Cinematografici) si erano nel frattempo rifiutati di partecipare alla manifestazione ‒ abolì i premi, avviando così una fase non competitiva che caratterizzò tutto il decennio successivo.
Le manifestazioni del decennio si svolsero sotto il segno di precarietà e discontinuità. Sotto la reggenza di un commissario straordinario, Filippo Longo, le edizioni del 1971 e del 1972 furono dirette da G.L. Rondi, critico militante, che tentò un'abile politica di mediazione tra diverse istanze: aprì la Mostra alla partecipazione della Repubblica popolare cinese (che presentò Hongse niangzi jun, 1961, Distaccamento femminile rosso, di Xie Jin) e sottolineò l'aspetto più marcatamente personale della cultura cinematografica istituendo i Leoni d'oro alla carriera, assegnati nel 1971 a John Ford e l'anno seguente a Charlie Chaplin, entrambi simboli di un cinema che proprio in quei giorni veniva messo in discussione. Nonostante ciò, nel 1972 l'ANAC e l'AACI (Associazione Autori Cinematografici Italiani) organizzarono a Venezia, in aperta alternativa alla Mostra, le Giornate del cinema italiano, basate su proiezioni e dibattiti con gli autori da svolgersi nelle piazze della città; l'iniziativa, ripetuta nel 1973, accelerò ulteriormente la crisi di gestione rendendo ancor più evidente l'urgenza di una riforma radicale della manifestazione. In quello stesso anno Rondi rassegnò le dimissioni e, poiché il nuovo statuto era fermo in Parlamento, l'edizione del 1973 fu sospesa per riprendere l'anno successivo sotto forma di rassegna di proposte, convegni e retrospettive, sempre con proiezioni decentrate nella città. Direttore del nuovo corso fu Giacomo Gambetti, anch'egli critico, formatosi fra cinema e televisione, incaricato, fra il 1974 e il 1976, di coordinare "approfondite riflessioni di carattere spettacolare e culturale" a più vasto raggio possibile. La Mostra, così concepita, rivelava una sua nobiltà culturale ma restava praticamente estranea al concetto di festival vero e proprio. Nel 1977 venne infatti realizzata soltanto una rassegna sul cinema dell'Europa dell'Est e nel 1978 la Mostra non ebbe luogo del tutto.
La crisi reclamava una sorta di rifondazione, avvenuta nel 1979 sotto la direzione di Carlo Lizzani (incaricato già da due anni). La manifestazione è quindi tornata al Lido, con la nuova denominazione di Mostra internazionale del cinema, e, a partire dal 1980, è stata ripristinata la competizione. Lizzani è rimasto in carica per quattro anni, sforzandosi di adattare la vecchia formula ai grandi mutamenti sopravvenuti nel cinema (per es. nei rapporti con la televisione): uscendo dai canoni esclusivi di una mostra d'arte, ha dato spazio allo spettacolo e alla sperimentazione proponendo un ampio ventaglio di scelte mirate verso un nuovo pubblico (soprattutto di giovani), inventando proiezioni notturne ed eventi collaterali e avvalendosi anche di consulenti come Enzo Ungari. Opere come Atlantic City (Atlantic City, U.S.A.) di Malle e Gloria (Gloria ‒ Una notte d'estate) di John Cassavetes, premiati ex aequo con il Leone d'oro nel 1980, Die bleierne Zeit (Anni di piombo) di Margarethe von Trotta, Leone d'oro nel 1981 (presidente della giuria Italo Calvino) e Der Stand der Dinge (Lo stato delle cose) di Wim Wenders, Leone d'oro nel 1982, hanno contribuito fortemente a far recuperare alla manifestazione il suo prestigio internazionale. Nel 1983 è tornato alla direzione artistica Rondi il quale, nettamente orientato verso un cinema d'autore, ha chiamato grandi maestri come membri della giuria, ma ha anche offerto opportunità a giovani cineasti, migliorando l'organizzazione complessiva e la struttura delle sezioni. Nel 1984 è stata istituita la Settimana internazionale della critica, gestita autonomamente dal Sindacato nazionale critici cinematografici italiani, dedicata a opere prime e seconde. Nel 1987 a Rondi è subentrato un altro critico, Guglielmo Biraghi, particolarmente attento a cinematografie autori 'periferici' (il cinema indiano, libanese, turco, capoverdino).
L'edizione del 1991 ha messo in luce il rinnovamento del cinema post-sovietico e di quello cinese con il Leone d'oro a Urga (Urga ‒ Territorio d'amore) di Nikita S. Michalkov e l'emozione suscitata dal raffinato Da hong deng long gao gao gua (Lanterne rosse) di Zhang Yimou, vera e propria rivelazione, vincitore del Leone d'argento. Nel 1992 è avvenuto un nuovo cambio nella direzione: Gillo Pontecorvo è stato nominato curatore per poi diventare direttore effettivo nel 1994. Il regista ha portato una grande carica di vitalità, attirando al Lido veri maestri e divi del cinema, ma organizzando anche eventi di rilievo (tra cui nel 1993 l'Assise degli autori) e iniziative dedicate soprattutto ai giovani. Scaduto il mandato di Pontecorvo, nel 1997 è arrivato come curatore Felice Laudadio, inventivo organizzatore di manifestazioni cinematografiche; durante il suo mandato il cinema italiano ha ritrovato la forza per vincere dopo un'interruzione di diversi anni il Leone d'oro (nel 1998 con Così ridevano di Gianni Amelio). La girandola dei responsabili artistici è proseguita, dal 1999, con Alberto Barbera (messosi in luce come direttore del Festival Cinema Giovani di Torino) che ha istituito nel 2001 una seconda sezione competitiva, Cinema del presente, e ha allargato l'attenzione alla sperimentazione con la sezione Nuovi territori. Nel 2002 è stato nominato Moritz de Hadeln, già direttore del Festival di Berlino ed estimatore del cinema italiano, cui ha reso omaggio nella retrospettiva dedicata nello stesso anno al maestro della commedia all'italiana Dino Risi. Sempre nell'edizione 2002 non sono mancate però le polemiche, in particolare dopo l'assegnazione del Leone d'oro a The Magdalene sisters (Mag-dalene) di Peter Mullan, durissimo atto d'accusa contro i metodi rieducativi di un istituto femminile gestito da suore irlandesi. Nel 2004 la scelta del direttore è caduta su Marco Müller, proveniente dal Festival di Locarno, che ha aggiunto una sezione, Venezia digitale, dedicata alle nuove tecnologie.
P. Rizzi, E. Di Martino, Storia della Biennale, 1895-1982, Milano 1982, passim.