MOZZI de’ CAPITANI, Luigi
– Nacque a Bergamo il 26 maggio 1746 dal conte Giambattista, dell’antica famiglia dei Capitanei di Mozzo, e dalla contessa Concordia Zanchi.
Fu affidato per l’istruzione al sacerdote Giovanni Arrigoni, poi entrò nel seminario di Bergamo. Proseguì gli studi nel collegio dei gesuiti di Monza (1759-62) e nel 1763 fece il suo ingresso nel noviziato della Compagnia di Gesù a Chieri. Al termine del biennio di noviziato accanto ai voti consueti emise tre voti particolari, che avrebbe rinnovato due volte l’anno: fedeltà alla Compagnia, volontà di intraprendere missioni in paesi lontani, ‘voto sanguinario’. A Milano proseguì gli studi di retorica nel collegio di S. Girolamo e quelli di filosofia nel collegio di Brera (1766-69). Il 15 gennaio 1768 indirizzò al preposito generale della Compagnia Lorenzo Ricci la richiesta di essere inviato in missione in Estremo Oriente. In questo periodo compose un testo intitolato Tavole astronomiche e gnomoniche, rimasto inedito.
Fu deputato all’insegnamento presso il Collegio de’ Nobili. Costretto nel 1773, colla soppressione della Compagnia, a fare ritorno in famiglia, si dedicò allo studio. Perfezionò gli incompiuti studi di teologia sotto la guida del vicario generale Giovanfrancesco Rovetta, fervente antigiansenista. Fu ordinato sacerdote a Bergamo, forse segretamente, verso il 1776; fu poi nominato esaminatore prosinodale e canonico del capitolo cattedrale, infine deputato alla disciplina ecclesiastica insieme con Marco Celio Passi. A Bergamo elaborò un’attività di apostolato, volta a consolidare una religione semplice e devozionale e a realizzare un’azione educativa organica nei confronti dei giovani. Radunò attorno a sé non solo ecclesiastici e nobili, ma moltissimi esponenti dei ceti popolari.
Nel 1780 pubblicò la traduzione di un’opera di Jean-Félix Fumel sulla devozione al S. Cuore, arricchita di note e commenti, più volte ristampata. La Vera idea del giansenismo (s.l. 1781) fu dedicata al card. Luigi Valenti Gonzaga; nella controversia Mozzi entrò in discussione con personaggi come Viatore da Coccaglio, Anton Tommaso Volpi, Giuseppe Puiati. L’impegno polemico era sostenuto dalla ricerca storica, come risulta evidente anche dalle due opere sulla Chiesa di Utrecht (Storia compendiosa dello scisma della Chiesa Nuova di Utrecht, Ferrara 1785, e Storia delle revoluzioni della Chiesa di Utrecht, Venezia 1787). Nel 1789 soggiornò a Milano, ospite del conte Francesco Pertusati, con cui collaborò alla diffusione della ‘buona letteratura’. Si adoperò anche per favorire, presso lo stampatore Sgariglia di Assisi, la pubblicazione di testi francesi volti a combattere il giansenismo. Un viaggio per l’Italia nel 1790 fu l’occasione per molti rapporti con principi e cardinali, tra cui il card. Luigi Valenti Gouzage e soprattutto Pio VI.
Tra i suoi testi, il più letto e tradotto, nelle sue varie versioni, fu I progetti degl’incredulisulla distruzione dei regolari ..., s.l. [ma Assisi] 1791), nel quale accreditava l’idea di un complotto anticristiano, sulla base dei carteggi di Federico di Prussia pubblicati nel 1788. Nel 1792 diede alle stampe a Foligno un Compendio storico-cronologico de’ più importanti giudizi portati dalla S. Sede apostolica romana sopra il Bajanismo, Giansenismo e Quesnellismo, che conteneva un’amplissima collezione di atti pontifici.
Dal 1792 fu arciprete della cattedrale di Bergamo, dove istituì i Romiti della Carità e contribuì alla fondazione da parte della monaca Maria Antonia Grumelli di un ‘collegio apostolico’ di sacerdoti secolari, inizialmente segreto e destinato a far rivivere lo spirito della soppressa Compagnia. A quanto risulta dai suoi carteggi, cominciò a predicare nel 1794-95 durante le missioni popolari, riprendendo, salvo piccole modifiche, il tradizionale modello missionario gesuitico e fondando confraternite per i giovani. La scuola serale da lui istituita nel 1796 fu probabilmente la prima in Europa.
Con l’arrivo dei francesi a Bergamo le sue attività suscitarono molte ostilità. Le consistenti aggregazioni giovanili preoccupavano le autorità civili, che temevano un’influenza negativa sui giovani, stimati dalle autorità di polizia nel numero di 5000 in Bergamo e 30.000 fuori città. Il primo arresto, domiciliare, si fondò sulle accuse di fomentare la rivolta nelle valli e di tenere adunanze segrete antirivoluzionarie. Successivamente Mozzi fu arrestato nell’aprile 1797 e rinchiuso al Castello, poi inviato nel convento di S. Bartolomeo, infine liberato. Il 13 luglio fu citato al comitato di Difesa generale e Polizia e subito scagionato, ma a fine agosto dovette presentarsi a Milano al ministero della Polizia generale. Costretto a un viaggio forzato che considerò alla stregua di un esilio, trascorse il tempo maggiore tra Borgo San Donnino e Parma, dedicandosi sia all’insegnamento sia allo svolgimento di attività di apostolato. Pio VI approvò la fondazione di una nuova casa di noviziato a Colorno (1799), di cui fu superiore Giuseppe Pignatelli e in cui Mozzi ebbe un ruolo di rilievo. Tra gli allievi figurava Angelo Mai, già in stretti rapporti con Mozzi dal tempo in cui era seminarista a Bergamo.
Con l’arrivo delle armate austro-russe nell’aprile del 1799 Mozzi fece ritorno a Milano e, il 19 giugno, a Bergamo, donde dovette nuovamente allontanarsi per forza di cose nel maggio 1800.
A partire dal 1799 Mozzi svolse cicli di missione in molte città, soprattutto tra il Veneto e la Dalmazia, accompagnato talora da noti personaggi come Pignatelli e il barnabita Felice De Vecchi. Nel 1802 a Venezia, con l’aiuto del giovane sacerdote Antonio Angelo Cavanis, fondò la prima congregazione mariana della città. Con l’appoggio di Mozzi, Cavanis e il fratello Marco Antonio diedero vita a un’attività di insegnamento, rivolta poi anche alle ragazze.
Nella fase di incertezza circa la possibile ricostituzione della Compagnia, Mozzi ebbe contatti non negativi con padre François-Marie Halnat e altri ‘paccanaristi’, ma poi ne prese le distanze e costituì una fra le principali voci dell’accusa contro Niccolò Paccanari durante il processo intentatogli dal S. Uffizio (1801-08). A Fano, il 21 novembre 1803, fece la solenne professione nelle mani di padre Emmanuel de Iturriaga, aggregandosi alla Compagnia della Russia Bianca. Rinunciò di conseguenza alla carica di arciprete. Nello stesso anno fu designato dal pontefice prefetto dell’Oratorio del Caravita a Roma. Una volta riattivata la Compagnia nel Regno di Napoli e Sicilia (1804), Mozzi si recò a Napoli, ove rivestì l’abito gesuitico. Il suo soggiorno fu caratterizzato dall’impegno nella missione urbana, affidatagli da Pignatelli. Nel 1806, con altri gesuiti ‘stranieri’ tra cui Mai, fu obbligato dai francesi a lasciare Napoli per Roma. Costretto ad abbandonare anche questa città per l’arrivo dei francesi, accompagnato ancora una volta da Mai partì per Milano il 13 giugno 1810. Qui rafforzò preesistenti legami e altri ne strinse. Nel 1812 gli fu imposto dalla Polizia di lasciare la città, ma suoi fautori ottennero che l’ordine fosse revocato, con la condizione che Mozzi non svolgesse attività alcuna come predicatore o confessore. Fu ospitato dai conti Gallarati Scotti.
Nell’estate dell’anno seguente cadde gravemente malato. Assistito da Vincenzo Maria Strambi, vescovo di Macerata in esilio, morì a Oreno il 24 luglio 1813.
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