MULTINAZIONALI
(App. IV, II, p. 538)
La crescente internazionalizzazione delle attività produttive ha determinato lo sviluppo sia degli investimenti diretti all'estero sia, in generale, delle attività sull'estero delle imprese (commercio, acquisizioni, fusioni, accordi di cooperazione tecnologica e finanziaria, ecc.). In particolare, le imprese hanno fatto ricorso a nuove forme d'investimento internazionale che sono collocabili in una posizione intermedia tra investimento diretto all'estero maggioritario e commercio, tradizionali modalità di espansione internazionale. Il ricorso alle nuove forme d'investimento internazionale ha fatto sì che anche imprese che, per la dimensione delle loro risorse finanziarie e/o di gestione non sarebbero state in grado di effettuare investimenti diretti all'estero, abbiano sviluppato attività sull'estero. Queste operazioni internazionali possono consistere in accordi di cooperazione internazionale scaturenti da motivazioni diverse quali, per es., trasferimenti unidirezionali o bidirezionali di tecnologie, oppure esigenze commerciali, esigenze di economia di scala o ancora esigenze di redistribuzione di rischi. Esse presentano caratteristiche diverse sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista economico, alcune comportano una partecipazione azionaria, altre sono forme di coinvolgimento estero non equity ("non basato sul controllo azionario") delle imprese.
Un primo gruppo è costituito dalle joint ventures a partecipazione minoritaria, che sono la forma di coinvolgimento estero delle imprese più vicina agli investimenti diretti all'estero tradizionali. Esse consistono in una società a capitale misto tra un investitore estero e un'impresa del paese ospitante che detiene la quota azionaria di maggioranza della società. Caratteristiche diverse dalle joint ventures presentano alcune forme di coinvolgimento estero delle imprese quali i subappalti internazionali, spesso realizzati in direzione nord-sud verso alcuni paesi in via di sviluppo a basso costo di lavoro. Questi contratti sono conseguenza dei processi di decentramento internazionale delle produzioni e delle opportunità di realizzare una disintegrazione verticale delle fasi del ciclo produttivo. Pur potendo garantire all'impresa un certo grado di controllo tecnologico sulla totalità del ciclo produttivo, essi consentono trasferimenti di tecnologie nel paese subappaltante soprattutto quando siano previste clausole di assistenza tecnico-manageriale, procedure di controllo degli standard qualitativi e interventi nella formazione del personale da parte del paese appaltante.
Caratteristiche ancora diverse presentano altre forme contrattuali non equity che si sono sviluppate negli anni recenti e che prevedono rapporti di collaborazione tra imprese di paesi a diverso grado di sviluppo, prolungati nel tempo e finalizzati a trasferire sistemi produttivi e conoscenze tecnologiche verso i paesi di destinazione. Ne sono un esempio le forniture di impianti ''chiavi in mano'', per le quali il contratto contempla la fornitura dei prodotti strumentali e dei servizi necessari a rendere operativa una nuova unità produttiva o le forniture di ''prodotti in mano'', per le quali il fornitore s'impegna a provvedere alla formazione di personale tecnico e all'avvio della produzione.
In questo quadro di internazionalizzazione tecnologica e finanziaria si è evoluto anche lo stesso concetto d'impresa multinazionale nonché l'interpretazione teorica che ne dà la scienza economica. In generale, si continua a ritenere che una m. sia "un'impresa che detiene la proprietà o il controllo di attrezzature produttive (fabbriche, miniere, raffinerie, strutture distributive, strutture amministrative) in più di un paese" (Dunning 1971). I processi di multinazionalizzazione delle imprese hanno stimolato l'elaborazione da parte degli economisti di nuovi modelli interpretativi o in alcuni casi la revisione degli schemi già proposti in riferimento alle forme tradizionali di internazionalizzazione della produzione.
Una delle prime spiegazioni dell'attività d'investimento diretto all'estero delle imprese è stata avanzata da R. Vernon (1979) ed è basata sull'ipotesi del ciclo di vita del prodotto. In base a questa ipotesi, nella vita di un prodotto sono individuabili più fasi: quella della ricerca e dell'introduzione delle innovazioni, quella di sviluppo e maturazione del prodotto e infine quella della standardizzazione. Secondo Vernon, superata sia la fase dell'introduzione dell'innovazione, sia quella di sviluppo del prodotto, l'impresa innovatrice, che nelle prime fasi avrà soddisfatto la domanda estera attraverso le esportazioni, riterrà più conveniente realizzare la produzione nei mercati esteri trasferendo in essi le tecnologie di processo per conservare il suo vantaggio manageriale.
Sulla relazione fra vantaggi oligopolistici goduti dalle imprese e comportamento delle imprese multinazionali ha posto l'accento anche S. Hymer (1976), per il quale l'espansione all'estero è un momento del processo di sviluppo dell'impresa che, non potendo più accrescere la sua quota di mercato interno, è portata a investire i profitti in operazioni estere.
Un ulteriore schema interpretativo della condotta delle m. è stato proposto da alcuni economisti (Buckley e Casson 1976), che applicano a esse la teoria dei costi da transazione di R. H. Coase. Essi considerano la m. un'organizzazione che (per motivi connessi con la natura del prodotto o con caratteristiche geografiche e sociali delle regioni collegate dal mercato o con i rapporti politici e fiscali tra le nazioni coinvolte o con l'abilità del management nell'organizzare un mercato interno) internalizza, cioè sposta all'interno, un insieme di transazioni internazionali, che potenzialmente potrebbero svolgersi attraverso il mercato, valutando più conveniente sostituire ai mercati esterni mercati interni all'impresa. I vantaggi derivanti dalla internalizzazione assumono rilievo anche nella teoria ''eclettica'' delle m. sviluppata da Dunning (1981, 1988b). A suo parere, tuttavia, la produzione internazionale è spiegabile, oltre che da tale categoria di vantaggi, anche da vantaggi derivanti dal controllo proprietario delle imprese (vantaggi da proprietà) e da vantaggi connessi con le attrattive di localizzazione nel paese ospitante (vantaggi da localizzazione). Dunning, in sostanza, delinea uno schema interpretativo più ampio di quelli precedentemente esaminati e, in quanto tale, anche più idoneo a interpretare, oltre alle tradizionali forme di multinazionalizzazione delle imprese, anche le nuove forme di coinvolgimento estero di esse, che negli anni recenti si sono andate sempre più diffondendo.
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