MURATTISMO
. Con questo nome fu indicato il movimento politico che, forte dei ricordi del regno di Gioacchino Murat (v.), caldeggiò l'instaurazione d'una dinastia murattiana nel Mezzogiorno d'Italia tra il 1850 e il 1860. Le generiche simpatie per i napoleonidi diretti e indiretti, vive ancora in un certo numero di patriori italiani, si riaccesero e si precisarono con l'avvento al potere di Luigi Napoleone. Luciano Murat, secondogenito di re Gioacchino, salito a nuova luce e a nuova fortuna con la seconda repubblica e più con il secondo impero, aveva cominciato ad accarezzare per sé e a fomentare in altri speranze di restaurazione sul trono di Napoli fino dal tempo della sua ambasceria torinese (1849-1850) e aveva accolto attorno a sé esuli meridionali, ai quali poi aprì largamente il suo salotto parigino. Buon uomo, certo, ma vanitoso, scarso d'intelligenza e di qualità realizzatrici, grosso di corpo e alieno dalle avventure audaci ("inattissimo a intraprendere nulla di serio", dirà il Minghetti), ben poco aveva ereditato delle qualità paterne. A eccitarlo pensava la sorella Laetitia, sposata al Pepoli, e a creargli un partito si sforzarono quegli esuli napoletani che, delusi sulle possibilità dell'azione rivoluzionaria interna e degli sbarchi di emigrati, speravano o s'illudevano su possibili aiuti francesi. Ché nell'ambiente napoleonico quella candidatura incontrava favore, anche se Napoleone III non si risolveva nemmeno per essa a lasciare l'ambiguità e le incertezze che gli erano abituali. E quando il probo e buono, ma mediocrissimo uomo politico Aurelio Saliceti fu scelto a precettore dei figli di Luciano (l'incarico della scelta era stato affidato da Napoleone III a F. Arese e la scelta fu concretata nel salotto piano della murattiana baronessa Begani), l'idea murattiana ebbe un apostolo ardente, ingenuo e disinteressato. Attorno al duca di Cirella e al duca Proto di Maddaloni, già generali murattiani, s'accolsero sulle prime G. Pepe, E. De Riso, G. Ulloa, G. Ricciardi, il Petrucelli della Gattina, G. Pisanelli, D. Assanti, L. e C. Mezzacapo e altri molti, cui incoraggiava in Parigi il principe di Canino. Un viaggio del Murat in Italia nel 1852 preoccupò la polizia borbonica, che teneva d'occhio anche le corse di P. Conforti, G. d'Amico, V. Carbonelli tra Parigi e Londra, inviati invano a persuadere il Mazzini. Correvano intanto, dopo il febbraio 1852, voci di spedizione capitanata dal Pepe, si scoprivano nel regno formazioni settarie murattiane (fine del 1853-primi del 1854). Una certa penetrazione il nome e il denaro del Murat pareva che l'avessero. Fu ritenuto opportuno di chiedere il parere dell'aristocrazia patriottica, allora nelle galere borboniche di Montefusco e di Santo Stefano. Ma l'idea di creare in Italia due regni confederati con unità di leggi e di dogane, uno sabaudo al nord, l'altro murattiano al sud, in mezzo il papa, neutrale, ridotto a Roma e al Patrimonio, fu respinta da quei patrioti. E fu un grave colpo alla candidatura, che non risollevarono né le lettere e i proclami del fiacco pretendente, né le malcerte promesse di aiuti imperiali, di legioni polacco-ungherese e franco-italiana al soccorso, di navi e di munizioni. Né giovarono le fiere polemiche seguite alle pubblicazioni degli opuscoli La question italienne, Murat et les Bourbons (Parigi 1855) del Saliceti e d'altri e La questione napoletana, Ferdinando Borbone e Luciano Murat, di F. Trinchera (Torino 1855). Esplicita e dura l'opposizione dei migliori tra i patrioti, da E. Cosenz, D. Mauro e F. De Sanctis a D. Manin e a G. Pallavicino Trivulzio. La campagna antimurattiana fu condotta specialmente dal De Sanctis e da G. La Farina, preoccupati dell'atteggiamento incerto o apertamente favorevole di alcuni esponenti del movimento nazionale, quali G. Montanelli, A. Bianchi Giovini e altri. Gli articoli del De Sanctis sul Diritto e l'opuscolo del La Farina, Murat e l'unità italiana (Torino 1856), ebbero grandissimo peso. Manin sull'Unione scriveva addirittura (4 novembre 1856): "Chi parteggia per Murat tradisce l'Italia". Ma gl'intrighi continuarono: il pretendente diffuse voci di appoggio inglese, cercò di fare svalutare l'opposizione dei patrioti, lasciò credere a una prossima spedizione (e la voce non fu senza peso nel decidere il Pisacane alla sua). L'avversione inglese e russa (feroci gli articoli dei giornali inglesi), la scarsa fortuna italiana del progetto, l'insufficienza del pretendente raffreddarono anche i non caldissimi entusiasmi di Napoleone III, che fece un blando tentativo in favore di Luciano nel colloquio di Plombières (1858). Ma il 1859 e più il 1860 seppellirono le speranze e gl'intrighi dei murattiani e del loro capo, ridotto a diffondere lettere e proclami a una schiera sempre più scarsa di gregarî. La vittoria dell'idea unitaria lo isolò per sempre.
Bibl.: Ricca la letteratura polemica. Come opera d'insieme, v. M. V. Gavotti, Il movimento murattiano dal 1850 al 1860 (con bibl.), Roma 1927.