Motivazione lacunosa e poteri del tribunale del riesame
Il nuovo d.d.l. S.1232, prevedendo l’annullamento del provvedimento cautelare privo di motivazione, pone fine alla controversa prassi di accettare l’integrazione della parte motiva ad opera del tribunale di riesame.
Tra i contenuti del d.d.l. S. 1232 approvato al Senato il 2 aprile 2014 vi è la modifica della normativa in tema di poteri decisori del tribunale del riesame, mediante l’aggiunta di un ulteriore periodo al comma 9 dell’art. 309 c.p.p. in modo che esso preveda che «Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa».
Il testo incide negativamente sul potere del tribunale del riesame di integrare la motivazione lacunosa laddove voglia confermare il provvedimento cautelare. A dire il vero, al riguardo, le posizioni maturate fin dalla prima vigenza del codice Vassalli sono fortemente divise. Val la pena di ripercorrerle al fine di indagare la vera portata innovativa della riforma legislativa in itinere.
Un primo orientamento1 ritiene precluso al tribunale della libertà l’annullamento del provvedimento cautelare per difetto di motivazione, mentre gli attribuisce il potere-dovere di integrare, nel confermare la misura, la motivazione dell’ordinanza impugnata impugnata sostituendo la propria valutazione a quella originaria.
Secondo questa impostazione, che attribuisce al riesame le funzioni e l’indole del giudizio di appello, va riconosciuta alla vicenda cautelare la natura di fattispecie a formazione eventualmente progressiva, nella quale il titolo cautelare risulta dalla combinazione tra provvedimento originario e successiva pronuncia di conferma del tribunale del riesame2. Certamente, volendo estremizzare, si potrebbe giungere a ritenere che l’esistenza della motivazione nel provvedimento cautelare possa essere una sorta di optional e che siano indifferenti la sua completezza e la sua esaustività. Il che parte della giurisprudenza è già giunta a sostenere3.
L’opposto orientamento afferma che il potere di annullamento conferito al tribunale del riesame dall’art. 309, co. 9, c.p.p. debba estendersi, oltre che all’accertamento della sussistenza dei presupposti a sostegno del titolo cautelare, anche alla verifica della presenza dei requisiti di legittimità formale e sostanziale del provvedimento. Ciò in quanto la restrizione della libertà personale, laddove non supportata dall’esplicitazione di congrua motivazione attraverso la quale sia stato ricostruito in senso sfavorevole all’indagato il quadro indiziario emergente nei suoi confronti, costituisce un illegittimo esercizio di un potere esistente solo a condizione che sia espressa la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge sub art. 292 ss. c.p.p.4.
Chi sostiene detto orientamento sposta l’attenzione sul piano dei principi costituzionali, posto che una diversa impostazione vedrebbe sacrificati l’obbligo di motivazione ex art. 111 Cost., l’art. 13, co. 2, Cost., che consente le limitazioni della libertà personale solo a fronte di un atto «motivato» dell’autorità giudiziaria, nonché le garanzie difensive tutelate dall’art. 24 Cost.
Sul piano tecnico una serrata critica viene mossa alla ritenuta configurabilità di una fattispecie complessa a formazione progressiva, atteso che, a rigore, gli istituti giuridici così strutturati presuppongono un organo che intervenga, rispetto al primo, necessariamente per secondo in senso diacronico e che sia soprattutto portatore di un preciso obbligo giuridico di completare la fattispecie. Il che non accadrebbe, secondo tale impostazione, nel procedimento cautelare, proprio perché l’ordinanza in materia costituisce un atto non meramente procedimentale, ma sicuramente provvedimentale, del tutto perfetto e, conseguentemente, autonomamente efficace. Inoltre, è evidente che l’impugnazione dell’atto de (sua) libertate non può costituire onere del ricorrente, il quale ha da subito diritto ad una motivazione circa i motivi della privazione della sua facoltà di circolare liberamente e non può vedersi costretto a dovere chiedere un secondo giudizio per venirne a conoscenza.
Ulteriori punti dolenti della prima impostazione sono stati individuati, da un lato, nell’inutilizzabilità, di fatto, del potere di annullamento esplicitamente previsto dall’art. 309 c.p.p., che resterebbe del tutto residuale e precluso in caso di motivazione lacunosa; e, dall’altro, nel fin troppo originale ribaltamento dei ruoli tradizionali attribuibili al giudice per le indagini preliminari ed al tribunale del riesame, quest’ultimo ridotto ad un mero organo di supporto piuttosto
che di controllo del primo.
Un terzo orientamento, soprattutto giurisprudenziale, che potremmo definire di tipo intermedio, pur riconoscendo la possibilità di integrazione delle lacune motivazionali in sede di riesame, distingue l’ipotesi dell’ordinanza cautelare carente di motivazione, in cui sarebbe possibile l’opera di interpolazione da parte del tribunale del riesame, da quelle della mancanza assoluta della motivazione e della motivazione meramente apparente o di stile. Solo in questa seconda eventualità detto orientamento riconosce l’invalidità del provvedimento impugnato nella misura in cui da esso non è possibile individuare gli indizi e le esigenze cautelari poste a sostegno dell’atto privativo della libertà. In tale contesto il potere di integrazione del giudice della libertà si trasformerebbe, illegittimamente, in potere sostitutivo5.
La questione, naturalmente, è fortemente connessa a quella dei limiti della validità del provvedimento del g.i.p. che recepisce per relationem la richiesta del p.m., sebbene ad oggi, facendo seguito all’insegnamento delle S.U., 21.6.2000, n. 17, sia accettato che la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è legittima se il riferimento sia fatto ad altro atto del procedimento la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione, se fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua decisione e se l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui ostensibile. Sicché la recezione integrale del contenuto della richiesta del p.m. nell’ordinanza del g.i.p. non implica di per sé la nullità di questa, quando risulti che il giudice abbia comunque esercitato un vaglio critico o comunque quando non risulti che egli abbia recepito del tutto acriticamente l’atto incorporato6.
In tale contesto si innesta la novità legislativa in discussione al Parlamento, che decisamente va nel senso di un maggiore garantismo rispetto ad almeno due degli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali in circolazione al momento. Il legislatore “in gestazione” sembra aver fatto, dunque, una scelta precisa7.
Premesso che il punctum pruriens è sempre stato quello di stabilire se il riesame costituisca un gravame che tenda a sostituire all’atto originario una nuova statuizione sulla questione della libertà personale della persona o, piuttosto, un rimedio diretto al controllo ed all’eventuale annullamento del provvedimento applicativo della misura, è evidente che le modifiche contenute nel d.d.l. in esame spostano il baricentro verso questa seconda direzione, sicché il procedimento cautelare non si configurerebbe come giudizio sulla vicenda de libertate,ma piuttosto come rimedio per l’invalidazione di un atto viziato.
Non sono, tuttavia, mancati i primi rilievi critici, “a caldo”, pur nella condivisione dello spirito della riforma8.
È stato osservato che nella lettera della norma di nuovo conio, nel richiamare la mancata valutazione degli «elementi forniti dalla difesa», è stato pretermesso il richiamo anche alla mancata esposizione dei motivi per i quali tali elementi a favore non sono stati ritenuti rilevanti, così come, invece, richiesto dall’art. 292, co. 2, lett. c-bis), c.p.p. Inoltre è mancato ogni riferimento a tutte le tipologie di elementi a favore dell’imputato richiamati, a loro volta, dall’attuale co. 2-ter dell’art. 292 c.p.p. ed in particolare è restato trascurato l’apporto «che può eventualmente derivare all’imputato dagli accertamenti su fatti e circostanze a lui favorevoli cui abbia, eventualmente, provveduto il pubblico ministero in fase di indagini ai sensi dell’art. 358 c.p.p.»9.
Infine «problematico appare anche il richiamo all’omessa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi della misura, genericamente indicati come “esigenze cautelari” e “indizi”, senza alcuna esplicita menzione degli altri aspetti considerati dall’art. 292 c.p.p., come l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono stati desunti e delle ragioni per cui questi ultimi assumono rilevanza (tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato)»10.
1 Cfr. Amato, G., Artt. 308-309, in Comm. c.p.p. Amodio-Dominioni, Milano, 1990, 201; Giannone, A., Commento all’art. 309, in Comm. c.p.p. Chiavario, Torino, 1990, 273 s.; Marzaduri, E., Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, in Nss. D.I., Appendice, VI, Torino, 1986, 784 ss.; Orlandi, R., Riesame del provvedimento cautelare privo di motivazione, in Cass. pen., 1996, 1521. Tale orientamento era maturato già sotto la vigenza del codice Rocco dopo la l. 12.8.1982, n. 532: tra gli altri: v. per tutti, Amodio, E., Il processo penale nella parabola dell’emergenza, in Cass. pen., 1983, 2122. In giurisprudenza v. Cass. pen., 30.11.2011, n. 7967; Cass. pen., 4.12.2006, n. 1102; Cass. pen., 21.11.2006, n. 6322; Cass. pen., S.U., 17.4.1996, Moni, in Cass. pen., 1996, 3276.
2 Cass. pen., 24.1.1997, in Cass. pen., 1998, 169.
3 Cass. pen., 13.12.1995, n. 5502, secondo cui, «poiché, ai sensi dell’art. 309, nono comma, c.p.p., il tribunale del riesame ha il potere di riformare o confermare l’ordinanza cautelare per ragioni che siano anche totalmente diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento impugnato, è del tutto indifferente che questa sia in precedenza esistita o non sia esistita affatto, potendo il collegio integrare il provvedimento medesimo con la motivazione originariamente mancante»; Cass. pen., 9.7.1993, n. 1603, per cui l’impugnazione innanzi al tribunale ha effetto devolutivo ed attribuisce al giudice del gravame una pienezza di cognizione con la possibilità di rimediare sia alla insufficienza che alla mancanza di motivazione; Cass. pen., 20.8.1991, in Cass. pen., 1992, 3098; Cass. pen., 18.12.1990, ibidem, 105.
4 In tal senso Adorno, R., Il riesame delle misure cautelari reali, Milano, 2004, 418 ss.; Betocchi, G., Diritto di difesa e potere d’integrazione nel procedimento di riesame dei provvedimenti di coercizione personale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1986, 144 ss.; Ceresa Gastaldo,M., Il riesame delle misure coercitive nel processo penale,Milano, 1993, 183 ss.; Chiavario, M., Tribunale della libertà e libertà personale, in AA.VV., Tribunale della libertà e garanzie individuali, Bologna, 1982, 180 ss.; Dinacci, F.R., Contenuto e limiti del potere di riesame spettante ai c.d. tribunali della libertà, in Giust. pen., 1984, III, 366 ss.; Illuminati, G.,Modifiche, integrazioni e problemi non risolti nella normativa sul tribunale della libertà, in Grevi, V., La nuova disciplina della libertà personale nel processo penale, Padova, 1985, 391; Turco, E., La motivazione dell’ordinanza di riesame: limiti al potere di integrazione, in Cass. pen., 2001, 3100. In giurisprudenza: Cass. pen., 4.8.1998, in Arch. nuova proc. pen., 1999, 187, con nota di Fadalti, L., Nullità dell’ordinanza custodiale e poteri del tribunale del riesame; Cass. pen., 27.10.1995, ivi, 1996, con nota di Orlandi, R., Riesame del provvedimento cautelare, cit.; Cass., 14.6.1994, ivi, 1995, 1915, con nota di Ceresa Gastaldo,M., Il riesame sulla legittimità dell’ordinanza cautelare: cade il teorema della «motivazione integratrice».
5 V., in tal senso, Cass. pen., 14.6.2012, n. 25513, per cui «il potere-dovere del Tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera nel caso di ordinanza che si sia limitata ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato e che manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti»; Cass. pen., 24.5. 2012, n. 25631, per cui «il potere dovere del tribunale del riesame di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera, oltre che nel caso di carenza grafica, anche quando l’apparato argomentativo, nel recepire integralmente il contenuto di altro atto del procedimento, o nel rinviare a questo, si sia limitato all’impiego di mere clausole di stile o all’uso di frasi apodittiche, senza dare contezza alcuna delle ragioni per cui abbia fatto proprio il contenuto
dell’atto recepito o richiamato o comunque lo abbia considerato coerente rispetto alle sue decisioni»; Cass. pen., 20.4.2012, n. 30696. In dottrina v. Spagnolo, P., Il tribunale della libertà,Milano, 2008, 345 s.
6 V. Cass. pen., 28.3.2012, n. 14830; Cass. pen., 26.1.2011, n. 6966.
7 V. Dossier del Servizio Studi sull’A.S. n. 1232, 15, per cui l’articolo 12 del disegno interviene sugli artt. 309 e 324 c.p.p. per le ragioni così spiegate: «per rafforzare l’obbligo di motivazione del provvedimento applicativo della misura cautelare si prevede che la mancanza di motivazione o di autonoma valutazione da parte del giudice delle specifiche esigenze cautelari o degli indizi ed elementi forniti dalla difesa dell’imputato è causa di annullamento della misura da parte del tribunale del riesame (comma 9)». Ed inoltre: «In merito alla modifica apportata al comma 9 dell’articolo 309 del codice di procedura penale, si sottolinea come la stessa – prevedendo che il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa – potrebbe ritenersi avere carattere derogatorio rispetto alla struttura generale del riesame di cui al citato articolo 309. Infatti ai sensi dei primi due periodi del medesimo comma 9, in sede di riesame, il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma e conferma l’ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. Il tribunale può sia annullare il provvedimento impugnato, sia riformarlo in senso favorevole all’imputato, anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Con l’unico limite del divieto di reformatio in peius, il tribunale della libertà, in sede di riesame, ha quindi la stessa cognizione piena del giudice che ha emesso la misura restrittiva. Nel caso introdotto dal nuovo terzo periodo del comma 9 in questione, il giudice del riesame sembrerebbe invece tenuto a disporre comunque l’annullamento del provvedimento impugnato,mentre in casi analoghi – cioè in casi in cui il provvedimento impugnato presenti vizi cui può porre rimedio lo stesso giudice del gravame – tale giudice, sulla base della normativa vigente, provvede ad integrare o a correggere la motivazione o il contenuto del dispositivo. L’annullamento del provvedimento rimane un’ipotesi estrema, limitata ai casi in cui risulta impossibile l’esercizio dei predetti poteri sostitutivi e integrativi».
8 Per tutti, v.Musio, C.,Motivazione cautelare lacunosa e poteri del tribunale del riesame: una probabile modifica legislativa, in www.penalecontemporaneo.it.
9 Musio, C., op. cit., cit., 15.
10 Musio, C., op. loc. ultt. citt.