Movimenti integralistici
A partire dalla metà degli anni settanta nel mondo cristiano, giudaico e islamico hanno fatto la loro comparsa diversi movimenti che si battono per riorganizzare la società sulla base di un'interpretazione letterale dei testi sacri. Questo fenomeno è sorprendente per più di una ragione, ma anzitutto perché ci si era abituati, dopo la fine della seconda guerra mondiale, a una modernizzazione che marciava di pari passo con la svalutazione del sacro, con una secolarizzazione che confinava l'elemento religioso nella sfera privata. D'altra parte si pensava anche che il riferimento alla religione fosse proprio della dimensione più 'tradizionale' della cultura, e invece questi movimenti sono composti, come vedremo, in maggioranza da giovani che hanno fatto propri gli aspetti più 'moderni' della cultura contemporanea, e i loro dirigenti hanno in genere ricevuto un'istruzione universitaria e, più specificamente, tecnico-scientifica. Non si tratta dunque di un 'ritorno del religioso' dopo un'eclissi di qualche decennio; piuttosto, questi movimenti fanno uso, sì, di un vocabolario e di categorie che appartengono al lessico cristiano, ebraico o musulmano, ma lo riorganizzano all'interno di un sistema di significati direttamente strutturato dai rapporti di forza prevalenti nelle società 'postmoderne' degli ultimi decenni del XX secolo. Cosa hanno in comune il Fronte Islamico di Salvezza algerino, il Gush Emunim israeliano, Comunione e Liberazione, o i 'telepredicatori' evangelici americani - per non parlare del Bharatiya Janata Party indù?Limitandosi a osservarne i tratti superficiali comuni, molti osservatori occidentali riconducono tutti questi fenomeni sotto le etichette di 'fondamentalismo' o 'integralismo', giacché per comprendere fatti sociali nuovi si tende a ricondurli a ciò che è familiare o che si crede di conoscere. Ma questo approccio è riduttivo: esso non ci permette di esaminare questi fenomeni come originali, di chiederci in che modo la loro comparsa consenta di mettere a fuoco differenziazioni e riclassificazioni che ci sollecitano a interrogarci sui cambiamenti delle nostre società, e in realtà ne occulta i significati. Pertanto, pur ricorrendo qui alla terminologia tradizionale per parlare di movimenti 'integralistici', ci sforzeremo di considerare la comparsa di movimenti di ricristianizzazione, reislamizzazione e regiudaizzazione come l'occasione non solo per osservare e descrivere questi fenomeni come fatti sociali, ma anche per comprendere ciò che il loro manifestarsi ci suggerisce riguardo alle realtà sociali in cui essi appaiono. Gli anni settanta hanno assistito al passaggio, nei paesi sviluppati, dall'organizzazione sociale dell'era industriale a quella dell'era postindustriale. La solidarietà operaia, caratterizzata dall'identificazione con il luogo di lavoro - all'interno di grandi concentrazioni umane rigidamente gerarchizzate come le fabbriche - così come dalla militanza sindacale, lascia progressivamente il posto a forme inedite di anomia e di perdita dei punti di riferimento. In effetti in questo decennio comincia a manifestarsi una disoccupazione strutturale, che coinvolge manodopera qualificata e forza lavoro intellettuale: l'acquisizione delle tecniche e delle conoscenze della modernità secolarizzata non garantisce più l'accesso a un'identità sociale. Coloro che conservano un impiego vedono trasformarsi il proprio rapporto con il lavoro nel senso di una maggiore individualizzazione, e persino della solitudine di fronte a un'organizzazione in cui gli interlocutori assumono sempre più spesso la forma di terminali elettronici. Si sviluppa poi per i giovani tutto un settore di lavori precari che nel linguaggio colloquiale americano vengono chiamati MacJobs, con riferimento alle catene MacDonald's, che si sostituiscono ai lavori 'garantiti' dei colletti blu della generazione precedente. Questi effetti perversi della postmodernità, che si manifestano sotto forma di disoccupazione e anomia, allentano i legami tra individui e società, e creano inoltre un vuoto nella sfera del senso e un bisogno di risocializzazione. Non solo: i giovani che si confrontano con una siffatta situazione di crisi sono la prima generazione che ha avuto accesso in modo massiccio all'istruzione superiore, a conoscenze che un tempo erano riferite all'élite e procacciavano lavoro, ma si rivelano ormai 'svalutate'. Infine, queste profonde trasformazioni si accompagnano alla crisi ideologica che travolge le visioni del mondo elaborate dal socialismo nelle sue diverse versioni, screditate in seguito al fallimento delle democrazie popolari del blocco sovietico. E nessuna 'utopia laica', portatrice di un progetto di ricostruzione sociale, sembra in grado di sostituirsi ad esse.
Nei paesi in via di sviluppo del mondo musulmano si assiste, nel medesimo periodo, a una crisi drammatica, per alcuni versi parallela a quella osservabile nel mondo occidentale. Essa è anzitutto di natura demografica, ma presenta pure una dimensione culturale e ideologica e, in ultima analisi, rimette radicalmente in discussione il rapporto con il lavoro. Mentre in Europa e negli Stati Uniti la generazione del baby-boom, dopo la seconda guerra mondiale, ha fatto crescere in misura notevole il numero dei giovani in possesso di un'istruzione superiore, a sud del Mediterraneo l'esplosione demografica ha spostato decine di milioni di giovani dalle campagne verso le periferie urbane, esponendoli all'alfabetizzazione di massa. Per la prima volta nel mondo musulmano una generazione aveva accesso nella sua grande maggioranza alla scrittura (perlomeno i giovani di sesso maschile): si tratta della generazione che, nata dopo l'indipendenza, non aveva conosciuto la colonizzazione. Gli Stati indipendenti musulmani, molti dei quali avevano costruito la propria legittimazione su ideologie nazionaliste che si richiamavano ai valori laici moderni piuttosto che affidarsi all'elemento tradizionale religioso, si trovarono impreparati a fronteggiare gli obblighi creati dall'esplosione demografica sul mercato del lavoro. L'industrializzazione non rappresentava affatto una possibilità di occupare la forza lavoro delle giovani generazioni istruite; essa arrivava troppo tardi per produrre merci che potessero competere sul mercato mondiale con quelle prodotte dalle macchine delle società postindustriali. Un alto grado di disoccupazione e l'inattività senza sbocchi di gran parte della gioventù contrastavano in maniera impressionante con le aspettative sociali che l'accesso all'istruzione aveva fatto nascere nelle nuove generazioni. La crisi sociale si trasformava in una crisi culturale profonda; il discorso di legittimazione del potere indipendente, che si richiamava alla modernità e allo sviluppo su cui il mondo occidentale aveva basato le regole della propria universalità, venne rifiutato insieme ai valori che esprimeva, a vantaggio di una 'alternativa islamica' che si era andata definendo nelle prigioni egiziane durante gli anni più duri dello Stato di polizia di Nasser.
Così, a Nord come a Sud, profonde e parallele trasformazioni strutturali mettono in crisi, nel corso degli anni settanta, norme e valori socioculturali; la crisi è molto più acuta a Sud in ragione del sottosviluppo e della disgregazione sociale, ma gli esiti sono comparabili: obsolescenza dei vincoli di solidarietà e delle ideologie costituite - tanto di quelle che accrescono la coesione sociale, quanto di quelle che la contestano e mirano a edificare la società socialista. È in questo quadro generale che i movimenti integralistici conoscono una crescita significativa, e paradossale rispetto a una modernità che sembrava consustanziale alla secolarizzazione.
Il processo che ha avuto questo esito paradossale non è lineare ma si articola, in ognuno degli ambiti religiosi che ci interessano, in due grandi fasi storiche. In un primo momento, dalla metà degli anni settanta a circa la metà degli anni ottanta, hanno occupato la scena movimenti religiosi che privilegiavano una strategia di conquista del potere politico, o di pressione su di esso. Essi agiscono 'dall'alto' e cercano attraverso lo Stato di ricondurre le società all'islamismo, al giudaismo o al cristianesimo, applicando leggi e norme modellate su quelle dei testi sacri e rese vincolanti da quel potere pubblico che essi aspirano a controllare. Ripetuti fallimenti di questa strategia portarono a un nuovo orientamento; a partire dalla metà degli anni ottanta, è cresciuto infatti l'impatto dei movimenti che privilegiano una strategia 'dal basso': anziché proporsi come obiettivo primario la conquista del potere politico, essi intendono trasformare prima l'individuo e le sue abitudini quotidiane, recidere i suoi legami e le sue consuetudini con valori e norme della circostante società laica, in modo che egli si riferisca prioritariamente a una concezione del mondo direttamente ispirata alle norme e prescrizioni bibliche, evangeliche, coraniche, o al magistero della Chiesa. Questi movimenti si propongono poi di risocializzare l'individuo nell'ambito di comunità di 'veri credenti', il cui compito è di estendersi fino a comprendere 'dal basso' l'intero corpo sociale, di penetrare nella società con il proselitismo e l'esempio, fornendo risposte e rimedi concreti alla crisi dei valori e dei legami sociali che si traduce in anomia e disorientamento.
Nell'insieme di questi movimenti possiamo osservare infine l'interazione tra due tipi principali di attori. Abbiamo anzitutto gli intellettuali - che esercitano la leadership nella maggioranza dei gruppi - il cui bagaglio culturale è costituito da conoscenze tratte dal campo delle scienze applicate: ingegneri, medici, informatici vi sono largamente rappresentati. Una formazione culturale di questo tipo che, all'inizio del secolo, solitamente approdava allo scientismo e al positivismo, sembra oggi a molti di coloro che la posseggono disgiunta da una vera e propria visione del mondo e inadatta a far fronte - come invece faceva, alla stregua di una religione laica, la fede nel progresso della scienza - alle grandi questioni etiche. Questi nuovi 'intellettuali religiosi' applicano direttamente ai testi sacri i metodi conoscitivi che hanno acquisito nel corso dei loro studi scientifici. Talvolta essi rifiutano deliberatamente vincoli e garanzie autorevoli elaborati dal clero istituzionale - il secondo attore principale - di cui condannano la prudenza sul piano sociale; in altri casi si alleano con una parte di questo clero, che cercano di far convergere sulle proprie posizioni di critica dell'ordine stabilito.
La prima fase (strategia 'dall'alto') è esemplificata nel mondo musulmano dalla rivoluzione islamica iraniana del 1979, frutto di una riuscita alleanza tra le masse di giovani insoddisfatti della propria situazione, la neo-intelligencija islamica di formazione tecnico-scientifica e una frazione del clero sciita guidata dall'ayatollah Khomeinī. La conquista del potere ha consentito un'applicazione effettiva della legge sacra, la sharī῾a, la cui giusta interpretazione dà peraltro luogo a molte discussioni. Fuori dall'Iran, nel mondo arabo sunnita, i tentativi di reislamizzazione dall'alto sono invece falliti: non conquista il potere il movimento islamico al Jihad, responsabile dell'assassinio di Sādā῾t nell'ottobre 1981; in Siria nel 1982 la sollevazione della città di Hamāk, guidata dai Fratelli musulmani, viene soffocata nel sangue; in Algeria le formazioni partigiane islamiche di Mustapha Bouyali, nate in quello stesso anno, si dissolvono con la morte del loro capo nel 1987. Nei regimi autoritari i militanti islamici più radicali hanno tentato di impadronirsi con la forza dello Stato, che però alla fine li ha sgominati - senza comunque risolvere i problemi che li avevano spinti all'azione. Sul piano della dottrina, l'influenza maggiore su questi movimenti è stata esercitata dal pensiero dell'egiziano Sayyid Quṭb, impiccato sotto il regime nasseriano nel 1966: il mondo contemporaneo sarebbe governato dalla jahiliyya, una barbarie simile a quella che avrebbe dominato il mondo nel VII secolo prima della rivelazione coranica; i 'buoni musulmani' debbono rovesciare la situazione, come aveva fatto a suo tempo Maometto, per fondare uno Stato islamico che applichi la sharī῾a. Ma l'opera di Quṭb non dà risposte al problema di come costruire questo Stato; i discepoli più radicali hanno interpretato il suo pensiero nel senso di una presa violenta del potere, progetto che non ha avuto i risultati previsti. Nondimeno, il movimento di reislamizzazione è sopravvissuto a queste sconfitte, rafforzato dalla stessa virulenza di una repressione spesso indiscriminata: sono però altri gruppi, quelli che puntano sul proselitismo sociale, che ne hanno assunto la guida.
In Israele la parziale sconfitta subita al tempo della 'guerra di ottobre' del 1973 contro gli Arabi determinò una crisi morale che investí gli stessi ideali del sionismo socialista, incarnati politicamente dal Partito Laburista, al potere sin dalla nascita dello Stato (1948). Ciò ha favorito la formazione del Gush Emunim ('blocco della fede'), un movimento integralistico nato nel febbraio 1974 all'interno dei Territori occupati nel 1967. Per i fondatori del Gush la sovranità israeliana su tutto il territorio 'assegnato da Dio al popolo ebraico', non può essere oggetto di negoziato. Occorre quindi resistere alle pressioni delle potenze occidentali che spingono lo Stato ebraico a fare concessioni agli Arabi, e a tal fine rafforzare attraverso una politica di insediamenti e di colonie nei Territori il carattere ebraico, sacralizzato, della 'terra d'Israele'. I militanti del Gush si richiamano all'insegnamento dei due rabbini Kook, padre e figlio, per i quali lo Stato di Israele - lo voglia o no - sarà lo strumento della redenzione. Il loro obiettivo è di fare pressione sullo Stato perché abbandoni il suo carattere laico e si trasformi in quel Regno messianico di Israele in cui si applicherà la hălākhāh, la legge ebraica così come è espressa nei testi sacri. I militanti più estremisti del movimento, al fine di accelerare questa trasformazione, ordirono un complotto per distruggere la moschea di al Aqṣā, situata sulla spianata del Tempio a Gerusalemme. Speravano così di suscitare una reazione militare dei musulmani di tutto il mondo, di scatenare una guerra santa, la gihād, su scala planetaria; le potenze occidentali si sarebbero allora schierate al fianco di Israele per combattere quella battaglia di Armageddo che prelude all'avvento del Messia. Scoperto nell'ultima fase della sua realizzazione, il complotto fu un trauma per lo Stato ebraico in quanto mostrò il possibile collegamento tra il terrorismo e le forme più radicali della regiudaizzazione dall'alto.
Nel mondo cristiano, tanto il protestantesimo nordamericano quanto il cattolicesimo europeo videro svilupparsi al proprio interno, a partire dalla seconda metà degli anni settanta, correnti che si riproponevano di fare del riferimento all'elemento religioso uno dei criteri organizzativi basilari della vita pubblica. Nei paesi occidentali il loro primo obiettivo fu di mettere in discussione la secolarizzazione o laicizzazione della sfera pubblica, che relegava la religione nella sfera privata impedendole di informare di sé il diritto e la politica. Il loro ambito di intervento privilegiato fu il punto di articolazione di pubblico e privato, da cui essi si proponevano di esercitare pressioni sullo Stato e di modificare il sistema in modo da renderlo più conforme agli insegnamenti della dottrina cristiana. Sulle due sponde dell'Atlantico le manifestazioni contro l'aborto ne furono l'espressione più frequente. Negli Stati Uniti queste iniziative portarono a una mobilitazione di carattere politico, rappresentata in modo particolare dalla Moral Majority del predicatore Jerry Falwell, il cui obiettivo era di costituire una lobby per l'elezione di candidati 'evangelici'. Assai influenti durante la presidenza di Ronald Reagan, che dichiarò il 1983 'anno della Bibbia' e adottò diversi provvedimenti per guadagnare i loro voti, questi movimenti presentarono il proprio candidato alle primarie del Partito Repubblicano per le presidenziali del 1988.
Nei paesi comunisti di tradizione cattolica il ruolo della Chiesa è stato importante per mobilitare le popolazioni nella resistenza alla dittatura. L'elezione di un cardinale polacco al soglio pontificio ha reso omaggio al dinamismo politico della Chiesa dell'Europa orientale e ha potentemente contribuito a dar voce all'opposizione al comunismo, facendo emergere al suo interno la componente cattolica. L'influenza dello spirito di intransigenza che caratterizzava la Chiesa polacca si è estesa a livello universale con il pontificato di Giovanni Paolo II.
Questa prima fase della riaffermazione delle identità religiose sul piano politico ha privilegiato, in modi assai diversi a seconda del contesto sociopolitico di ciascun paese, il problema del potere. La fase successiva, che si manifesta soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, mette l'accento sull'individuo e sulla società, relegando sullo sfondo gli obiettivi politici.Nel mondo musulmano i movimenti integralistici di questo tipo hanno la loro origine in un gruppo, caratterizzato dalla strettissima osservanza religiosa, nato in India nel 1927: la Tablighi jamaat (società per la diffusione della fede islamica). Esso ha assunto dimensioni eccezionali nel corso degli anni ottanta ed è diventato il più importante movimento di reislamizzazione su scala internazionale, presente ovunque nel mondo si trovino dei musulmani - si tratti di popolazioni autoctone o di immigrati. Sin dall'inizio questo gruppo ha fissato come proprio obiettivo la difesa dell'identità islamica dal rischio di adulterazione in un contesto non musulmano: quello dell'India induista in primo luogo, e poi anche quello di una modernità esogena rispetto ai principî dottrinari dell'Islam, che fuorviava i musulmani dalla loro fede, sia nei paesi islamici che nelle società cristiane dove si erano stabiliti come immigrati. La stretta osservanza praticata da questo gruppo ha avuto numerosi emuli: attraverso la creazione di piccole comunità di 'veri credenti', dove la totalità dell'esistenza quotidiana, fin nelle attività più banali, è regolata dall'osservanza minuziosa delle regole religiose, si è dato vita a una risocializzazione dei membri nel quadro di un sistema di senso completo e chiuso, che fornisce risposte al loro smarrimento dinanzi alla scomparsa di punti di riferimento e a un mondo radicalmente mutato. Queste comunità, nelle quali si sviluppa tutto un sistema di vita, di scambi di beni e servizi, di rapporti matrimoniali, si propongono di estendersi alla fine, partendo 'dal basso', all'intera società.
In Algeria questi movimenti di reislamizzazione dal basso hanno avuto grande importanza nel processo di conquista della società civile, che doveva trasformarsi nel successo elettorale del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) alle amministrative del giugno 1990 e alle legislative del dicembre 1991. Tali movimenti offrivano una prefigurazione del futuro Stato islamico: i medici islamici, per esempio, in contrasto con la corruzione e lo sfascio esistenti assolvevano bene e con coscienza il proprio dovere curando i malati nei dispensari sorti accanto alle moschee, mentre gli studenti islamici facevano ripetere le lezioni agli scolari più giovani, ecc. La stessa ampiezza della vittoria del Fronte ha in definitiva reso possibile la prospettiva di una coalizione tra i settori più 'islamici' del governo algerino e le personalità meno 'rivoluzionarie' del FIS; l'annullamento delle elezioni e il tentativo di smantellare il movimento interruppero questo processo di reislamizzazione dal basso e favorirono la recrudescenza della lotta tra apparato repressivo e militanti islamici armati.
Nel mondo ebraico gli anni ottanta hanno visto, in Israele come nella diaspora, lo spettacolare sviluppo dei movimenti haredim che predicavano ai propri correligionari 'traviati' la techuva, il pentimento e il ritorno alla più stretta osservanza religiosa, lontano da ogni contaminazione con il mondo dei goyim e i loro valori. Il quartiere di Mea-Shearim a Gerusalemme e la città di Bne-Brak, nei pressi di Tel Aviv, realizzano in questa prospettiva una nuova forma di ghetto che raccoglie alcuni ebrei osservanti, ne salvaguarda l'identità e impedisce loro di mescolarsi con gli altri ebrei. Nel mondo della diaspora il movimento Lubavitch, diretto da Brooklyn dal rabbino Schneersohn, si sforza anch'esso di risocializzare in modo esclusivo, attraverso forme esacerbate di osservanza, gli ebrei che hanno rotto con la società circostante, tra i quali si trova una quota consistente di giovani forniti di un titolo di studio nelle discipline moderne e tecniche. In partenza questi movimenti non nutrono ambizioni politiche esplicite: organizzano comunità di vita e di sentire proteggendo i propri membri da quel mondo circostante di cui rifiutano la logica costitutiva. Ma alla fine essi assumono un ruolo politico per il fatto stesso di controllare un capitale di voti, spesi sul mercato elettorale per rafforzare le proprie scuole, le proprie istituzioni caritative, ecc. Specialmente in Israele questi movimenti hanno dato vita a partiti che vendono a caro prezzo il loro appoggio alle coalizioni che si disputano il potere, esigendo persino che vengano prese misure per rispettare la kāshērut, oppure opponendosi per la maggior parte ai negoziati con i Palestinesi.
Nel mondo cristiano sono i movimenti 'pentecostali' (protestanti) o 'carismatici' (cattolici) a rappresentare nelle forme più esplicite la fase di ricristianizzazione dal basso. Anche qui si fondano comunità che si richiamano prioritariamente alle regole di vita prescritte dal Vangelo e si pongono sotto il segno e la guida dello Spirito Santo, dal quale ricevono il 'dono delle lingue' (glossolalia) e la facoltà di operare guarigioni miracolose. La loro influenza rimane comunque molto più limitata di quella degli analoghi movimenti musulmani o ebraici. Il solo gruppo che abbia avuto, durante gli anni ottanta, un impatto significativo è quello di Comunione e Liberazione, che si è sforzato di mettere in piedi un'importante rete caritativa coinvolgendo quanti si propongono di costruire un'alternativa cristiana al vuoto ideologico e morale proprio, secondo i militanti, dell'Italia del 'malgoverno'. Anche in questo caso, l'obiettivo finale è di sfruttare la mobilitazione sociale messa in atto per intervenire sul sistema politico attraverso il canale offerto da una delle correnti della Democrazia Cristiana.
Reislamizzazione, regiudaizzazione e ricristianizzazione hanno avuto un impatto diverso nelle diverse società in cui si sono manifestate dopo la metà degli anni settanta. È nel mondo islamico, in cui più gravi sono i problemi sociali ed economici e dove i regimi politici autoritari sono stati pressoché incapaci di favorire il rinnovamento delle élites, che la loro importanza è stata più marcata. Ma anche negli altri ambiti religiosi essi testimoniano forme inedite del 'disagio della civiltà' proprio della fine del secolo ed esprimono, anche se in modi che appaiono talvolta aberranti e ripugnanti, aspirazioni e frustrazioni che fanno parte di quelle trasformazioni sociali e di quei mutamenti delle ideologie e del senso di identità che si verificano nel mondo contemporaneo. (V. anche Islamismo).
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