Motivazione in re ipsa e autotutela decisoria
Nei tempi recenti l'istituto dell'autotutela amministrativa decisoria è sempre più spesso oggetto dell'attenzione del legislatore e della giurisprudenza amministrativa. In quest'ultima, va segnalato in particolare il consolidamento dell'orientamento che, segnatamente nella materia edilizia, tende ad affermare dei principi di dubbia compatibilità con la disciplina legislativa oggi essenzialmente recata nell'articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990. Il suddetto orientamento giurisprudenziale tende infatti a rinforzare la qualificazione come doveroso dell'annullamento d'ufficio delle concessioni edilizie illegittime, dequotando le garanzie della motivazione sulle ragioni d'interesse pubblico e dell'adeguata considerazione dell'interesse privato, affermando che in questi casi l'eliminazione dell'atto illegittimo troverebbe giustificazione in re ipsa nella (sola) esigenza di ripristinare la legalità violata.
Il tema che si approfondisce riguarda i presupposti dell'autotutela decisoria nei confronti delle concessioni edilizie illegittime. L'argomento trae origine da un preciso orientamento giurisprudenziale che di recente è stato riaffermato con nuove e significative implicazioni1. Secondo tale orientamento, l'annullamento in autotutela del permesso di costruire illegittimo non richiederebbe una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, dal momento che il solo contrasto tra la concessione edilizia e la normativa di riferimento sarebbe di per sé sufficiente a rivelare in re ipsa la preminenza dell'interesse generale sull'interesse del privato destinatario del permesso di costruire. L'annullamento in autotutela della concessione edilizia sarebbe così adeguatamente giustificato dalla sola esigenza di ripristinare la legalità violata, in assenza di specifica rilevanza per l'affidamento maturato nel privato.
La rilevanza delle questioni è d'immediata evidenza considerando che la disciplina in materia di autotutela decisoria, come anche di recente modificata dalla l. 7.8.2015, n. 1242, prevede testualmente che «il provvedimento illegittimo ai sensi dell'articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21 octies, co. 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20», precisando che, nell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, si debba tenere «conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati». L'attuale formulazione della norma rivela chiaramente i contrasti con il richiamato orientamento giurisprudenziale: se infatti la disciplina positiva, oltre all'illegittimità del provvedimento, richiede anche la sussistenza di specifiche “ragioni di interesse pubblico” da esplicitare nell'atto di autotutela, la giurisprudenza in questione afferma l'irrilevanza di una specifica motivazione sul pubblico interesse, argomentando che l'eliminazione dell'atto troverebbe in re ipsa la propria giustificazione nell'esigenza di ripristinare la legalità violata; o ancora, se l'articolo 21 nonies, prescrive di tenere in adeguata considerazione «gli interessi dei destinatari e dei contro interessati», per contro l'orientamento in esame non sembra attribuire specifica rilevanza all'interesse privato e all'affidamento maturato nel destinatario del provvedimento.
Al di là del contrasto con la disciplina dell'autotutela, deve essere anche adeguatamente segnalata la tendenza dell'orientamento in questione, implicitamente ravvisabile soprattutto in alcune più recenti pronunce, a generalizzare i principi affermati prefigurandone l'applicazione anche ai casi in cui l'adozione dell'originario provvedimento sia risalente nel tempo o non dipenda da un comportamento negligente o in malafede dell'interessato. Il rischio in questa situazione è che venga a consolidarsi una “disciplina” giurisprudenziale meno garantista dell'attuale disciplina positiva, proprio in un momento in cui le più recenti modifiche normative hanno circoscritto ulteriormente le modalità d'esercizio del potere di autotutela, attraverso la previsione di un termine di diciotto mesi come limite temporale oltre il quale è precluso disporre l'annullamento d'ufficio.
I principi generali in materia di autotutela richiedono che l'amministrazione, nell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, proceda ad effettuare una congrua valutazione degli interessi in conflitto, con particolare considerazione per l'interesse del destinatario dell'originario provvedimento. L'amministrazione è chiamata ad esplicitare le ragioni d'interesse pubblico che, nella comparazione tra i vari interessi in gioco, giustificano la rimozione del provvedimento illegittimo, sul presupposto che, ai fini dell'annullamento d'ufficio, non è sufficiente il riscontro della semplice illegittimità dell'atto in funzione di un mero puro e semplice ripristino della legalità violata. Si tratta di principi generali più che consolidati, tradizionalmente affermati dalla prevalente giurisprudenza amministrativa3, che nel 2005 hanno anche trovato una propria codificazione nella l. 7.8.1990, n. 241, segnatamente nel già richiamato articolo 21 nonies, attualmente oggetto delle ulteriori modifiche apportate dalla l. n. 124/2015.
Sebbene nel descritto contesto di riferimento non sembri dunque esservi spazio per l'enunciazione di principi diversi da quelli tradizionalmente affermati e codificati nella l. n. 241/ 1990, una parte della giurisprudenza amministrativa tende comunque ad individuare delle ipotesi di annullamento c.d. doveroso, nelle quali, come si è anticipato, l'interesse all'eliminazione dell'atto risulterebbe in re ipsa nell'esigenza di ripristinare la legalità violata, senza necessità di esplicitare le ragioni di pubblico interesse ovvero effettuare un'adeguata valutazione dell'interesse privato. La gran parte delle ipotesi di annullamento doveroso riguarda la materia edilizia e in particolare l'annullamento delle concessioni illegittime, ma l'orientamento interessa anche l'ambito del pubblico impiego e la concessione di risorse, agevolazioni o finanziamenti.
2.1 La giurisprudenza sul cd. annullamento doveroso
Alcune ipotesi di annullamento cd. doveroso riguardano casi di illegittimo inquadramento di pubblici dipendenti. Secondo la giurisprudenza di riferimento, in questi casi l'interesse all'eliminazione dell'atto non richiederebbe nessuna motivazione né comparazione con gli altri interessi in conflitto, dal momento che «l'atto oggetto di autotutela produce un danno per l'amministrazione consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, con vantaggio ingiustificato per il dipendente»4. Più esattamente, la giurisprudenza sostiene che «in caso di annullamento d'ufficio di un legittimo provvedimento di inquadramento, che abbia determinato ingiustificati oneri per l'Erario, non occorre una specifica motivazione sull'interesse pubblico all'intervento in autotutela, in quanto tale interesse è in re ipsa, ed è quello a risparmiare e ad evitare spese non giustificate in base alla normativa», precisando che per procedere all'annullamento d'ufficio di un inquadramento illegittimo è sufficiente l'esigenza di ripristinare la legalità violata5.
Sul presupposto che non sussisterebbe nessun affidamento in quanto il destinatario dell'inquadramento avrebbe soltanto beneficiato di un vantaggio ingiusto, l'esercizio dell'autotutela non incontrerebbe nemmeno alcun limite temporale e l'annullamento d'ufficio potrebbe essere disposto anche in un tempo significativamente lontano rispetto al momento di adozione del provvedimento originario.6 In altri termini, l'annullamento d'ufficio sarebbe sufficientemente giustificato dall'esigenza di ripristinare la legalità violata e proprio per tale ragione l'esercizio del potere di autotutela si caratterizzerebbe in termini di doverosità.
Altre ipotesi di annullamento doveroso riguardano l'illegittima concessione di finanziamenti. La giurisprudenza equipara questi casi all'ipotesi generale di esborso senza titolo di denaro pubblico, ribadendo che l'interesse pubblico all'annullamento del finanziamento rivelerebbe comunque in re ipsa e non richiederebbe nessuna specifica motivazione7.
I casi più frequenti di annullamento doveroso, specifico oggetto anche di alcune recenti pronunce8, riguardano l'esercizio del potere di autotutela nei confronti delle concessioni edilizie illegittime. In queste ipotesi, una parte della giurisprudenza ritiene che l'annullamento d'ufficio non necessiti di un'espressa e specifica motivazione, rilevando che «la concessione rilasciata in violazione delle norme urbanistiche pregiudica di per sé gli interessi alla cui salvaguardia è preordinata la stessa normativa» e sottolineando che «a fronte di un'attività edilizia palesemente illegittima, la concomitanza di una specifica esigenza di ripristino della legalità non lascia adito a dubbi sul rispetto delle condizioni basiche per l'adozione dell'atto autoannullativo»9. Ancora più chiaramente, viene affermato che «l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia (ora permesso di costruire) non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto della normativa urbanistica10». Talvolta, per escludere la rilevanza dell'interesse privato ai fini dell'esercizio del potere di autotutela, alcune pronunce richiamano il concetto di autoresponsabilità rilevando che se «è pur vero che l'adozione di provvedimenti autorizzativi garantisce il destinatario degli stessi circa la presumibile legalità del suo agire», residua pur sempre «un vasto margine accertativo, presidiato dallo statuto dell'autoresponsabilità: canone di diretta proiezione sia dei principi della solidarietà sociale sia dell'articolo 27 Cost., posto che tale ultima norma (trascendendo la materia penalistica) affianca al rilievo della colpevolezza quale presidio dagli addebiti non imputabili anche quello di stimolo a condotte comunque non intrinsecamente connotate da colpevoli illegalità»11.
La dequotazione della motivazione e l'irrilevanza dell'interesse privato variamente affermate dall'orientamento in esame rendono ancora più evidente il contrasto con la disciplina positiva dell'autotutela che, come più volte sottolineato, richiede piuttosto di esplicitare le motivazioni di pubblico interesse sottese all'annullamento d'ufficio, tenendo in particolare considerazione l'interesse del destinatario del provvedimento. Si tratta di un contrasto particolarmente marcato, che di certo non può essere ricomposto nemmeno invocando l'articolo 1, co. 136,
l. 30.12.2004, n. 311, ai sensi del quale, per conseguire risparmi e minori oneri finanziari, le amministrazioni possono sempre disporre l'annullamento d'ufficio di provvedimenti illegittimi12. A prescindere dalla circostanza che la norma risulta attualmente abrogata dall'articolo 6 della l. n. 124/2015, la sua formulazione non è comunque mai apparsa tale da poter derogare agli ordinari oneri motivazionali e valutativi, non fosse altro perché la portata precettiva si riferisce esclusivamente alle ipotesi di risparmio di spesa, configurandosi come disciplina speciale solo per tali ipotesi e non anche per gli altri casi pur sempre assoggettati alla disciplina generale. Ad attenuare il contrasto non è nemmeno utile osservare che molte delle controversie esaminate dalle pronunce in questione riguardano in realtà dei casi in cui il destinatario dell'originario provvedimento ha fornito una erronea rappresentazione della realtà in violazione degli ordinari obblighi di buona fede13 e che, pertanto, l'irrilevanza dell'interesse privato potrebbe in ipotesi trovare giustificazione nella difficoltà di configurare una situazione di affidamento a fronte di un comportamento di malafede. L'affermazione di principi contrastanti con la disciplina positiva dell'autotutela è, infatti, spesso giustificata da alcune decisioni giurisprudenziali rilevando che «la falsa rappresentazione dello stato di fatto in occasione della richiesta di una concessione edilizia rende l'affidamento del privato al mantenimento del manufatto così realizzato non meritevole di tutela e sicuramente recessivo di fronte all'interesse pubblico al ripristino di una regolare condizione edilizia». Senonchè, altre pronunce omettono qualsiasi riferimento alla malafede del privato ovvero all'erronea o falsa rappresentazione della realtà fornita all'amministrazione, assumendo comunque la preminenza in re ipsa dell'interesse all'annullamento anche nei casi in cui al privato non possa imputarsi una condotta scorretta o poco diligente. Basti sottolineare che, secondo quanto affermato in una pronuncia piuttosto recente, «l'interesse del privato, anche se in ipotesi incolpevole e consolidato, perde tuttavia, di rilevanza e diviene irrimediabilmente recessivo rispetto all'interesse pubblico, laddove il potere di autotutela incida su una concessione edilizia relativa ad un'area soggetta a vincolo paesaggistico che comporti penetranti limitazioni della possibilità di edificazione»14.
I due maggiori profili problematici posti dall'orientamento giurisprudenziale in questione riguardano il tema dell'affidamento del privato e l'istituto della motivazione nel provvedimento amministrativo.
3.1 Affidamento e autotutela
Il problema dell'affidamento nell'esercizio del potere di autotutela ha da sempre sollecitato l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, nell'obiettivo di garantire tutela all'interesse del privato ormai consolidatosi per effetto del provvedimento oggetto d'annullamento. Più esattamente, proprio il conflitto tra l'interesse all'annullamento e quello al mantenimento del provvedimento illegittimo ha consentito di inquadrare l'autotutela in una vera e propria funzione di amministrazione attiva, discrezionale, presidiata dalla regola della comparazione degli interessi15. Restano pur sempre alcune discordanze sull'esatta individuazione dell'interesse pubblico – se cioè debba essere identificato nell'originario interesse tutelato dalla funzione di primo grado o piuttosto nell'interesse al ripristino della legalità –, ma si tratta di divergenze che non incidono sulla regola generale dell'attività discrezionale, che impone in ogni caso la comparazione degli interessi in conflitto a prescindere da quale sia l'interesse pubblico specificamente considerato16. Del resto, si è già potuto ricordare che anche la giurisprudenza amministrativa, con l'eccezione dell'orientamento esaminato, concorda con la ricostruzione dell'autotutela come espressione di (funzione di) amministrazione attiva, richiedendo di effettuare una congrua valutazione degli interessi in conflitto, soprattutto quando l'interesse del privato si è consolidato per effetto del provvedimento oggetto di rimozione.
Più in dettaglio, è utile sottolineare che le più autorevoli elaborazioni dottrinarie hanno precisamente individuato il fondamento della tutela riconosciuta all'affidamento nel principio di buona fede inteso quale obbligo di correttezza17. Secondo questa ricostruzione, il principio di buona fede costituirebbe una regola essenziale per l'esercizio del potere di annullamento, che integrerebbe la fattispecie normativa del potere di autotutela imponendo la necessità di una congrua valutazione degli interessi in conflitto, con particolare riferimento all'interesse del destinatario del provvedimento18. Proprio tale concezione sembra essere stata puntualmente recepita dal legislatore, laddove, come più volte sottolineato, l'articolo 21 nonies della legge sul procedimento prevede testualmente che il potere di annullamento d'ufficio debba essere esercitato «tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati».
Nel prospettare la preminenza in re ipsa dell'interesse all'annullamento sull'interesse privato, l'orientamento in esame tende invece ad assimilare implicitamente il potere di autotutela alle funzioni giurisdizionali o di controllo, che si caratterizzano per il compito di accertare l'illegittimità dell'atto ai fini del ripristino della legalità violata. Sennonché, a fronte della diffusa e consolidata configurazione dell'autotutela nei termini di una vera e propria funzione di amministrazione attiva, l'interesse all'annullamento mai potrebbe tout court identificarsi nell'esigenza di ripristinare la legalità violata. Diversamente dall'autorità giurisdizionale o da un organismo di controllo, l'amministrazione è, infatti, pur sempre chiamata a curare in concreto l'interesse pubblico prefigurato dalla norma, adattando sistematicamente la propria azione alla realtà dei fatti e agli interessi in rilievo. In questo contesto, l'illegittimità del provvedimento amministrativo è soltanto un elemento di una più ampia valutazione destinata a garantire un'adeguata considerazione dell'interesse privato, sul presupposto che soltanto attraverso la comparazione degli interessi si individua la soluzione più idonea per la concreta soddisfazione del bisogno collettivo.
3.2 Motivazione e autotutela
Il secondo profilo problematico riguarda l'istituto della motivazione nel provvedimento amministrativo. L'aspetto di criticità origina dall'assunto, variamente affermato dalle sentenze espressione dell'orientamento in esame, per il quale il provvedimento di autotutela non dovrebbe necessariamente esplicitare le ragioni di interesse pubblico sottese all'annullamento dell'atto illegittimo, in quanto la motivazione sarebbe implicita nell'esigenza di ripristinare la legalità violata adattando la situazione di fatto e di diritto alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento.
Non è certamente questa la sede per ripercorrere compiutamente l'ampia elaborazione dottrinale in materia di motivazione del provvedimento amministrativo19. Tuttavia, volendo rapidamente tracciarne il percorso, si può segnalare che una più risalente posizione era solita distinguere la giustificazione dai motivi, intendendo per giustificazione l'oggettiva causa giuridica del provvedimento e per motivi l'esplicitazione dell'iter logico-giuridico sotteso all'adozione del provvedimento. Secondo questa concezione, incentrata su un concetto di motivazione sostanziale, l'esplicitazione dei motivi non sarebbe stata sempre necessaria, risultando talvolta sufficiente il mero richiamo ai presupposti normativi, che avrebbe ugualmente consentito al giudice o al cittadino una verifica sulla compatibilità del provvedimento rispetto alla sua causa giuridica20. Sennonché, successive posizioni dottrinarie hanno avvertito l'inadeguatezza di una motivazione ridotta a mero richiamo dei presupposti normativi, preferendo valorizzare la motivazione nel suo aspetto (formale) “discorsivo”, attribuendole una funzione prevalentemente di garanzia per il destinatario del provvedimento, tale da consentirgli una più puntuale verifica, anche ai fini della tutela giurisdizionale, sulla coerenza della decisione rispetto agli antecedenti istruttori e alle stesse premesse logico-normative21. Altre posizioni hanno posto l'accento sul carattere polifunzionale della motivazione, individuando, accanto alla più tradizionale funzione di garanzia, una più generale finalità di controllo democratico dell'azione amministrativa di cui sarebbe beneficiaria l'intera collettività e non soltanto i destinatari dei singoli provvedimenti22. Più recenti impostazioni tendono ad identificare nella motivazione l'elemento portante di una “responsabilità funzionale” dell'amministrazione rispetto alle decisioni concretamente assunte23.
Per quanto riguarda il diritto positivo, la legge sul procedimento amministrativo sembrerebbe privilegiare la finalità di garanzia valorizzando la motivazione nel suo aspetto “discorsivo”, come anche desumibile dall'art. 3, l n. 241/1990 ai sensi del quale l'amministrazione è tenuta ad indicare i «presupposti di fatto» e le «ragioni giuridiche» che hanno determinato la decisione. Anche la più recente giurisprudenza, amministrativa, costituzionale e comunitaria, riconosce alla motivazione il compito di garantire la conoscibilità e la trasparenza dell'azione amministrativa, in attuazione del principio d'imparzialità e di buona amministrazione sancito anche a livello sovranazionale24.
Volendo ritenere che la funzione di garanzia rappresenti la finalità (quantomeno) prevalente dell'istituto, la motivazione viene pertanto ad assumere specifico rilievo nel suo aspetto “discorsivo”, per la semplice ragione che attraverso di essa l'azione amministrativa diventa conoscibile all'esterno, consentendo ai destinatari del provvedimento di verificarne la coerenza rispetto ai presupposti normativi, al materiale istruttorio e alla valutazione degli interessi. È del resto importante sottolineare che la finalità di garanzia non riguarda soltanto gli atti discrezionali ma si estende anche agli atti vincolati, quali ad esempio possono essere i provvedimenti in materia di concessioni edilizie. Non è infatti un caso che, proprio con specifico riferimento al diniego di concessione edilizia, la giurisprudenza richieda all'amministrazione di non limitarsi alla generica enunciazione della norma violata, ma di esplicitare “intellegibilmente” le motivazioni evidenziando in concreto le ragioni in base alle quali l'intervento proposto non sia ritenuto compatibile con le prescrizioni urbanisticoedilizie25.
In questo quadro di riferimento, la prospettata dequotazione della motivazione si pone in chiaro contrasto con la funzione di garanzia riconosciuta all'istituto. In primo luogo, l'assenza di motivazione impedisce anzitutto al privato di conoscere sotto quali specifici profili, anche in rapporto alla concreta situazione di fatto, l'intervento assentito contrasti con le prescrizioni urbanistico-edilizie, determinando quel vuoto di conoscenza e conoscibilità che proprio la stessa giurisprudenza esclude possa verificarsi nelle ipotesi di diniego di concessione. In secondo luogo, l'assenza di motivazione impedisce di verificare il processo valutativo degli interessi in conflitto, in un contesto nel quale la situazione di affidamento richiede una peculiare e specifica considerazione. Sono evidenti anche in tal caso le implicazioni negative sotto il profilo di una piena ed effettiva tutela giurisdizionale. Da ultimo, l'assorbimento della motivazione nell'esigenza di restaurare la legalità violata accoglie una concezione fin troppo astratta dell'interesse pubblico, che a priori ne esaurisce la definizione nella norma, quando invece proprio tale interesse deve essere concretamente identificato a posteriori dopo l'acquisizione dei fatti e l'apprezzamento degli interessi26.
3.3 Considerazioni conclusive
Prescindendo dallo specifico contrasto con i principi generali in materia di autotutela, si può osservare più in generale che l'orientamento in esame sembra anche riproporre una ricostruzione del principio di legalità formalisticamente intesa, quasi che l'amministrazione possa essere ancora oggi considerata come un potere semplicemente “esecutivo” rispetto alla legge27. Sebbene la legge sia sempre il principale parametro di riferimento dell'azione amministrativa, è pur vero che la concreta disciplina (del processo formativo) della decisione amministrativa non si esaurisce nella disciplina legislativa28. Tra il momento dell'attribuzione della competenza e la scelta finale esiste lo spazio rimesso alla discrezionalità che deve essere implementato di contenuti sostanziali non sempre riducibili all'astratta previsione normativa, e che solo la presenza della motivazione consente di conoscere, valutare ed eventualmente contestare. Anche da questa più generale prospettiva, si può cogliere l'inadeguatezza di un'identificazione dell'interesse pubblico con la sola esigenza di ripristinare la legalità violata. Più esattamente, la ravvisata inadeguatezza è il riflesso di una concezione dell'interesse alla legalità in termini per così dire assoluti29, quando invece una corretta individuazione dell'interesse pubblico deve necessariamente misurarsi con gli altri interessi in gioco, al fine di garantire un'azione amministrativa adeguatamente calata nella realtà e capace di soddisfare effettivamente i concreti bisogni della collettività30.
1 Si veda, ad esempio, TAR Sardegna, Cagliari, II, 29.5.2014, n. 386; Cons. St., VI, 14.4.2015, n. 1915.
2 L'art. 6, l. 7.8.2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha così modificato l'art. 21 nonies, l. n. 241/1990: «al comma 1, dopo le parole: «entro un termine ragionevole» sono inserite le seguenti: «comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o a di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20». Sempre l'art. 6 ha aggiunto all'art. 21 nonies, il seguente co. 2-bis: «i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazione sostitutive di certificazione dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445».
3 L'orientamento prevalente della giurisprudenza è fermo nel ritenere che «costituisce ius receptum il principio per cui l'esercizio del potere di autotutela da parte dell'amministrazione richiede che quest'ultima, oltre ad accertare entro un termine ragionevole l'illegittimità dell'atto, debba altresì valutare la sussistenza di un interesse pubblico all'annullamento, attuale e prevalente sulle posizioni giuridiche private costituitesi e consolidatesi medio tempore, essendo quindi insufficiente l'identificazione dell'interesse pubblico nel mero rispristino della legalità violata», precisando che «il carattere tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio impone una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro, soprattutto ogni qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un ragionevole affidamento» (così, tra le più recenti pronunce, TAR Liguria, Genova, I, 25.6.2014, n. 1013; si veda anche Cons. St., VI, 14.11.2014, n. 5609).
4 Cons. St., III, 20.6.2012, n. 3603; si veda anche Cons. St., III, 20.6.2012, n. 3625; Cons. St., VI, 9.7.2012, n. 4007; Cons. St., III, 15.4.2013, n. 2022.
5 Cons. St., III, 15.4.2013, n. 2022, cit.
6 Si veda Cons. St., III, 20.6.2012, n. 3625, cit. «(…) né in tali casi rileva il tempo trascorso dall'emanazione del provvedimento di recupero dell'indebito».
7 Cons. St., III, 4.6.2012, n. 3290; contra, con specifico riferimento ad una controversia in materia di incentivi concessi dall'amministrazione, Cons. St., VI, 14.11.2014, n. 5609, cit.
8 TAR Sardegna, Cagliari, II, 29.5.2014, n. 386, cit.; Cons. St., Sez. VI, 14.4.2015, n. 1915, cit.
9 TAR Sardegna, Cagliari, II, 29.5.2014, n. 386, cit.; Cons. St., Sez. VI, 14.4.2015, n. 1915, cit.
10 TAR Sardegna, Cagliari, II, 29.5.2014, n. 386, cit.
11 TAR Campania, Napoli, VIII, 7.1.2015, n. 32; in tema, si veda anche Cons. St., V, 30.07.2012, n. 4300, cit.; Cons. St., V, 8.11.2012, n. 5691;TAR Puglia, Lecce, III, 18.3.2015, n. 923; TAR Lazio, Latina, I, 20.3.2013, n. 249, cit.; TAR Lazio, Latina, I, 20.3.2013, n. 249.
12 L'articolo 1, co. 136, l. 30.12.2004, n. 311 prevedeva che «al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento d'ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso». Tale previsione è stata espressamente abrogata dall'art. 6, co. 2, l. 7.8.2015, n. 124.
13 In alcune pronunce, l'orientamento esaminato tende a circoscrivere le proprie conclusioni in tema di annullamento doveroso ai casi di malafede o comportamento negligente dell'interessato, mitigando in tal modo la portata del principio affermato: si veda, ad esempio, Cons. St., Sez. IV, 18.11.2014, n. 5654, cit.; TAR Lombardia, Milano, III, 12.2.2015, n. 458; Cons. St., V, 23.4.2014, n. 2060; TAR Campania, Napoli, IV, 10.4.2014, n. 2066.
14 TAR Sardegna, Cagliari, II, 29.5.2014, n. 386, cit.; si veda anche Cons. St., VI, 14.4.2015, n. 1915, cit.
15 Oltre alla voce in questo Volume di Sandulli, M.A., Autotutela, sul potere di autotutela si vedano, senza alcuna pretesa di completezza, Romanelli, V.M., L'annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939; Codacci Pisanelli, G., L'annullamento degli atti amministrativi, Milano, 1939; Romano, S., Annullamento degli atti amministrativi (agg. G. Miele) in Nss. D.I, Torino, 1957, 642 ss.; Benvenuti, F., Autotutela (dir. amm), in Enc. dir., 1959, Milano, 537 ss.; Cannada Bartoli, E., Annullabilità e annullamento (dir. amm.), in Enc. dir., Milano, 1958, 484 ss.; Coraggio, G., Annullamento d'ufficio degli atti amministrativi, in Enc. giur., Roma, 1988; Contieri, A., Il riesame del provvedimento amministrativo, Napoli, 1991; Mattarella, B.G., Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, Atti del LIII Convegno di studi di scienza dell'amministrazione, Milano, 2008, 289 ss.; Id, Il provvedimento, in Trattato di diritto amministrativo, Cassese, S., a cura di, Milano, 2000, 828 ss.; Villata, R., L'atto amministrativo, in Diritto amministrativo, Mazzarolli, L. Pericu, G.Romano, A. Roversi Monaco, F.A. Scoca, F.G., a cura di, Bologna, 2001, 1576 ss.; Ligugnana, G., Profili evolutivi dell'autotutela amministrativa, Padova, 2004; Galetta, D.U., I procedimenti di riesame, in La disciplina generale dell'azione amministrativa, Cerulli Irelli, V., a cura di, Napoli, 2006, 393 ss.; Villata, R. Ramajoli, M., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 549 ss.; Immordino, M., I provvedimenti amministrativi di secondo grado, in Diritto amministrativo, Scoca, F.G., a cura di, Torino, 2011, 314 ss.; Francario, F., Autotutela e tecniche di buona amministrazione, in L'interesse pubblico tra politica e amministrazione, a cura di Contieri, A.Francario, F.Immordino, M.Zito, A., Napoli, 2010, II, 107 ss; Villata, R.Ramajoli, M., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 549 ss.; Deodato, C., L'annullamento d'ufficio, in Codice dell'azione amministrativa, a cura di Sandulli, M.A., Milano, 2011, 982 ss; D'Ancona, S., L'annullamento d'ufficio tra vincoli e discrezionalità, Napoli, 2015; Sandulli, M.A., Poteri di autotutela della pubblica amministrazione e illeciti edilizi, in Federalismi.it, 2015.
16 Giannini, M.S., Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939.
17 Il riferimento è a Merusi, F., L'affidamento del cittadino, Milano, 1970; Id, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, Milano, 2001.
18 Merusi, F., L'affidamento del cittadino, cit., 100; Id, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, cit. 104. Per una prospettiva non perfettamente coincidente, si veda Trimarchi Banfi, F., L'annullamento d'ufficio e l'affidamento del cittadino, in Dir. amm., 2005, 843 ss.
19 Senza pretesa di completezza, sulla motivazione e le sue implicazioni si vedano Jaccarino, C.M., Studi sulla motivazione con speciale riguardo agli atti amministrativi, Roma, 1933; Id., Motivazione degli atti amministrativi, in Novissimo digesto italiano, Torino, 1957, 958 ss.; Mortati, C., Obbligo di motivazione e sufficienza della motivazione degli atti amministrativi, in Giur. it., 1943, III, 2 ss.; Rivalta, M., La motivazione degli atti amministrativi, Milano, 1960; Giannini, M.S., Motivazione dell'atto amministrativo, in Enc. dir, Milano, 1977, 257 ss.; Nigro, M., Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, ora anche in Scritti giuridici, Milano, 1996, III, 1429 ss.; Romano Tassone, A., Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987; Id., Motivazione nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl. app. XIII, Torino, 1995, 683 ss.; Mazzarelli, V., Motivazione dell'atto amministrativo, in Enc. giur., Roma, 1990; Mattarella, B.G., Il provvedimento, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Milano, 2000, 763 ss.; Corso, G., Motivazione dell'atto amministrativo, in Enc. dir., agg. V, Milano, 2001, 774 ss.; Id., Motivazione degli atti amministrativi e legittimazione del potere negli scritti di Antonio Romano Tassone, in Dir. amm., 2014, 463 ss.; Villata, R.Ramajoli, M., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 224 ss.; Ramajoli, M., Lo statuto del provvedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 2010, 459 ss.; Cardarelli, F., La motivazione del provvedimento, in Codice dell'azione amministrativa, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2011, 300 ss.; Cassatella, A., Il dovere di motivazione nell'attività amministrativa, cit.
20 Jaccarino, C.M., Motivazione degli atti amministrativi, cit., 958.
21 Mortati, C., Obbligo di motivazione e sufficienza della motivazione degli atti amministrativi, cit., 7 ss.; più di recente, Corso, G., Motivazione dell'atto amministrativo, cit., 786; Id., Motivazione degli atti amministrativi e legittimazione del potere negli scritti di Antonio Romano Tassone, cit., 463 ss.; Cardarelli, F., La motivazione del provvedimento, cit., 327.
22 Romano Tassone, A., Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, cit., 52 ss.
23 Cassatella, A., Il dovere di motivazione nell'attività amministrativa, cit, 392.
24 C. cost., 5.11.2012, n. 310; TAR Lazio, Roma, II quater, 14.7.2015, n. 9366; per la giurisprudenza comunitaria, v. C. Giust., 22.3.2001, C – 17/99.
25 TAR Veneto, Venezia, II, 13.3.2008, n. 606; TAR Lazio, Roma, II bis, 19.07.2005, n. 5736; TAR Toscana, Firenze, II, 18.10.2007, n. 3272.
26 Romano Tassone, A., Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, cit., 284; «a prescindere dalla sua esatta collocazione tra gli elementi dell'azione amministrativa (presupposto, fine, motivo) l'interesse pubblico concreto non può apparire infatti, se non a posteriori, immanente nella situazione reale considerata, rappresentando invece, nel fieri del procedimento amministrativo, il risultato di una sintesi tutt'altro che prevedibile ed a apriori scontata».
27 Il riferimento è a Zanobini, G., L'attività amministrativa e la legge, in Riv. dir. pubbl., 1924, I, 281 ss., ora anche in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, 203 ss.
28 Satta, F., Principio di legalità e pubblica amministrazione nello stato democratico, Padova, 1969, 250 ss.
29 In argomento, si vedano le considerazioni di Valaguzza, S., La concretizzazione dell'interesse pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento d'ufficio, cit., 1270.
30 Ledda, F., La concezione dell'atto amministrativo e dei suoi caratteri, in Allegretti, U. Orsi Battaglini, A. Sorace, D., a cura di, Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini, 1987, ora anche in Scritti giuridici, Padova, 2002, 251; si veda anche Romano Tassone, A., Note sul concetto di potere giuridico, in Annali della Facoltà di Messina di Economia e Commercio dell'Università di Messina, 1981, 455.