Movimenti di macchina
Ogni singola ripresa di un film può essere statica o dinamica. Nel primo dei due casi ci si trova di fronte a un'inquadratura fissa, nel secondo invece a un movimento della macchina da presa. Nato con un punto di vista statico, fatto di sole inquadrature fisse, il cinema si è progressivamente appropriato delle diverse possibilità di rendere dinamico il proprio sguardo. All'inizio l'immagine poteva solo contenere il movimento, poi divenne essa stessa movimento. Insieme al montaggio, ma rispettando la continuità spazio-temporale della realtà rappresentata, i m. di m. possono conferire una natura tridimensionale allo spazio filmico: esso non è più qualcosa che sta semplicemente di fronte allo spettatore, ma uno spazio cui ci si può avvicinare e allontanare, penetrabile e percorribile in tutte le direzioni. Mentre con il montaggio si passa in un istante da un luogo a un altro, o a due parti diverse di uno stesso spazio, con un m. di m. questo passaggio ha una sua durata. Di conseguenza lo spazio al cinema diventa anche tempo. La possibilità dei m. di m. di realizzare, nel corso di una stessa inquadratura, una successione di diversi quadri, prospettive e punti di vista ha fatto sì che si sia fatto ricorso alla definizione di montaggio interno (al piano) per quelle inquadrature che, attraverso il loro movimento, finiscono con il raccordare due o più oggetti e/o personaggi. Inoltre va ricordato che i m. di m. traducono in termini cinematografici la possibilità degli occhi di muoversi costantemente per scoprire a poco a poco i diversi elementi che compongono la realtà circostante.
I movimenti della macchina da presa costituiscono un codice specifico del linguaggio filmico, perché possono essere realizzati solo attraverso l'ausilio della tecnica cinematografica. Da un punto di vista tecnico sono più di uno: i principali sono la panoramica e la carrellata. Nella panoramica la macchina da presa, fissata su un perno, ruota sul proprio asse orizzontalmente o verticalmente. Le panoramiche orizzontali, le più frequenti, possono variare per direzione (verso destra, verso sinistra, prima in un verso e poi nell'altro), estensione (da pochi gradi a una completa rotazione della macchina da presa su sé stessa), continuità (movimento ininterrotto oppure con più o meno lunghe soste) e velocità (quando sono particolarmente rapide prendono il nome di panoramiche a schiaffo, producendo un'immagine mossa, striata, dai contorni confusi e creando, talvolta, un effetto sorpresa). Le stesse opzioni sono presenti per le panoramiche verticali, assai meno frequenti, dove però la direzione è verso l'alto o verso il basso. Più rare ancora sono le cosiddette panoramiche oblique, a rotazione, in cui la macchina da presa s'inclina da una parte o dall'altra.
A differenza delle panoramiche, nelle carrellate la macchina da presa non si limita a ruotare su sé stessa ma è tutta la cinecamera, montata su un mezzo mobile, a muoversi. Questo mezzo mobile è spesso un carrello che corre su binari o si sposta su ruote gommate (talvolta la macchina da presa può anche essere montata su un'automobile che consente una maggiore velocità: si parla in questi casi di camera-car). Le carrellate possono essere laterali (verso destra o verso sinistra), in profondità (in avanti o indietro), diagonali quando attraversano obliquamente lo spazio, miste (il movimento a zig zag) e circolari, quando ruotano intorno a un determinato soggetto, come per es. un gruppo di persone sedute a un tavolo o due amanti che si baciano, secondo quella lezione che dall'Alfred Hitchcock di Vertigo (1958; La donna che visse due volte) passa poi al Brian De Palma di Body double (1984; Omicidio a luci rosse). Come accade per le panoramiche, anche le carrellate possono essere più o meno veloci e ampie, continue o interrotte. Un tipo frequente di carrellata è quella che accompagna uno o più personaggi che camminano in un certo luogo: se la macchina da presa, posta alle loro spalle, avanza, si definisce il movimento come una carrellata a seguire, se invece essa arretra di fronte ai personaggi che avanzano si parla di carrellata a precedere. Carrellate e panoramiche possono ovviamente combinarsi fra loro dando vita così a m. di m. più complessi e articolati. È possibile effettuare carrellate anche attraverso mezzi volanti (elicotteri, aerei) o tramite una rete di cavi lungo cui è fatta scorrere un'apposita macchina da presa (skycam). Questo tipo di m. di m. prende il nome di carrellata aerea.
Ancora più elaborate sono le carrellate (o travelling) che si possono realizzare con l'ausilio di dolly e gru (termini usati non solo per definire determinate apparecchiature, ma anche il movimento che esse producono). In entrambi i casi la macchina da presa è sistemata all'estremità di un braccio mobile ed estensibile, che può compiere sostanzialmente ogni tipo di movimento, sostenuto da una piattaforma munita o meno di ruote. La differenza fra un movimento realizzato con il dolly e uno realizzato con la gru sta tutta nella maggiore complessità e possibilità di elevazione che il secondo (in grado di arrivare anche a 15-20 metri di altezza) ha rispetto al primo. Sia il dolly sia la gru prevedono che sulla piattaforma in cui è collocata la macchina da presa si trovino anche i sedili per l'operatore e il regista o un assistente. Sono stati successivamente elaborati nuovi sistemi di ripresa dinamica, come la louma, lo snorkel kenworthy e la steadycam (v. oltre).
Esistono ancora due tipi di m. di m. che è necessario descrivere. Il primo è il più rudimentale: si tratta del movimento realizzato con la macchina a mano o a spalla, dove, senza l'ausilio di alcuna apparecchiatura, l'operatore muovendosi dà vita, di fatto, a riprese dinamiche. Questi movimenti sono spesso irregolari, procedono a sbalzi, mancano della fluidità che invece contraddistingue i movimenti realizzati con gli equipaggiamenti tecnici sopra descritti. Le riprese a spalla nacquero soprattutto come una necessità nell'ambito dei reportage giornalistici prima, e del Cinéma vérité poi, quando l'unico modo di riprendere un evento in corso ‒ per es. un'azione militare o una manifestazione di massa ‒ era quello di afferrare la macchina da presa e seguirlo come si poteva. Il cinema di finzione si è poi appropriato di questa possibilità anche per introdurre un maggior effetto di realtà in occasione di scene che rappresentano fatti simili a quelli spesso oggetto di reportage. Caratterizzandosi come un procedimento linguistico trasgressivo, che si oppone alla fluidità dei movimenti tradizionali attraverso i suoi sbalzi e strappi, la macchina a mano è stata frequentemente usata da molti registi della modernità, fra cui Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Glauber Rocha e Stanley Kubrick.Esistono, infine, anche le carrellate ottiche. In questo caso il movimento è in realtà solo apparente, poiché la macchina da presa non si muove affatto: a farlo sono solo le sue lenti, grazie a degli obiettivi particolari a ottica variabile (zoom). Le carrellate ottiche possono essere in avanti o indietro, proprio come certe carrellate meccaniche. La differenza fra i due tipi di movimento è tuttavia molto evidente. Una carrellata in avanti lascia intatte le proporzioni spaziali tra il soggetto principale e lo sfondo; la carrellata ottica, al contrario, passando senza soluzione di continuità da un obiettivo a focale corta a uno a focale più lunga, tende a schiacciare il soggetto sullo sfondo, a ridurre la profondità di campo e a creare un effetto di forte artificialità. Essa, quindi, rende più evidente la presenza della cinecamera e, di conseguenza, il carattere fittizio della rappresentazione: per questo è stata utilizzata da molti registi del cinema della modernità, come Michelangelo Antonioni e Pasolini, il cui intento era anche quello di far avvertire la presenza della macchina da presa. La sua economicità poi ‒ una carrellata ottica costa molto meno di una meccanica ‒ ha fatto sì che essa venisse ampiamente sovrautilizzata da certo cinema di genere e popolare, come accade nei film di kung fu diretti da Chang Che. È divenuta poi pratica corrente combinare panoramiche, carrellate meccaniche e carrellate ottiche per ottenere movimenti sempre più elaborati e funzionali alle esigenze espressive del film.
Al di là delle loro caratteristiche tecniche, i m. di m. possono assolvere a un certo numero di funzioni espressive. Innanzitutto occorre distinguere fra due grandi tipi di m. di m.: quelli liberi o indipendenti e quelli subordinati. I primi non seguono alcun movimento profilmico contenuto dall'inquadratura (personaggio o oggetti che si muovono), ma percorrono liberamente lo spazio rappresentato, passando da un luogo a un altro. I secondi, al contrario, sono determinati dallo spostamento di qualche elemento profilmico, come un personaggio che cammina o un'auto che corre lungo la strada: la macchina da presa si muove per seguirli nel loro movimento alla stessa velocità e mantenendo costanti distanza e angolazione. Tra queste due possibilità estreme ne esistono ovviamente di mediane. Un m. di m. può iniziare in modo libero ma poi subordinarsi a quello di un attore in movimento; oppure può sì seguire lo spostamento di qualcuno, ma passare poi liberamente da un personaggio all'altro; o, ancora, può continuare a tenere in campo un personaggio che cammina ma variandone continuamente la distanza e l'angolazione di ripresa. Più è libero e più il movimento diventa espressione diretta del lavoro del regista del film (e della sua istanza narrante); più, invece, è subordinato e più la sua presenza si fa inavvertibile raggiungendo a volte l'invisibilità (si pensi, per es., alle correzioni di campo, cioè a quei brevi m. di m. conseguenti a piccoli spostamenti di un personaggio, funzionali a tenere quest'ultimo al centro dell'inquadratura e a evitare che parte del suo corpo possa oltrepassare i limiti del quadro).
Una prima vera e propria funzione dei m. di m. è quella descrittiva. A volte un m. di m. ha il compito di mostrare un determinato ambiente o un certo personaggio: entrambi possono essere introdotti attraverso un piano d'insieme ‒ se si tratta di un ambiente ‒ o una figura intera ‒ se invece si ha che fare con un personaggio. Tuttavia queste due possibilità possono essere sostituite o seguite dall'uso di piani più ravvicinati, in grado di esplorare l'ambiente o il personaggio in tutti i suoi dettagli, di descriverlo in tutte le sue parti attraverso dei m. di m. più o meno prolungati, capaci di offrire allo spettatore un numero di informazioni maggiori di quelle che passerebbero attraverso inquadrature più distanziate. Ne è un esempio l'incipit di Rear window (1954; La finestra sul cortile) di Hitchcock, dove prima una serie di m. di m. descrive il risveglio di un caseggiato newyorkese, poi, entrata nell'appartamento di Jeff (James Stewart), la macchina mostra la sua gamba ingessata, la macchina fotografica rotta, alcune fotografie di spettacolari incidenti ed esplosioni per arrivare alla copertina di una rivista su cui si vede l'immagine della fidanzata (Grace Kelly) dello stesso Jeff.
Un'altra funzione possibile è quella connettiva. Un m. di m. si avvia mostrando qualcosa e, nella maggioranza dei casi, termina mostrando qualcos'altro. Un piano può così essere scomposto in almeno due quadri, ognuno con un proprio soggetto particolare (per es. due diversi personaggi). In questo modo, almeno su un piano visivo, i m. di m. stabiliscono un legame fra questi due soggetti, connettendoli fra loro (proprio come potrebbe accadere attraverso il montaggio) allo scopo, per es., di preludere al loro effettivo incontro. È quel che accade in Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola, quando, all'inizio del film, la macchina da presa si muove sulla facciata del condominio in cui si svolgerà la storia, passando dall'immagine di Antonietta (Sophia Loren) a quella di Gabriele (Marcello Mastroianni) prima ancora che i due personaggi abbiano avuto modo di incrociare i loro destini.
I m. di m. che avanzano o arretrano possono poi dar corpo a un'altra coppia di funzioni: selettiva ed estensiva. I m. di m. selettivi sono quelli che partono da un piano relativamente distanziato e si avvicinano poi a un determinato soggetto, evidenziandolo così a partire dal suo contesto, selezionandolo dallo spazio di cui è parte, valorizzandolo in relazione a un determinato insieme. Un esempio radicale di questa modalità di rappresentazione è costituito dal film sperimentale di Michael Snow Wavelenght (1967), costituito da una lunghissima carrellata ottica di quarantacinque minuti che mostra l'interno di un loft di New York ‒ dalle cui finestre si vede sullo sfondo il movimento del traffico nelle strade ‒ e si ferma sul dettaglio di una fotografia appesa al muro tra le due finestre. I m. di m. estensivi, invece, sono quelli che partono da un piano ravvicinato e poi indietreggiano allargando il campo di ripresa allo spazio d'insieme che comprende il soggetto inizialmente evidenziato, il quale subisce in questo modo un processo di contestualizzazione. Tali m. di m. allontanano fisicamente lo spettatore dal soggetto ripreso, determinando, a seconda dei casi, una sorta di distacco psicologico o la rivelazione progressiva di una realtà inaspettata. In Barry Lyndon (1975), Kubrick ricorre più volte a questa possibilità espressiva, per es. nell'inquadratura che apre la terza scena del film e che, partendo dalla statua di un putto, allarga poi il campo a comprendere Redmond Barry e la cugina Nora i quali, seduti a un tavolo mentre giocano a carte, vengono così a ritrovarsi uno a destra e l'altra a sinistra dello stesso putto. La statua di un bambino prima, quella stessa statua fra un uomo e una donna poi: attraverso questo m. di m. estensivo Kubrick riprende così quel tema della famiglia già introdotto nelle prime scene e destinato a giocare un ruolo di primo piano anche in tutto il resto del film.
Un m. di m. finisce quasi sempre con il mettere in campo quel che prima era fuori campo. Nel suo percorrere uno spazio con deliberata lentezza, un'inquadratura dinamica può introdurre una certa tensione, che spinge lo spettatore a interrogarsi su quel che la cinecamera finalmente mostrerà al termine del suo movimento: è quel che accade, per es., nel drammatico incipit in soggettiva dell'assassino di Halloween (1978; Halloween ‒ La notte delle streghe) di John Carpenter, che solo dopo un lungo e lento movimento arriverà alla messa in campo della vittima designata. Questo tipo di m. di m. assume così una funzione tensiva.Quando sono raccordati allo sguardo di un personaggio, i m. di m. possono talvolta assolvere a una funzione soggettiva, tesa cioè a rafforzare, per es., il desiderio di un personaggio di possedere qualcosa o qualcuno. In Notorious (1946; Notorious ‒ L'amante perduta) di Hitchcock, Alice (interpretata da Ingrid Bergman) deve entrare in possesso delle chiavi della cantina del marito Sebastian (Claude Rains) dove sono nascoste le prove dei suoi loschi traffici. Le chiavi si trovano sulla scrivania nella stanza dell'uomo. Giunta sulla soglia di questa, la donna dirige il suo sguardo verso un punto del fuori campo. Un raccordo mostra l'oggetto del suo sguardo: la scrivania. Un m. di m. inizia ad avvicinarsi a essa sino a mettere in campo e a isolare il mazzo di chiavi che vi si trova sopra. Questo m. di m., oltre ad assolvere a un'evidente funzione selettiva, traduce anche in termini visivi il desiderio della protagonista di entrare in possesso di quelle chiavi.I m. di m. possono poi avere anche una funzione estetica, in particolare quelli realizzati con l'ausilio di dolly, gru o altre apparecchiature (v. oltre). In questi casi il movimento della macchina da presa cerca essenzialmente di conferire all'immagine una dimensione esplicitamente spettacolare, come avveniva, per es., nell'ambito dei musical diretti da Busby Berkeley quali Gold diggers of 1935 (1935; Donne di lusso) al fine di rendere ancora più affascinanti le scenografie e le coreografie dei diversi numeri di danza. Infine non si può dimenticare come, talvolta, un piano in movimento possa assumere anche una funzione semantica, contribuire cioè in modo decisivo a determinare il significato di una certa situazione narrativa. Ne è un esempio più che convincente la lunga inquadratura di Gangs of New York (2002) diretto da Martin Scorsese in cui, attraverso un unico m. di m., si vedono alcuni immigrati scendere da una nave, altri fare la fila per arruolarsi, altri ancora già in divisa militare risalire su una nave da cui, sempre all'interno dello stesso piano, si vedono calare con delle funi una serie di bare che, presumibilmente, contengono i cadaveri di altri soldati ancora.
È all'operatore dei Lumière, Alexandre Promio, che viene attribuito il merito di aver realizzato, nel 1897, la prima inquadratura in movimento, quando mise la sua cinecamera su una chiatta per le riprese di Le grand canal à Venise. A partire dall'anno seguente fu realizzato un discreto numero di film con immagini riprese da treni in movimento, sia in Inghilterra sia in Francia. Le inquadrature in cui la macchina da presa era posizionata su una locomotiva presero, in quegli anni, il nome di phantom ride. Sempre nel 1897 il regista inglese Robert William Paul utilizzò, in Jubilee of Queen Victory, una panoramica, con la macchina da presa appoggiata su un treppiede, per filmare il passaggio della processione per i festeggiamenti della regina Vittoria. Raramente, tuttavia, tale procedimento fu usato prima del 1900 e, sino al 1903, le panoramiche sono presenti nelle attualità, ma quasi mai in film drammatici. Quando ciò accade, come nel caso del film Biograph Caught in the undertow (1902), si tratta perlopiù di panoramiche che accompagnano lo spostamento di un personaggio. In alcuni casi, tuttavia, queste panoramiche potevano assumere una funzione drammatica, scoprendo, durante o al termine del loro movimento, qualcosa di inatteso. Ciò, per es., accadeva già nel film Biograph Love in the suburbs (1900), dove la macchina da presa segue una donna a sua volta seguita da due malviventi, per poi rivelare con il suo movimento la presenza di un poliziotto. Dal 1904 questa soluzione venne sempre più usata, come testimoniano, tra gli altri, i film di Edwin S. Porter Maniac chase (1904) e Stolen by gypsies (1905). Nei casi citati, le panoramiche superavano i 90° di ampiezza, ma erano realizzate solo in esterni e quasi mai si muovevano sul paesaggio senza seguire anche il movimento degli attori (i cineasti americani non amavano indulgere sull'atmosfera, preferendo insistere sullo sviluppo dell'azione). Fu a partire dal 1905 che in Europa, negli studi Pathé, esse iniziarono a essere usate in interni, con il compito di scoprire progressivamente diversi personaggi e complesse scenografie. Anche nel cinema danese si possono rinvenire esempi di panoramiche orizzontali e verticali in interni, come in Roverens Brud (1907, La moglie del bandito) di Viggo Larsen.
Poche, sino al 1906, anche le carrellate. Un caso curioso è rappresentato da Hooligan in jail (1903), un film Biograph fatto di tre inquadrature, ognuna delle quali contiene una lenta carrellata da campo lungo a primo piano sul volto del personaggio principale, soluzione che, tuttavia, non ebbe particolare seguito. Nei primi anni del Novecento è possibile registrare alcuni, rari, esempi di riprese di un veicolo in movimento da un altro veicolo in movimento che lo segue o precede, come accade in The runaway match (1903) di Alf Collins. Fu solo a partire dal 1910 che i carrelli iniziarono effettivamente a diffondersi. Come avveniva per le panoramiche, essi erano perlopiù carrelli a seguire gli spostamenti di un personaggio, piuttosto che movimenti su una scena fissa: fra le poche eccezioni, quelli di alcuni film della casa di produzione inglese Hepworth (An old soldier, 1910; Church and State, 1911; The deception, 1912). Fra i film statunitensi che usarono tale procedimento si possono ricordare The passer-by (1912) di Oscar Apfel, dove una carrellata su un uomo che prepara una tavola passa da un campo medio a un mezzo primo piano per introdurre, attraverso una dissolvenza conclusiva, un suo flashback, e Traffic in souls (1913) di George Loane Tucker, dove si effettua una carrellata laterale su una serie di celle in cui sono rinchiusi alcuni prigionieri. L'esempio più influente di carrellate laterali su scene sostanzialmente statiche è quello di Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone (nel film le carrellate erano realizzate attraverso l'ausilio di un treppiede dotato di ruotine). In quegli anni, tuttavia, le carrellate più comuni rimasero quelle su veicoli in movimento, come accade nei film diretti da David W. Griffith Drive for a life (1909) e The girl and her trust (1912). Lo stesso Griffith, nei suoi celebri The birth of a nation (1915; Nascita di una nazione) e Intolerance (1916), utilizzò, anche grazie all'abilità del suo operatore Billy Bitzer, ampie panoramiche e carrellate, in particolare ricorrendo in Intolerance, dopo aver scartato l'idea di utilizzare una mongolfiera, a uno dei primi e rudimentali esempi di gru, realizzata con l'ausilio di un montacarichi controllato da un argano e fatto scorrere su rotaie.Nella seconda metà degli anni Dieci la generale tendenza a inquadrature più ravvicinate favorì il ricorso a correzioni di campo, piccoli spostamenti della macchina da presa necessari a tenere i personaggi dentro i bordi dell'immagine. Si è già citata l'importanza dei carrelli in Cabiria: nel film la macchina da presa si muoveva diagonalmente, creando così effetti di profondità; si trattava, tuttavia, di carrelli dall'estensione limitata, lenti e incapaci di avvicinarsi troppo ai personaggi. In alcuni film statunitensi della metà degli anni Dieci, invece, come David Harum (1915) di Allan Dwan e The vagabond (1916; Il vagabondo) di Charlie Chaplin, sono presenti carrelli che si muovono con maggior velocità, si avvicinano di più agli attori e attraversano lo spazio in profondità sia in avanti sia indietro; alcuni di essi, inoltre, potevano anche comprendere una panoramica (secondo una scelta che non veniva invece effettuata in Cabiria). Sempre in quegli anni era abbastanza raro che un film contenesse più di due o tre carrellate: fa eccezione The second in command (1915) di William J. Bowman, dove se ne possono contare più di una ventina, anche di una relativa complessità che, in alcuni casi, arrivano a dei primi piani. Più frequenti delle carrellate erano, tuttavia, le panoramiche che, a volte, erano utilizzate con finalità chiaramente espressive, come quella in soggettiva dell'uomo sulla sua potenziale preda femminile in Blind husbands (1919; Mariti ciechi o La legge della montagna) di Eric von Stroheim.Fu nel cinema europeo degli anni Venti che i m. di m. si affermarono come uno strumento espressivo di grande importanza. Carrellate su scene statiche sono presenti in alcuni film francesi di quel periodo, come Au secours (1923) di Abel Gance, L'auberge rouge (1923) di Jean Epstein e L'inondation (1924) di Louis Delluc. Ma a costituire veri e propri esempi per il mondo intero furono soprattutto film tedeschi come Variété (1925) di Ewald André Dupont (con le sue riprese mobili dalla ruota di un luna park o, addirittura, da un trapezio volante) e Der letze Mann (1924; L'ultima risata) di Friedrich W. Murnau, che si apre con una scena in cui la macchina da presa, collocata inizialmente su un ascensore, carrella in basso verso la grande hall dell'albergo che poi percorrerà, montata su una bicicletta, sino ad attraversare la porta girevole, oltre la quale mostrerà finalmente il protagonista del film.Nella seconda metà degli anni Venti i m. di m. del cinema statunitense erano indubbiamente più numerosi di quanto non fosse mai accaduto in precedenza, in stretta correlazione con gli sviluppi della tecnica: la prima vera e propria gru ‒ destinata a essere prodotta in serie e dotata di una piattaforma sufficientemente ampia da potervi sistemare due macchine da presa con relativi cavalletti ‒ fu costruita sotto la direzione di Paul Fejos in occasione della realizzazione del suo film Universal Broadway (1929). Sebbene fosse il cinema europeo a fare, in quegli anni, un uso maggiore ed espressivamente più ricco dei m. di m., come testimoniano tra gli altri L'argent (1929) di Marcel L'Herbier e Napoléon (1927; Napoleone) di Gance, anche negli Stati Uniti registi come King Vidor diedero un loro contributo essenziale alla definizione delle possibilità espressive e spettacolari delle panoramiche e delle carrellate: si veda, per es., la scena iniziale di The crowd (1928; La folla) con la macchina da presa che sale lungo un grattacielo, si avvicina a una finestra illuminata, la oltrepassa, percorre dall'alto una vasta sala piena di impiegati sino ad arrivare alla scrivania del protagonista del film.
L'avvento del sonoro, che nei primissimi anni implicava la registrazione in presa diretta di voci, rumori e musiche, determinò una serie di difficoltà che, per un breve periodo, rallentarono lo sviluppo delle tecniche relative all'uso dei movimenti di macchina. Ma ben presto questi ostacoli furono superati e i grandi studi americani si dotarono di gru sul modello di quella messa a punto dalla Universal nel 1929. La tradizione stabilita da Broadway volle, tuttavia, che questi ampi m. di m. fossero essenzialmente utilizzati per la rappresentazione di numeri musicali, sebbene talvolta ciò potesse accadere anche per altre situazioni, come testimoniano The scarlet empress (1934; L'imperatrice Caterina) di Josef von Sternberg o The adventures of Robin Hood (1938; La leggenda di Robin Hood o Robin Hood) di Michael Curtiz. Nel 1931 nacquero anche i primi dolly, come il prototipo messo a punto per The front page (Prima pagina) di Lewis Milestone, e prodotto poi l'anno successivo dalla Bell&Howell. Ormai le inquadrature in movimento erano un aspetto integralmente acquisito sia dal cinema statunitense sia da quello degli altri Paesi. Negli anni Quaranta, con la tendenza a girare piani più lunghi che non nei decenni immediatamente precedenti, crebbe l'uso dei m. di m. per variare il quadro all'interno dei singoli piani. Fra gli esempi più radicali, anche per l'utilizzo di riprese con la gru al di fuori del musical, quello di The clock (1945; L'ora di New York) di Vincente Minnelli. Veri e propri esercizi di stile per ciò che concerne l'uso dei m. di m. furono, in quegli anni, quelli di Hitchcock per Rope (1948; Nodo alla gola o Cocktail per un cadavere) e Under Capricorn (1949; Il peccato di lady Considine, noto anche come Sotto il capricorno). Sempre nello stesso periodo furono introdotti i primi carrelli con ruote gommate, perfezionati poi nel 1950 con un più efficace sistema idraulico. Un apparecchio simile fu utilizzato da Roberto Rossellini per la sequenza della festa iniziale di Viaggio in Italia (1954).
Negli anni Cinquanta cominciarono anche a diffondersi le carrellate ottiche, grazie alla messa a punto di nuovi tipi di lenti fra cui la Pan Cinor della francese SOM-Berthiot, e più tardi, nel 1963, l'Angénieux. Fra i primi esempi di uso delle carrellate ottiche ci sono quelli dei film di Rossellini Era notte a Roma (1960) e Viva l'Italia! (1961). Nei primi anni Sessanta l'uso dello zoom era per lo più appannaggio del nuovo cinema europeo (per es. Billy liar, 1963, Billy il bugiardo, di John Schlesinger) e solo raramente i registi statunitensi vi facevano ricorso (fra questi il Richard Brooks di The professionals, 1966, I professionisti). Le carrellate ottiche, negli Stati Uniti, sembravano soprattutto concernere il mondo della televisione così come i m. di m. a mano, molto diffusi invece tra i registi della Nouvelle vague, Jean-Luc Godard e François Truffaut in testa. Tuttavia, nel 1966, la macchina da presa portatile a 35 mm Panaflex fu usata da John Frankenheimer per inquadrature soggettive e movimenti a spalla in Grand Prix (1966), mentre, qualche decennio più tardi, l'instabile camera a mano è stata ampiamente usata negli Stati Uniti da Woody Allen in film come Husbands and wives (1992; Mariti e mogli) e Manhattan murder mistery (1993; Misterioso omicidio a Manhattan), e in Europa da Lars von Trier per Breaking the waves (1996; Le onde del destino) e Dancer in the dark (2000). Negli anni Sessanta i dolly si perfezionarono sempre più e con essi le tecniche di ripresa per le carrellate aeree (grazie, per es., alla messa a punto di macchine da presa ad hoc come la Tyler e la Wesscam, quest'ultima usata poi anche per semplici gru, come avviene nel piano-sequenza finale di Professione: reporter, 1975, di Michelangelo Antonioni).Gli anni Settanta videro la messa a punto di altre importanti e nuove apparecchiature. La prima fu la gru louma, dotata di un braccio tubolare assai sottile in grado di muoversi e ruotare in tutte le direzioni possibili, agire in spazi ristretti ed essere controllato attraverso un video remoto che consente all'operatore di manovrare la macchina da presa a distanza e con precisione assoluta (fra i primi registi a usarla con particolare efficacia fu Wim Wenders in Der Himmel über Berlin, 1987, Il cielo sopra Berlino). Un'ulteriore evoluzione della louma è data dallo snorkel kenworthy, un vero e proprio periscopio collegato direttamente all'obiettivo che, liberando quest'ultimo dall'ingombro della macchina da presa, rie-sce ad arrivare ovunque. Con esso il sogno del 'cineocchio' sembra davvero essersi realizzato. Un'altra importante innovazione del decennio fu la steadycam, ideata dall'operatore Garrett Brown. Si tratta, sostanzialmente, di un'intelaiatura 'indossata' dall'operatore e dotata di un sistema di ammortizzatori su cui è posta la macchina da presa; essa consente di realizzare dei m. di m. quasi con la stessa facilità delle riprese a spalla ‒ con l'operatore che cammina o addirittura salta e corre ‒ determinando però una fluidità del movimento a queste del tutto preclusa. Fra i primi registi a usarla ci furono Hal Ashby in Bound for glory (1976; Questa terra è la mia terra), J. Schlesinger in Marathon man (1976; Il maratoneta) e John G. Avildsen in Rocky (1976). Nel film di Asbhy c'è una sequenza in cui l'operatore si trova inizialmente sulla piattaforma di una gru in discesa; quando questa arriva a terra, l'operatore la lascia e continua la ripresa con l'ausilio della steadycam (secondo un procedimento poi ampiamente diffuso). Fra le riprese più note realizzate con la steadycam ci sono quelle dello stesso G. Brown per The shining (1980; Shining) di Kubrick.Nel corso degli ultimi decenni del Novecento si è assistito a un sempre maggior affinarsi dell'uso del computer per controllare a distanza i dettagli dei movimenti della macchina da presa montata su un supporto. Inoltre il digitale e le nuove tecnologie consentono di realizzare inquadrature in movimento esclusivamente realizzate al computer (virtual travelling movement), aprendo così nuovi e ancora inesplorati territori i cui limiti sembrano ormai essere solo quelli della fantasia umana.
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