mozzo
Ricorre solo nella Commedia, sempre in rima. Pur essendo aggettivo, in tre casi (If IX 95, XXVIII 103, Pg XVI 15) è usato come aggettivo verbale.
Adoperato con riferimento a membra umane vale " reciso ", " amputato ": If XXVIII 103 un ch'avea l'una e l'altra man mozza; e così al v. 19. In senso estensivo, può significare semplicemente " tagliato ", come nel caso dei prodighi, che resurgeranno del sepulcro / ... coi crin mozzi (VII 57). L'aggettivo potrebbe riferirsi sia a una rasatura completa, come intendono Chimenz e Mattalia, sia a un taglio parziale dei capelli, né questa incertezza è risolta dal confronto con Pg XXII 46, dove il castigo dei prodighi è descritto in forma quasi identica e altrettanto ambigua (risurgeran coi crini scemi).
Per un processo linguistico-espressivo analogo a quello della metonimia, m. assume l'accezione di " separato ", " disgiunto ", in Pg XVI 15 Guarda che da me tu non sia mozzo; Virgilio teme che D., procedendo attraverso il fumo che li avvolge, si allontani da lui e si smarrisca.
Variamente interpretato è Pd XIX 134 a dare ad intender quanto [Federico II d'Aragona] è poco, / la sua scrittura fian lettere mozze, / che noteranno molto in parvo loco. Tutta la terzina allude evidentemente alla meschinità d'animo e d'ingegno di Federico, né occorre qui esaminare se, delle due interpretazioni proposte già dai commentatori antichi, sia esatta quella dell'Ottimo (" quello che si scriverà in sua laude e fama fia... poco e in poca carta ") o quella opposta del Buti (" lo peccato suo... sarà sì grande, che converrà che si scriva con lettere... che tegnano meno luogo e capene più "); in ogni caso lettere mozze significherà " segni abbreviati ": cifre scritte in lettere romane incomplete o, e forse meglio, col Casella, le abbreviature stenografiche cui fa cenno Isidoro in Etym. I XXII-XXIV. E si vedano anche le osservazioni del Parodi, Lingua 394.
L'unico esempio di uso figurato si ha in If IX 95 quella voglia / a cui non puote il fin mai esser mozzo, " troncato " e quindi " impedito ". L'inutilità di recalcitrare alla volontà divina, l'unica che non possa trovare ostacoli nel compimento dei propri fini, è dottrina tenuta presente anche in Ep V 14 e VI 14 oltre che in molti e ben noti passi della Commedia (If III 94-96, V 22-24, ecc.); è però da osservare che l'espressione perifrastica sembra qui suggerita dalle esigenze della rima, come ritiene il Pagliaro (Ulisse 623 ss.); una conferma di questa ipotesi si potrebbe anzi trovare nell'analogia tra la rima cozzi-mozzi di If VII 55-57 e quella cozzo-mozzo di IX 95-97 e Pg XVI 11-15.