municipio
Nella Roma repubblicana (dalla metà del 4° sec. a.C.) m. era la città assoggettata a Roma e sottoposta a oneri (munus capere). Con l’assoggettamento il m. perdeva la propria sovranità, senza partecipazione ai diritti politici di Roma (sine suffragio). Si distingueva quindi dalle comunità annesse in condizioni di parità con gli originari di Roma (cives optimo iure); dalle città alleate (foederatae), che, salvo limitazioni di carattere internazionale, conservavano formalmente la propria sovranità; dalle coloniae dedotte dalla stessa Roma e regolate da statuti che garantivano la piena cittadinanza (coloniae civium Romanorum) o addirittura una situazione di alleanza privilegiata; dai fora, vici, conciliabula, frazioni dipendenti dai m. stessi o dalle prefetture. La condizione giuridica dei diversi m. era varia: i più conservavano i loro magistrati elettivi, e conseguentemente larga autonomia giurisdizionale e amministrativa; altri erano governati da funzionari (praefecti) romani; vi erano infine i municipes aerarii, assoggettati per punizione (dopo una defezione, come per es. Capua). Con la concessione della cittadinanza ai soci italici (90 a.C.), il regime municipale si estese anche alle città federate; i nuovi m. ebbero un’organizzazione uniforme: il quattuorvirato, un collegio in cui due membri esercitavano le funzioni giurisdizionali e gli altri due quelle amministrative. I m. più antichi continuarono invece ad avere le loro passate magistrature. Nell’età imperiale, mentre avvenne la fusione tra i m. propriamente detti e le colonie sotto il nome unico di universitates, decadde progressivamente l’autonomia municipale, mentre si accrebbe l’ingerenza del potere centrale. Nelle province l’organizzazione municipale restò ignorata sino alla fine della repubblica: vi erano le antiche città sovrane, con larga autonomia, ma straniere, e la massa dei sudditi privi di organizzazione cittadina. Concessa a tutti gli abitanti dell’impero la cittadinanza romana con la Costituzione di Caracalla del 212, le città peregrine si avvicinarono alle italiche in quell’inesorabile movimento che tese a livellare l’Italia e le altre province sotto il dispotismo imperiale. Le città ebbero un proprio senato (curia) che nominava i magistrati, di regola duumviri. Ma era solo una parvenza di libertà: la reale funzione della curia era prevalentemente quella di designare i cittadini capaci di assumersi il rischio della percezione delle imposte e gli oneri; mentre la magistratura dei duumviri, priva di giurisdizione contenziosa, aveva come sua principale funzione la registrazione degli atti. Vi era poi accanto al curator civitatis, che sorvegliava l’amministrazione finanziaria, il defensor plebis o civitatis, nominato prima dal prefetto pretorio poi eletto dalla città, con giurisdizione civile e criminale nelle cause di minore importanza.