OPERAIO, MOVIMENTO
. È il grande fatto storico (essenziale allo sviluppo della civiltà moderna) dell'azione multifome svolta dai lavoratori salariati (proletariato) per la difesa dei loro interessi collettivi e per l'elevazione delle loro condizioni materiali e morali. Implicando, oltre che un'antitesi d'interessi fra imprenditori e lavoratori, anche un regime di lavoro libero e di concorrenza, è nella sua nascita legato al sorgere del moderno capitalismo e del salariato in sostituzione dell'artigianato e delle corporazioni medievali. Esso non poteva svolgersi di fronte al capitalismo dell'antichità, dovendo i lavoratori liberi di allora offrirsi agl'imprenditori in concorrenza con gli schiavi; né nel Medioevo, in cui in luogo del rapporto tra capitalisti e salariati, si ha nelle corporazioni il rapporto fra maestri e garzoni, esso pure tuttavia agitato da conflitti, rivolte e scioperi (sec. XIV-XV). Il capitalismo moderno invece instaura nettamente il rapporto tra imprenditori e salariati: con l'introduzione delle macchine, sviluppa la grande industria; agglomera masse di lavoratori nelle fabbriche; rende evidente per essi la comunanza delle condizioni di lavoro e di salario, dei bisogni e interessi, delle resistenze cui si urtano le loro esigenze e aspirazioni. Si desta così nelle maestranze la coscienza di una solidarietà e dell'utilità di un'unione delle forze; il movimento operaio s'inizia, cercando, attraverso l'esperienza, le forme e i mezzi dell'azione più efficace.
Dapprima riprende le forme della mutua assistenza, insegnate dal compagnonnage medievale; poi vi associa la resistenza per la difesa di diritti tradizionali e per la conquista di migliori condizioni di lavoro (orario, salario, ecc.); le affianca spesso, in varia misura, con la cooperazione di consumo e di produzione; ma soprattutto usa le organizzazioni (leghe, camere del lavoro, federazioni nazionali di mestiere, confederazioni generali) e i loro rappresentanti, sia per i rapporti costanti col padronato (uffici di collocamento, contratti collettivi, ecc.), sia per la direzione delle lotte (richieste, trattative, boicottaggi, scioperi), sia per la propaganda e le pressioni morali sull'opinione pubblica, sui partiti politici, sui pubblici poteri, per ottenerne leggi protettive del lavoro (limiti d'orario, legislazione delle fabbriche, leggi sul lavoro delle donne e dei fanciulli, arbitrato, ecc.) o mediazione nei conflitti col padronato, o surrogazione dello stato alle imprese private (nazionalizzazioni). Così nella varietà delle forme e dell'estensione in cui la sua azione si svolge, a seconda delle occasioni e delle varie condizioni dei diversi paesi e momenti storici, il movimento operaio si rivolge sempre alla tutela della classe lavoratrice, in vista della sua elevazione materiale e morale, la quale tende, ora implicitamente ora dichiaratamente, al punto-limite di una "emancipazione integrale" (self-government) del lavoro dalla frma del salariato e dalla soggezione a una classe detentrice dei mezzi di produzione. Nel tempo stesso, aspirando a sostituire la gestione cooperativa (gildismo) o pubblica alla gestione privata di servizî e imprese di produzione, esso tende a sostituire il bene pubblico al profitto privato nella finalità dell'opera produttiva.
A seconda del vario predominio di metodi e forme diverse, si sono distinti nel sec. XIX varî tipi di azione sindacale: il tipo inglese, a carattere meramente economico (favorito dalla condizione privilegiata a lungo mantenuta dall'industria inglese), poi passato nel sindacalismo americano; il tipo tedesco, a carattere essenzialmente politico (socialdemocratico); il tipo francese, eminentemente rivoluzionario; il belga, per larga parte rivolto alla cooperazione di produzione e di consumo, ecc. Ma si tratta di caratteristiche storiche e non etniche; variabili quindi col variare dei momenti storici, e facili a passare da un paese all'altro in condizioni adatte: così in Italia tutti i diversi tipi hanno avuto, a seconda dei momenti e dei luoghi, applicazione e diffusione, successiva o simultanea; così in Russia a un predominio del movimento cooperativo, sotto lo zarismo, è succeduto il dilagare dei consigli (sovieti) di operai e contadini, e il movimento sindacale è passato per fasi radicalmente diverse di rapporti con lo stato, a seconda delle fasi per cui è passata la politica economica della dittatura; in Spagna si fronteggiano il sindacalismo anarchico catalano e il socialista; in molti paesi di fronte a sindacalismi rivoluzionario e riformista opera un sindacalismo cristiano che ha la sua Magna Charta nell'enciclica Rerum Novarum del 15 maggio 1891 (v. leone XIII, XX, p. 910) e che rapidamente si sviluppa sul finire del sec. XIX e al principio del XX. Non potendo svolgere un particolare esame storico per tutti i paesi, ci limitiamo ai principali.
L'Inghilterra precede gli altri nella nascita del capitalismo e del movimento operaio. Precedute da coalizioni temporanee e da società di mutuo soccorso, le Trade Unions sorgono al principio del 1700 in difesa degli statuti delle arti (distrutte dall'invadente capitalismo). Abrogati (1756) tali statuti, esse si volgono all'azione di resistenza; repressa, perseguita come delitto dalla legge del 1800, costretta a nascondersi dietro il mutuo soccorso, ma esplodente in selvagge violenze contro macchine e fabbriche (luddismo). Abrogata (1824) la legge del 1800, si ha un periodo rivoluzionario col nuovo unionismo owenista e poi con il chartismo. Poi l'azione s'incanala in forme costanti con le unioni nazionali (amalgamated) di resistenza e mutua assistenza, che dal 1860 si volgono a esercitare pressioni sul parlamento per ottenere la libertà sindacale. Ma mentre, dopo tale conquista, il tradunionismo si va disperdendo nel particolarismo, verso il 1880 una tremenda crisi economica e l'intervento d'influssi socialisti (fabiani e marxisti) e delle masse di operai non qualificati (unskilled) contro l'aristocrazia degli specializzati determinano un altro nuovo unionismo, che sullo spirito corporativo di categoria fa prevalere lo spirito di classe e si associa al nuovo Independent Labour Party (1893). In questa direzione sospinge più fortemente nel 1901 una sentenza della Camera dei lord, che mette fuori legge tutta l'azione di resistenza: il partito del lavoro si getta nella lotta politica, entrando terzo tra i due partiti storici liberale e conservatore; ottiene le leggi del 1906 e 1913, che riconoscono legale l'azione delle Trade Unions; dopo l'intervallo della guerra mondiale e della crisi del dopoguerra (culminata nel 1920, sotto la suggestione dell'esempio russo, con l'infatuazione per l'azione diretta, fallita tra rovine), acquista forza crescente; sale due volte al governo; pone in cima al programma la nazionalizzazione delle industrie e dei servizî o il loro assorbimento nelle cooperative e il controllo delle banche, per sostituire l'esigenza del bene sociale a quella del profitto capitalistico.
In Germania il movimento non comincia che dopo il 1860, per iniziative discordi del liberale Hirsch, del lassalliano Schweitzer e dell'internazionale marxistica; lassalliani e marxisti si uniscono nella conferenza di Gotha (1875), stabilendo l'adesione delle organizzazioni al partito socialista. Disperse dalle leggi antisocialiste (1878), le leghe operaie rinascono poi gradatamente come libere unioni (freie Gewerkschaften), le quali riaffermano la finalità dell'abolizione del salariato per l'attuazione di una civiltà superiore, e l'esigenza dell'intervento dello stato in favore degli operai con la legislazione sociale: disinteressandosi della propaganda politica, per raccogliere tutti gli operai, di qualsiasi credo, nell'azione economica, diretta a trasformare in favore degli operai il contratto di lavoro. È questo il programma riaffermato dopo la guerra mondiale, nel congresso di Vienna (1924) dalla Federazione sindacale internazionale, la cui direzione, più tardi, è trasferita a Berlino, fino alla rivoluzione nazionalsocialista (1933). Questa, con la nuova legge del gennaio 1934, inserisce il sindacalismo in un ordinamento corporativo, sull'esempio del fascismo, ma istituendo un capo azienda (Führer) e un consiglio di fiduciarî operai, ai cui rapporti deve sovrintendere il principio dell'onore.
In Francia la storia delle coalizioni operaie comincia dalla rivoluzione dell' '89 che abolì le corporazioni: nelle coalizioni operaie le nuove leggi vedono e colpiscono tentativi di restaurare l'ordinamento soppresso; e fino al 1848 solo la mutualità riesce a salvarsi. Ma già, dal 1830 circa, la trasformazione meccanica, l'immigrazione in città, la disoccupazione provocano agitazioni e scioperi: si formano le résistences che dal 1848, pur lottando fra persecuzioni per la difesa dei lavoratori, svolgono specialmente un'attività cooperativa. Sotto il secondo impero, sull'esempio inglese e per lo stimolo dell'Internazionale, sorgono le camere sindacali: perseguitate dopo la Comune (1871), ma già nel 1876 riunentisi in congressi, che nel 1879 proclamano l'emancipazione del lavoro conseguibile solo nel socialismo. E da varie correnti socialistiche sono guidate la Fédération nationale des Syndicats (1886) e la Fédération des Bourses du travail (1892), nella quale finiscono per prevalere i rivoluzionarî partigiani dell'azione diretta e dello sciopero generale e di altre forme di azione rivoluzionaria. La Confédération générale du travail (1902) si trova così divisa fra socialdemocratici riformisti e sindacalisti rivoluzionarî soreliani fino alla guerra mondiale; nel dopoguerra rientra essenzialmente nella linea di azione dell'Internazionale sindacale, e dà opera attiva all'Ufficio internazionale del lavoro, istituito dai trattati di pace presso la Società delle Nazioni, sotto la pressione del movimento operaio di tutti i paesi, con una "Carta internazionale del lavoro", proclamante il principio che il lavoro umano non possa essere considerato alla stregua di una merce.
Dall'Internazionale sindacale (fondata nel 1901, sospesa dalla guerra mondiale, ricostituita nel 1919 e subito giunta a 24 milioni di aderenti) si staccò nel 1920 la Federazione americana del lavoro, per dissensi sui rapporti col socialismo; affermando poi con la Confederazione panamericana nel 1923 la dottrina di Monroe sul terreno sindacale. Secessione insita nella peculiare condizione dell'America; dove, per la copia di fonti di ricchezza, gli operai poterono avere sempre alti salarî e conquistare facilmente riduzioni di orario con le loro unioni (osteggiate solo ai primi inizî); ma poi per la conservazione delle loro posizioni chiesero allo stato ostacoli e limiti all'immigrazione operaia straniera. Tendenza limitatrice, risultata impotente nell'imperversare della crisi mondiale, ma comune ad altri paesi d'immigrazione (Australia, Nuova Zelanda), dove pure le rivendicazioni operaie (limiti legali di orario massimo e di salario minimo, preferenza ad operai sindacati, arbitrato, ecc.) hanno ottenuto soddisfazione senza gravi lotte. Alla secessione americana dall'Internazionale sindacale corrisponde nel 1920 la secessione dei Russi, che costituirono con 7 milioni dei loro e con nuclei comunisti d'altri paesi l'Internazionale rossa.
In Italia il movimento operaio comincia nel 1848 in Piemonte, con società di mutuo soccorso, cooperative e di resistenza; dopo il '59 si estende alle altre regioni specie per gl'incitamenti di Mazzini; ma poi l'azione di M. Bakunin e, più, il progressivo sostituirsi dell'industria all'artigianato fanno via via accentuare dal '70 in poi il carattere di classe del movimento. Il quale ha un'effimera espansione nella Sicilia coi fasci (1893-94); ma ha nell'Italia settentrionale una lenta, graduale e tenace diffusione di leghe di operai e contadini, e di Camere del lavoro, più volte disfatte da persecuzioni, leggi eccezionali, sconfitte; ma sempre rinate più vive dalle ceneri. Ottenuto con lo sciopero di Genova (1901) il riconoscimento del diritto di organizzazione, il movimento prende un rapido ritmo ascensionale; si formano numerose federazioni nazionali, tra cui particolarmente importante quella dei lavoratori della terra; s'intensifica, sull'esempio del Belgio, il movimento cooperativo di consumo e di produzione; s'introducono affittanze collettive; si svolge un'attività di conquiste economiche e culturali, che l'insorgere di aspre divisioni (sindacalismo rivoluzionario soreliano contro il riformismo), gli errori, le azioni inconsulte, le sconfitte talvolta ostacolano in parte, ma non interrompono né spengono. Lo smarrimento e la confusione insorgono invece più gravi nell'immediato dopoguerra, per l'irruzione improvvisa di masse caotiche nelle organizzazioni a portarvi l'ondata dei malcontenti incomposti e la suggestione del mito russo: il rivoluzionarismo delle nuove reclute sopraffà d'un tratto i vecchi cauti condottieri. Ma questo sindacalismo rivoluzionario è presto sgominato dall'insorgente sindacalismo fascista; la nuova legislazione si avvia grado grado a convertire il sindacalismo in corporativismo, che al principio della lotta di classe sostituisce quello della solidarietà nazionale. Con la Carta del lavoro il corporativismo fascista afferma recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro e l'importanza e i diritti della classe operaia.
Riepilogando, tutta la storia del movimento operaio in tutte le nazioni, pure attraverso errori e deviazioni (sempre inevitabili compagni di qualsiasi azione storica), dimostra l'importanza e la fecondità di questo grandioso fatto storico. La lotta che la classe lavoratrice è venuta svolgendo nel corso del secolo XX, per la conquista di condizioni di vita umane e per il riconoscimento dei suoi diritti e delle sue esigenze, è stata una lotta per l'elevazione materiale e morale della grande maggioranza in ogni nazione. Gli orrori, rivelati e documentati in tutti i paesi da replicate inchieste sulle condizioni di vita delle classi lavoratrici, non sono scomparsi per generosità o illuminata visione di filantropi, ma per la pressione costante degl'interessati e delle loro organizzazioni. Al posto di masse abbrutite dalla miseria e dall'ignoranza, preda di tutte le epidemie, scosse a quando a quando da selvaggi impeti di furore bestiale, il movimento operaio è venuto creando un'umanità consapevole, che si va educando ed elevando al senso della dignità umana e del valore del lavoro, e che nelle conquiste economiche vede il mezzo di un'elevazione spirituale e culturale. La stessa lotta contro il capitalismo avido di profitti è affermazione di un più alto concetto della ricchezza: non privilegio e dominio, rientrante nella sfera dell'arbitrio individuale, ma bene sociale che deve essere usato e volto a fini di utilità nazionale. E nell'atto stesso che le rivendicazioni operaie hanno portato a una limitazione dei profitti capitalistici, hanno anche impresso all'industria e all'agricoltura un fecondo impulso di rinnovamento che ha significato un accrescimento della produzione e, quindi, un elevamento generale delle possibilità e dei tenori di vita nazionali. V. anche le voci arti; cooperazione; corporazione.
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