MIGRATORI, MOVIMENTI.
– Diritto. I movimenti migratori e il diritto internazionale. Il contrasto all’immigrazione clandestina. L’Unione Europea e la disciplina dei movimenti migratori. L’Italia e i movimenti migratori. Bibliografia. Storia. La situazione attuale: le spinte a emigrare. Migranti, rifugiati e immigrazione irregolare. I Paesi di destinazione tra chiusure e accoglienza. Bibliografia
Diritto di Andrea Crescenzi.– I movimenti migratori e il diritto internazionale. – La cooperazione internazionale sui migranti e sui rifugiati si è svolta, prevalentemente, nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) attraverso la convocazione, almeno inizialmente, di conferenze internazionali, quali le Conferenze internazionali sulle popolazioni svoltesi a Bucarest (1974), a Città di Messico (1984) e al Cairo (1994), e la Conferenza sui diritti umani dei lavoratori migranti, tenutasi in Tunisia (1975). È solo, però, con la Dichiarazione sui diritti umani degli individui che non hanno la cittadinanza dei Paesi in cui vivono (1985), che si è proceduto a un primo tentativo di disciplinare la condizione dello straniero.
La crescente preoccupazione dell’ONU sul fenomeno migratorio ha portato all’istituzione di un Gruppo di lavoro sulla tutela dei diritti umani dei lavoratori migranti e dei loro familiari, incaricato di elaborare un progetto di convenzione adottata nel 1990.
L’attività normativa è stata affiancata dall’istituzione, da parte dell’ONU, di una serie di organismi ad hoc, in primis il Relatore speciale per la protezione dei diritti umani dei migranti (1999). I suoi rapporti hanno rappresentato la base per l’adozione di alcune risoluzioni da parte della Commissione per i diritti umani dell’ONU. Si pensi alla risoluzione nr. 48 del 2000, sui diritti umani dei migranti, in cui si sottolinea la necessità di tutelare i diritti e le libertà fondamentali dei migranti come gruppo vulnerabile specifico; alla risoluzione nr. 52 del 2001, in cui si esprime preoccupazione per le manifestazioni di violenza, di razzismo e per gli atti discriminatori di cui sono oggetto gli immigrati in diverse parti del mondo; e alla risoluzione nr. 46 del 2003, sulla situazione dei migranti irregolari, che invita gli Stati ad adottare misure efficaci per far cessare la detenzione e gli arresti arbitrari.
Il primo forum a livello internazionale che ha avuto come tema la questione delle migrazioni internazionali è stato la Commissione globale sulla migrazione internazionale, istituita dal segretario generale il 9 dicembre 2003. La Commissione, fino al termine delle sue attività (dic. 2005), ha favorito una più ampia comprensione delle migrazioni internazionali e ha condotto studi e ricerche al fine di evidenziare le interconnessioni con gli altri ambiti della società (sviluppo, commercio, sicurezza umana, demografia, rimesse, sicurezza nazionale e internazionale ecc.).
Alla fine del 2003 la stessa Assemblea generale delle Nazione Unite decise di prevedere uno spazio per la discussione sugli aspetti multidimensionali del fenomeno migratorio internazionale e per la valorizzazione dei benefici che le migrazioni hanno sullo sviluppo dei Paesi. Da qui il primo Dialogo di alto livello (2006) dedicato alle relazioni e alle sinergie tra le migrazioni internazionali e lo sviluppo. Tra le questioni trattate: l’analisi delle cause dei movimenti migratori, le conseguenze a livello sociale delle migrazioni internazionali, in particolare l’integrazione nei Paesi di arrivo, le rimesse, il contributo delle comunità migranti allo sviluppo dei Paesi di origine, il riconoscimento del valore della migrazione dei lavoratori ai fini dell’economia mondiale e l’aumento della migrazione irregolare.
Un secondo Dialogo di alto livello sulle migrazioni internazionali e lo sviluppo, dedicato all’individuazione di misure per rafforzare la cooperazione tra gli Stati, è stato convocato in occasione della sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del settembre 2013. Il programma adottato al termine dell’incontro, Making migration work: an eight-point agenda for action, focalizza l’attenzione dei governi, tra l’altro, sui seguenti punti: la protezione dei diritti umani dei migranti, la riduzione dei costi della migrazione dei lavoratori, l’eliminazione dello sfruttamento dei migranti, compresa la tratta di esseri umani, il rafforzamento delle politiche migratorie e la necessità di una maggiore cooperazione in tema di migrazione.
In precedenza, sempre in ambito ONU, era stato istituito il Global migration group (2006), un gruppo interistituzionale di alto livello formato da 18 agenzie internazionali che vantavano attività nell’ambito delle migrazioni, tra le quali: l’Organizzazione internazione del lavoro (OIL), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani (OHCHR), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Il gruppo promuove la piena applicazione della normativa internazionale in materia di immigrazione e l’adozione di un approccio più coerente e coordinato nell’affrontare le questioni a essa legate.
Il contrasto all’immigrazione clandestina. – Gli Stati maggiormente coinvolti dai flussi migratori hanno avvertito sempre più la necessità di controllare le loro frontiere e di gestire l’ingresso sul proprio territorio. Con il tempo sono aumentati gli accordi bilaterali o multilaterali di partenariato con i Paesi di provenienza degli immigrati al fine di arginare le situazioni di afflussi improvvisi e massicci. Il controllo dei flussi ha però portato a un aumento del fenomeno dell’immigrazione clandestina. Secondo le stime dell’Organizzazione internazionale per le emigrazioni attualmente tra il 10 e il 15% dei migranti internazionali è irregolare.
Ai fini del contrasto all’immigrazione clandestina rilevano, in primis, le regole internazionali che disciplinano il diritto marittimo, come la Convenzione sul diritto del mare (1982), che ha trascritto l’obbligo consuetudinario di soccorrere e prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo (art. 98); la Convenzione sul traffico marittimo internazionale, così come emendata nel 2005, che impone agli Stati membri di prevenire i tentativi di imbarcare persone clandestinamente a bordo delle navi battenti la propria bandiera (art. 4); e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (1979), in base alla quale gli Stati parte sono obbligati a garantire assistenza a ogni persona in mare senza alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità, sullo status della persona o sulle circostanze nelle quali tale persona viene trovata (cap. 2.1.10).
Tra i testi giuridici più recenti adottati a livello internazionale in materia di rilievo il Protocollo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale sulla prevenzione e repressione del traffico di persone, specialmente donne e bambini (2000) (Palmisano 2010, pp. 471-75). Secondo il Protocollo, per «traffico di migranti» si intende il procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente (art. 3, lett. a).
La nozione di traffico si differenzia da quella di tratta perché, nel primo caso, i migranti partecipano volontariamente all’ingresso illegale nel Paese di cui non sono cittadini sebbene, nel corso del procedimento d’ingresso, possano subire degli atti di coercizione o la violazione di diritti fondamentali; nel caso della tratta, invece, manca l’elemento della volontarietà.
Lo scopo del Protocollo è quello di prevenire e combattere il traffico di migranti, nonché, attraverso la cooperazione tra gli Stati parte, quello di assicurare la repressione penale delle organizzazioni criminali che lo realizzano (art. 2). Il Protocollo esclude, inoltre, la perseguibilità penale dei migranti, nonostante essi abbiano concorso volontariamente alla realizzazione dell’ingresso illegale (art. 5), e tende a punire penalmente i soggetti che hanno organizzato il traffico di migranti (art. 6).
Il Protocollo prevede, inoltre, che uno Stato parte, qualora abbia ragionevoli motivi per sospettare che una nave sia coinvolta nel traffico di migranti via mare, possa informare lo Stato di bandiera e chiedere la sua autorizzazione per ispezionare la nave e adottare tutte le misure che ritiene più opportune.
L’Unione Europea e la disciplina dei movimenti migratori. – L’Europa negli ultimi decenni ha perso il suo tradizionale ruolo di terra di emigrazione diventando un continente di immigrazione. Dal 2000 a oggi l’emigrazione internazionale nel vecchio Continente è quasi raddoppiata passando da un milione a 1,9 milioni di immigrati l’anno.
Nei primi anni della Comunità Europea (CE), l’immigrazione riguardava quasi esclusivamente gli Stati membri i cui cittadini si spostavano in cerca di lavoro. Il fenomeno dell’immigrazione extracomunitaria era abbastanza sconosciuto e restava di competenza esclusiva degli Stati. Per tale ragione, i trattati istitutivi non contenevano disposizioni specifiche sull’immigrazione. Tuttavia, dal Trattato di Roma (1957), una serie di modifiche susseguitesi nel tempo hanno ampliato le competenze dell’Unione in materia di migrazione.
In particolare, con il Trattato di Maastricht (1992) si è istituzionalizzata la cooperazione tra gli Stati membri per l’armonizzazione delle politiche in materia di immigrazione e asilo e si è comunitarizzata la politica dei visti. Con il Trattato di Amsterdam (1997), poi, sono state estese le competenze comunitarie in materia di circolazione delle persone, di visti, di asilo e di immigrazione (titolo IV), ed è stato recepito l’accordo di Schengen che aveva abolito i controlli alle frontiere (Quadri 2006, pp. 143-222).
Infine, con il Trattato di Lisbona (2009), il cui titolo V è dedicato allo «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia», l’Unione ha sviluppato una politica comune in materia di frontiere, visti, immigrazione e asilo (art. 67.2, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, TFEU; Favilli 2010, pp. 13-16). In particolare, il TFEU ha definito le condizioni per l’ingresso e il soggiorno dei cittadini di Paesi terzi che risiedono legalmente in uno degli Stati membri e la prevenzione e il contrasto all’immigrazione illegale e alla tratta degli esseri umani (artt. 79 e 80). Agli Stati membri, invece, rimane la facoltà, ancora, di stabilire le quote annuali per l’ammissione di extracomunitari.
Va detto, però che all’interno dell’Unione Europea le condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi erano state già disciplinate dalla direttiva 2003/109 e dalla direttiva 2011/98.
La prima direttiva, sullo status dei cittadini di Paesi terzi che sono soggiornanti di lungo periodo, ha determinato un’armonizzazione delle legislazioni dei Paesi membri e ha garantito un trattamento paritario su tutto il territorio europeo.
La direttiva si applica ai cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio di un Paese dell’Unione, fatta eccezione per i rifugiati, i richiedenti asilo in attesa di decisione, i lavoratori stagionali, i lavoratori distaccati al fine di fornire servizi transfrontalieri, coloro che godono di una protezione temporanea o di una forma sussidiaria di protezione e i residenti a scopo di studio o di formazione professionale che sono caratterizzati dalla precarietà della loro situazione o dalla brevità del loro soggiorno.
La direttiva 2011/98, relativa alla procedura per il rilascio di un permesso unico, riconosce, invece, un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (condizioni di lavoro, libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o di datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria, istruzione e formazione professionale, riconoscimento di diplomi, certificati e altre qualifiche professionali secondo le procedure nazionali applicabili), a prescindere dalle finalità dell’ingresso iniziale, sulla base della parità di trattamento rispetto ai cittadini di quello Stato membro.
La direttiva si applica ai cittadini di Paesi terzi che chiedono di soggiornare in uno Stato membro a fini lavorativi; ai cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai sensi del regolamento (CE) 1030/2002 (modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di Paesi terzi); e ai cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi sulla base del diritto dell’Unione o nazionale.
Discorso a parte merita la direttiva 2009/50 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. La direttiva permette a uno straniero, che intende svolgere prestazioni lavorative retribuite per conto o sotto la direzione o il coordinamento di un’altra persona fisica o giuridica, di richiedere un permesso di soggiorno con dicitura «carta blu UE». Si tratta di un titolo di soggiorno previsto esclusivamente per i lavoratori altamente qualificati e le cui qualifiche professionali devono essere certificate da idonei titoli di studio e attestati rilasciati dai loro Paesi. Una volta che il lavoratore ha trascorso i 18 mesi di soggiorno legale nel primo Stato membro quale titolare di carta blu UE, la direttiva permette che la persona interessata (eventualmente anche con i suoi familiari) possa spostarsi in uno Stato membro diverso dal primo ai fini di un’attività lavorativa altamente qualificata.
Nel novembre 2011 la Commissione europea ha adottato la comunicazione sull’approccio globale in materia di migrazione. Il documento si fonda essenzialmente su quattro pilastri: la migrazione legale e la mobilità; la migrazione irregolare e la tratta degli esseri umani; la protezione internazionale e la politica in materia di asilo; l’aumento dell’incidenza della migrazione e della mobilità sullo sviluppo.
A livello generale, la citata comunicazione ha proposto di sviluppare un dialogo regionale e bilaterale tra i vari Paesi coinvolti dal fenomeno migratorio (di origine, transito e destinazione). In tale ottica, particolare rilievo è stato dato agli accordi sulla mobilità da concludere con i Paesi terzi aventi a oggetto: la riammissione, gli aiuti allo sviluppo, il possibile rilascio del visto temporaneo di ingresso, le misure sulla migrazione circolare e la lotta contro la migrazione clandestina.
L’Italia e i movimenti migratori. – In Italia il tema dell’immigrazione è disciplinato essenzialmente dal d. legisl. 25 luglio 1998 nr. 286 (testo unico sull’immigrazione), così come modificato più volte nel corso degli anni. Da ultimo con la l. 30 ott. 2014 nr. 161.
A livello generale il testo unico si pone tre obiettivi: contrastare l’immigrazione clandestina, regolare e programmare gli ingressi sul territorio nazionale e garantire l’integrazione degli stranieri residenti.
Per tali ragioni, il testo unico disciplina le modalità d’ingresso e di controlli alla frontiera, il respingimento alle frontiere e le espulsioni, le misure per il contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina e tutta una serie di garanzie per gli immigrati regolari. Ha istituito, inoltre, i centri di permanenza temporanea e di assistenza (CPT) per gli stranieri nei cui confronti deve essere adottato un decreto di espulsione. Infine, il testo unico prevede la possibilità di adottare speciali misure di protezione temporanea nei confronti di coloro che, provenienti da Paesi terzi, hanno dovuto abbandonare il proprio Paese a causa di eventi eccezionali come disastri naturali, conflitti armati e situazioni di grave pericolo.Con la l. 30 luglio 2002 nr. 189, di modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo, l’ingresso degli stranieri e la loro permanenza sul territorio nazionale sono stati subordinati all’esercizio di un’attività lavorativa tramite la presentazione del cd. contratto di soggiorno. Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato, stipulato fra un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea o apolide, permette il rilascio di un permesso di soggiorno della durata massima di due anni.
Per quanto riguarda la lotta all’immigrazione clandestina, di rilievo la l. 24 luglio 2008 nr. 125, sulle misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, che ha ampliato il catalogo delle circostanze aggravanti previsto dall’art. 61 c.p. con l’aggiunta della circostanza della presenza illegale sul territorio nazionale nella commissione del reato. Tuttavia, l’aggravante di clandestinità è stata successivamente giudicata discriminatoria dalla Corte costituzionale (sentenza 5 luglio 2010, nr. 249).
La stessa l. 125/2008 ha introdotto aggravanti per i datori di lavoro che assumono stranieri irregolari; ha previsto il carcere da sei mesi a tre anni e la confisca dell’appartamento per chi affitta ai clandestini; e ha disposto l’espulsione per chi viene condannato a una pena superiore a due anni. I CPT sono stati trasformati, poi, in centri d’identificazione ed espulsione (CIE).
La disciplina normativa per il contrasto all’immigrazione clandestina è stata ulteriormente irrigidita con l’adozione del d. legisl. 15 luglio 2009 nr. 94 sulla sicurezza pubblica. In particolare, il decreto ha introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale; ha previsto sanzioni più gravi per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; ha aumentato fino a centottanta giorni la possibilità di trattenere gli immigrati irregolari nei CIE, consentendone l’identificazione e la successiva espulsione; ha imposto l’obbligo di esibire il titolo di soggiorno per ottenere autorizzazioni o atti di stato civile.
Infine, il decreto ha stabilito che il rilascio del permesso di soggiorno sia subordinato alla stipula di un accordo di integrazione. Si tratta di un sistema, basato su crediti, con cui lo straniero si impegna a raggiungere degli obiettivi di integrazione, pena la progressiva decurtazione e l’espulsione.
Sul tema della protezione internazionale dei migranti, si veda inoltre la voce rifugiati.
Bibliografia: S. Quadri, Le migrazioni internazionali, Napoli 2006; C. Favilli, Il Trattato di Lisbona e la politica dell’Unione Europea in materia di visti, asilo e immigrazione, «Diritto, immigrazione e cittadinanza», 2010, 2, pp. 13-35; G. Palmisano, Dagli schiavi ai migranti clandestini: la lotta al traffico di esseri umani in una prospettiva internazionalistica, «Ragion pratica», 2010, pp. 469-88.
Storia di Antonio Golini. – Le più varie esigenze e/o aspettative hanno da sempre spinto l’uomo a spostarsi perché nel luogo in cui vive sono diventate insopportabili le condizioni di esistenza o perché ritiene che altrove vi siano migliori prospettive di vita per sé stesso o per la propria famiglia. La spinta di attrazione o di repulsione è stata così forte che si ritiene che le migrazioni siano alla base della diffusione dell’uomo – unica, o quasi, tra le specie viventi – su tutta la faccia della Terra.
La situazione attuale: le spinte a emigrare. – Risalendo lungo il corso della storia fino all’epoca attuale, in alcune realtà sono il contesto demografico (crescita demografica straordinariamente intensa rispetto alla crescita delle opportunità di lavoro), il contesto economico (crescita economica non adeguata rispetto alle esigenze e/o alle aspettative delle persone), o il contesto sociale (crescita della società anch’essa non adeguata rispetto alle esigenze e/o alle aspettative delle persone) a spingere un individuo o una famiglia a spostarsi dalla nazione in cui vive in un’altra che abbia, o ci si aspetta che abbia, le condizioni desiderate o sperate. E qui spesso nasce un insormontabile conflitto, che deriva dalla contrapposizione fra il diritto di un singolo individuo a spostarsi – riconosciuto anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) – e il diritto di uno Stato ad ammettere solo quante e quali persone ritiene di poter ammettere, volendo salvaguardare la sostenibilità del proprio ambiente fisico, oltre che di quello demografico, economico, sociale, culturale. Mai nel corso della storia si sono avuti squilibri – a partire da quello della crescita demografica – così vasti e intensi come nell’epoca attuale, mai quindi la spinta a emigrare è stata così intensa per un grandissimo numero di persone. A questo si aggiungono le spinte irresistibili che riguardano le persone che fuggono da guerre, carestie, epidemie, dissesti naturali, per le quali la fuga si trasforma spesso in esodi vastissimi che interessano milioni e milioni di persone. I problemi però sono tutt’affatto diversi, a seconda che si tratti di migranti o di rifugiati.
Migranti, rifugiati e immigrazione irregolare. – Nel caso dei migranti, si tenta di regolarne i flussi di entrata in una nazione sulla scorta, prioritariamente, delle esigenze dei Paesi di destinazione, piuttosto che delle esigenze o aspettative delle persone che desiderano abbandonare il proprio Paese di origine. Questo fa sì che, oltre alle persone regolarmente ammesse, rivoli più o meno ampi di persone riescano comunque ad arrivare nel luogo desiderato, dove si accumulano così quantità non trascurabili di immigrati irregolari. Gli Stati, che non sono in grado di rispedirli più o meno forzatamente nei Paesi di origine, sono poi necessariamente costretti a regolarizzare gli immigrati irregolari con ricorrenti sanatorie: l’Italia vi ha fatto ricorso varie volte negli ultimi anni (le ultime due sono state nel 2009 e nel 2012) e anche nazioni come gli Stati Uniti, rigorosissimi nel controllare gli ingressi nel Paese, hanno dovuto farvi ricorso nel 2014 per vari milioni di immigrati irregolari accumulatisi nel corso degli anni.
L’immigrazione irregolare, infatti, è irrefrenabile, specie in presenza di frontiere marittime, perché soddisfa contemporaneamente le esigenze esplicite o implicite di cinque soggetti: 1) il soggetto che vuole emigrare, nonostante gli altissimi prezzi da pagare, compreso quello di poter perdere la vita; 2) la famiglia del potenziale emigrante irregolare che si aspetta di migliorare la propria situazione e che spesso sul migrante investe tutte le proprie risorse; 3) il Paese di origine del migrante che ha necessità di scaricare il surplus di manodopera (più che mai se è un Paese di transito) e di acquisire le sue rimesse; 4) il datore di lavoro – tanto le aziende, quanto le famiglie – del Paese di destinazione, che vuole manodopera a basso prezzo quando ne ha bisogno e non quando la burocrazia glielo consente; 5) il trafficante di esseri umani disposto a grandi rischi pur di lucrare ingenti somme di denaro.
L’immigrazione irregolare è assai difficile da bloccare anche perché non si può tenere sotto perfetto controllo chi già si trova sul territorio nazionale e vi si trattiene quando gli è scaduto il permesso di soggiorno, e non si può frenare o controllare del tutto la concessione dei visti richiesti per turismo, studio o salute. Inoltre nell’Unione Europea non si possono frenare o controllare del tutto l’arrivo di irregolari dagli altri Paesi Schengen e la politica di concessione dei visti da parte di questi Paesi. E tuttavia, alla fine, gli immigrati regolari e quelli irregolari sono complessivamente pochi, perché il bilancio che il potenziale migrante fa dei costi e delle difficoltà – fisiche, umane, monetarie, psicologiche, affettive, amministrative – da superare per tentare l’avventura migratoria è così pesantemente negativo, specie da irregolare, che è relativamente ridotto il numero di coloro che possiedono o recuperano l’insieme delle risorse necessarie per partire.
Nel caso, invece, dei rifugiati, gli accordi internazionali – molto precisi e definiti in questa materia – prevedono un’assistenza e una protezione specifica che si risolvono nel ricevere i rifugiati in campi di prima accoglienza, dove sono trattenuti fino a quando non viene esaurita l’istruttoria per la concessione, o il rifiuto, dell’asilo. I rifugiati sono molte decine di milioni e, negli ultimi anni, soprattutto a causa delle guerre e delle gravi turbolenze sociopolitiche, sono fortemente aumentati anche in Europa e nel Medio Oriente.
Non infrequentemente, però, non si riesce a distinguere in modo chiaro e netto un immigrato per motivi economici da una persona arrivata per motivi umanitari. E così rifugiati per i più vari motivi (guerre, persecuzioni religiose, carestie, conflitti etnici) e migranti per motivi economici si mescolano e si confondono nel desiderio, o, per meglio dire, nella necessità, di lasciare il Paese di origine. Congiunzioni di questo tipo si vengono a formare dappertutto nel mondo, in Asia, come nelle Americhe, come in Medio Oriente, ma certamente drammatica è la situazione del Mediterraneo. In Nord Africa arrivano e si accumulano disperati da ogni dove che cercano di raggiungere in qualsiasi modo l’Europa, terra del benessere e del rispetto della dignità della persona. Il fatto che si accumulino molte centinaia di migliaia di persone, in particolare in Libia, fa il gioco ignobile dei trafficanti di manodopera che lucrano sulla disperazione individuale, gioco che però difficilmente può essere contrastato dalla Libia che, a parte i problemi politici interni, non può certo accogliere e sistemare una tale quantità di persone: deve necessariamente lasciarle partire. D’altra parte anche i Paesi di arrivo, fra cui l’Italia, si trovano in difficoltà, perché la normativa internazionale prescrive che le domande di ogni rifugiato vengano esaminate da una commissione che rilascia il nullaosta dopo una lunga, complessa e personale procedura.
I Paesi di destinazione tra chiusure e accoglienza. – Gli squilibri demografici, economici e sociali nella prima parte del 21° sec. sono, come si diceva, così intensi e vasti che spingerebbero centinaia di milioni di persone a ricercare all’estero una sistemazione migliore, mentre non ci sono sufficienti luoghi al mondo disponibili a ospitarli. Il mondo si era già trovato in una situazione simile alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento: allora le migrazioni erano riuscite in larga misura a riportare equilibrio, perché la pressione demografica era infinitamente minore di quella attuale e perché erano disponibili nuovi mondi da popolare. Ora, invece, le mete più ambite sono costituite da Paesi già densamente popolati che desiderano preservare l’ambiente sociale (per es., quelli europei) oppure salvaguardare il più possibile l’ambiente naturale (per es., l’Australia).
Ci sono comunque almeno due ragioni per cui i Paesi ricchi, in particolare quelli europei, tengono parzialmente aperte le frontiere per accogliere immigrati: ragioni di convenienza, vale a dire per soddisfare le proprie esigenze economiche e demografiche, e ragioni di necessità, vale a dire per l’impossibilità di frenare del tutto l’afflusso di immigrati (ritengono perciò che sia meglio avere immigrati regolari che clandestini). Del tutto trascurabili o addirittura assenti sono invece le ragioni etiche, quelle per le quali l’Europa avrebbe la possibilità di restituire ai Paesi più arretrati, in particolare quelli africani, una sorta di ‘risarcimento etico’ per i torti subiti soprattutto attraverso le colonie, per es., con un’apertura nei confronti dell’immigrazione. Così dappertutto si erigono muri per cercare di contenere l’afflusso di migranti. Nel Sud dell’Europa il ‘muro’ è costituito dal Mediterraneo, un mare piccolo, ma pur sempre assai periglioso per chi voglia cercare di scavalcarlo, tant’è che decine di migliaia di persone vi hanno già perduto la vita, e altri continuano a perderla. Una possibile soluzione per questo difficilissimo problema – ossia conciliare le esigenze o le aspettative individuali di trasferirsi con le esigenze dei Paesi di destinazione di regolare l’afflusso – può essere quella della costituzione di grandi unioni politiche regionali all’interno delle quali consentire la libera circolazione delle persone, così come accade nell’Unione Europea.
Si sa bene che uno dei problemi chiave per i Paesi di destinazione è la difficile, piena e completa accettazione degli immigrati e la fruttuosa convivenza con essi. A tal proposito c’è da tenere presente che soltanto il pieno inserimento degli immigrati nel contesto nazionale e locale – per quel che riguarda il lavoro, la casa, l’istruzione, il ricongiungimento familiare, la possibilità di mobilità ascendente, sociale e professionale per sé stessi e per i propri figli – può evitare la frustrazione e l’emarginazione degli immigrati stessi o, ancora peggio, il fallimento del progetto migratorio, l’autolesionismo, l’aggressività e la devianza sociale. E d’altra parte il pieno e positivo inserimento favorisce nell’immigrato il senso di appartenenza e/o di condivisione che è alla base di una convivenza più felice e fruttuosa. Ma finora non si sono trovate formule di convivenza pienamente soddisfacenti.
In conclusione, due grandi questioni, oltre a quelle già ricordate, stanno sullo sfondo e rendono difficile la soluzione del problema delle migrazioni internazionali: la prima è che c’è frequentemente nei Paesi occidentali una sorta di arroganza culturale che li spinge a ritenere gli immigrati e i loro discendenti ‘figli di un dio minore’ e rende quindi difficile una vera e piena integrazione.
La seconda è che i mercati dei Paesi occidentali non sono sufficientemente aperti alle merci dei Paesi di provenienza degli immigrati, applicando spesso varie forme di protezionismo commerciale.
Nel corso del 2014 e del 2015 si sono avuti e si stanno avendo, in Medio Oriente e in Africa, causati dalla guerra o dalla fame, intensissimi movimenti di popolazione diretti verso l’Europa: via mare, attraverso il Mediterraneo con imbarcazioni di fortuna che non infrequentemente affondano; o a piedi, attraverso i Paesi della cosiddetta rotta balcanica, lunghissima e defatigante. Si tratta in particolare di siriani, afghani, nigeriani, e gente delle più varie nazionalità, persone che affrontano rischi grandissimi, com’è per il Mediterraneo, o fatiche enormi, com’è per la rotta via terra, e che non possono portare nulla con sé, lasciando quindi ogni bene, anche misero, nel Paese di origine (v. rifugiati). La guerra in Siria ha infatti raggiunto livelli di tragicità smisurata: si stima che questa guerra abbia comportato oltre 250.000 morti e quasi 7 milioni di rifugiati, la maggior parte dei quali finora accolti nei Paesi limitrofi. Ed è impensabile che il flusso di disperati, cui si aggiungono coloro che fuggono dalla fame, possa interrompersi nel giro di pochi anni.
Bibliografia: S.P. Huntington, The clash of civilizations and the remaking of world order, New York 1996 (trad. it. Milano1997); A. Golini, L’Italia nel quadro dei flussi migratori internazionali, in Istituto nazionale di statistica, La presenza straniera in Italia: l’accertamento e l’analisi, Atti del convegno Roma2005, a cura di N. Mignolli, Roma 2008, pp. 13-32; Irregular migration, European labour markets and the welfare state, ed. M. Bommes, G. Sciortino, Amsterdam 2011; B. Anderson, Us & them? The dangerous politics of immigration control, Oxford 2013; United Nations, Department of economic and social affairs, Population division, International migration report 2013, New York, 2013; M. Ambrosini, Non passa lo straniero? Le politiche migratorie tra sovranità nazionale e diritti umani, Assisi 2014.