Vedi MURO LECCESE dell'anno: 1963 - 1995
MURO LECCESE (v. vol. V, p. 284)
Dopo gli interventi della seconda metà dell'Ottocento e degli inizî del Novecento a opera dei Maggiulli, la storia della ricerca archeologica nel centro messapico di M. L. registra una ripresa, in parte dovuta alle necessità della tutela, in parte svolta nel quadro di un più ampio programma di ricerca sugli insediamenti nell'area messapica. In quest'ultimo ambito si inseriscono gli interventi finalizzati allo studio della fortificazione messapica che ha costituito a lungo l'unico resto monumentale dell'antico insediamento. Tuttora ben conservata nella parte settentrionale e orientale del sito, essa si svolge per lunghi tratti nel suggestivo paesaggio salentino, in un contesto ambientale che in alcuni punti conserva intatta la sua bellezza, ma che è stato fortemente danneggiato negli ultimi anni dalla disordinata espansione del centro moderno.
Segnalata per la prima volta dall'umanista salentino A. de Ferraris detto Galateo nel suo De situ Iapygiae, la fortificazione viene in seguito menzionata dal Saint Non, e descritta nella seconda metà dell'Ottocento da L. Maggiulli e da C. De Giorgi. Gli studiosi si soffermano sulla tecnica del muro a corsi alternati di blocchi posti di testa e di taglio, visibile in alcuni punti per una successione di cinque filari. Particolarmente ben conservata nella zona Sitrie, dove ai tempi di L. Maggiulli era visibile una delle porte di ingresso, alta 2,59 m e ancora coperta da un «colossale architrave», la fortificazione si poteva seguire per quasi tutto il circuito nelle campagne intorno al piccolo centro medioevale e moderno. A L. Maggiulli si deve inoltre la prima menzione di un'altra importante struttura muraria, nota come cinta interna, visibile per un tratto a SE dell'abitato moderno, dove correva parallela alla cinta esterna e a poca distanza da essa (30 m).
Gli scavi recentemente svolti in collaborazione fra Università di Lecce ed École Française de Rome si sono concentrati sulla cinta muraria esterna permettendo di indagare una delle porte di ingresso alla città e di studiare i problemi connessi alla realizzazione del perimetro difensivo.
Nel saggio in località Sitrie lo scavo relativo al muro a blocchi ha permesso di identificare, nelle immediate adiacenze, altre due strutture murarie e di restituire la seguente successione di fasi costruttive: una prima corrisponde al muro più interno, largo 5 m e costituito da un paramento esterno a blocchi regolari, èmplekton e paramento interno a pietre irregolari; la seconda fase è rappresentata dal muro a blocchi squadrati (la fortificazione nota), largo 3 m; alla terza fase appartiene una struttura larga 3,60 m, costruita con pietre irregolari giustapposte a secco, di dimensioni più grandi e molto ben allineate lungo i bordi esterni. Tecnicamente meno accurata, questa struttura sembra essere stata realizzata in fretta. Fra i muri della seconda e della terza fase è stata identificata una massicciata in «tufina» relativa con tutta probabilità a una strada pomeriale.
La stessa successione ricorre nella porta scavata fra il 1986 e il 1990 da J.-L. Lamboley. Essa presenta una pianta «a tenaglia» con i due avancorpi della porta che definiscono uno spazio antistante di forma trapezoidale. L'ingresso è inoltre munito di una torre. Nell'area antistante è stato rinvenuto anche qui il muro a blocchi più irregolari, nel quale si apre uno stretto ingresso.
Forti analogie sono state rilevate dal punto di vista tecnico con altre cinte messapiche, in particolare con quella di Rocavecchia e della vicina Vaste, che presenta fra l'altro una simile successione di fasi costruttive. Le analogie con la cinta di Roca riguardano in particolare la tecnica del secondo muro, quello a blocchi squadrati, che a Roca è conservato solo a livello di fondazione.
Per quanto riguarda la cronologia, i dati ricavati dagli scarsi materiali ceramici rinvenuti nello scavo della porta, noti per il momento solo da relazioni preliminari, permettono di orientare la datazione delle prime due cinte verso le fasi finali del IV sec. a.C. Non è chiaro se il terzo muro è o meno contemporaneo al secondo: nel primo caso esso potrebbe essere interpretato come un protèichisma destinato a rinforzare la difesa, in assenza di un fossato. Diversamente andrebbe riferito a un'operazione di rafforzamento delle mura da mettere in relazione o con le fasi di tensione determinate intorno alla metà del III sec. a.C. dalle mire espansionistiche romane o con le guerre annibaliche (Lamboley, 1991).
L'area racchiusa dalle mura occupa una superficie di 107 ha. In base ai dati forniti da un'indagine volta a valutare l'estensione dei centri messapici, l'insediamento di M. L. risulta fra quelli di più grandi dimensioni che, all'interno dell'articolato tessuto insediativo indigeno, sembrano aver svolto il ruolo di «centri dominanti»: sui 15 centri messapici noti nel Salento meridionale solo 4 possono vantare estensioni superiori ai 100 ha. L'interesse di questi dati risiede in particolare nella possibilità di dedurne informazioni circa i caratteri dell'organizzazione territoriale e, verosimilmente, politica indigena che sembra riflettere realtà di tipo cantonale (D'Andria).
Il confronto con le dimensioni del vicino centro di Vaste (77 ha) e dell'approdo di Otranto (26 ha circa) porterebbe pertanto a individuare in M. L. il «centro dominante» del comparto territoriale su cui insistono questi insediamenti.
Purtroppo l'assenza di dati sull'abitato di M. L. non consente di approfondire tale confronto. Sostanzialmente inediti sono infatti i risultati delle campagne di scavo condotte dalla Soprintendenza Archeologica fra il 1985 e il 1988 in un'ampia e importante area a E dell'abitato moderno (fondo Palombara). Determinato dagli sbancamenti compiuti per la costruzione del quartiere 167, l'intervento ha portato all'identificazione di due fasi di occupazione: la prima, riferibile all'Età del Ferro e all'età arcaica, è documentata da fosse di scarico e dai resti di una capanna; l'altra sembra estendersi fra IV e III sec. a.C. ed è attestata da numerosi resti di strutture abitative a pianta rettangolare disposte intorno a un cortile. Le poche e scarne notizie diffuse in via preliminare fanno inoltre riferimento al rinvenimento, nel corso della campagna 1986, di un importante asse stradale e all'estensione dello scavo nell'area in corrispondenza del grande muro a secco, parallelo alla cinta difensiva, che era stato messo più volte in relazione con la c.d. cinta interna. Lo scavo non sembra aver chiarito la funzione di questa importante struttura, che va probabilmente letta in relazione all'organizzazione interna dell'insediamento più che come parte del sistema difensivo.
Circa le fasi e l'organizzazione dell'abitato, molto scarsi sono i dati che è possibile estrarre dalle relazioni dei Maggiulli. A P. Maggiulli (scavi 1911) si deve l'identificazione di fondi di capanna riferibili all'Età del Ferro. Nei pressi furono individuate alcune sepolture all'interno di vasi a impasto che P. Maggiulli considera a incinerazione. A lungo essi sono stati ritenuti come una testimonianza isolata dell'esistenza di questa pratica rituale, tipicamente protovillanoviana, nella protostoria del Salento meridionale. Il riesame della documentazione presentata da Maggiulli e il confronto con analoghi rinvenimenti nelle aree archeologiche vicine ha recentemente permesso di riconoscere in queste sepolture esempi di inumazioni di infanti entro pìthoi a impasto, del tipo estremamente diffuso nei contesti dell'Età del Ferro (D'Andria).
Alla scoperta di numerose tombe messapiche fanno riferimento nella seconda metà dell'Ottocento sia L. Maggiulli (1871) che De Giorgi (1882). Alcune di queste necropoli sembrerebbero dislocate all'esterno del circuito murario nei fondi Giallini e Pozzomauro, ma non mancano, già nel secolo scorso, rinvenimenti tombali all'interno dell'area cinta dalle mura. Tale pratica, ricorrente negli insediamenti messapici, è confermata peraltro anche dai risultati di interventi più recenti (Andreassi, 1987). Circa le necropoli esterne alle mura va inoltre sottolineato che probabilmente non tutte sono riferibili alle fasi messapiche. Le scarne notizie del De Giorgi (1882) sui corredi delle necropoli «di Levante» del fondo Giallini potrebbero riferirsi a tombe romane, forse tarde. Questo pone il problema dell'esistenza di una fase romana dell'abitato per il momento non documentata. Infatti le uniche notizie relative alla frequentazione del sito in età successiva a quella messapica riguardano le numerosissime monete romane (consolari, imperiali e del basso impero) che i Maggiulli sostengono di aver rinvenuto nel sito e nelle zone vicine, ma che non sono più reperibili.
Ancora alle fasi messapiche è riferibile un monumento scavato nella metà dell'Ottocento noto come «Tempietto di Afrodite». L'associazione con Afrodite si deve al rinvenimento di un'iscrizione messapica, databile alla metà del V sec. a.C., incisa sul bordo di un bacino di pietra leccese in cui compare il teonimo messapico Aprodita. Nel corso dello scavo fu inoltre rinvenuta una statuetta di bronzo acefala, nella quale gli editori vollero riconoscere il simulacro della dea. Tale interpretazione è stata ripresa da quanti hanno fatto riferimento, sia pure marginalmente, a Muro Leccese. L'inquadramento dell'intero complesso resta comunque problematico. Data la presenza nei pressi dell'edificio circolare di una tomba, è possibile che in esso vada riconosciuto un impianto riferibile ai culti funerari, sul modello dei complessi con recinti e altari recentemente rinvenuti in aree di necropoli nel vicino insediamento di Vaste, collegati al culto eroico degli antenati.
Bibl.: Per la storia della ricerca e la bibliografia aggiornata fino al 1988 si rimanda a: G. Semeraro, in BTCG, XII, 1993, pp. 143-150, s.v.
Mura: A. de Ferraris Galateus, Liber de situ Iapygiae, Basilea 1558, p. 96; C. R. Saint Non, Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de Sicile, Parigi 1783. - Per le dimensioni e il tracciato del circuito murario: F. D'Andria, C. Pagliara, G. Carluccio, I centri antichi messapici e romani, I. La provincia di Lecce, Lecce 1985; G. Carluccio, F. D'Andria (ed.), Le fortificazioni messapiche della provincia di Lecce. Itinerari, Galatina 1990.
Una breve sintesi relativa alle ricerche recenti sulle fortificazioni è in J.-L. Lamboley, Les fortifications messapiennes des IVe-IIIesiècles av. J.-C, in I Messapi. Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto-Lecce 1990, Taranto 1991, pp. 487-501; id., Muro Leccese (Lecce), Sitrie, in Taras, XII, 1992, 2, p. 294.
Insediamenti messapici e sistemi di organizzazione territoriale: F. D'Andria, Messapi e Peuceti, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, pp. 653-715; id., Insediamenti e territorio: l'età storica, in I Messapi..., cit., pp. 393-478.
Le notizie preliminari relative allo scavo della Soprintendenza Archeologica sono in: G. Andreassi, L'attività archeologica in Puglia, in Neapolis. Atti del XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1985, Taranto 1986, pp. 379-380; id., L'attività archeologica in Puglia nel 1986, in Lo stretto crocevìa di culture. Atti del XXVI Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1986, Taranto 1987, pp. 639-640; G. P. Ciongoli, Muro Leccese. Palombaro, in Taras, VIII, 1988, 1-2, p. 147; id., Muro Leccese, zona 167, via S. Marco, ibid., IX, 1989, 1-2, p. 219. - Sull'abitato a capanne dell'Età del Ferro e sulla revisione dei dati forniti da P. Maggiulli: F. D'Andria, Osservazioni sui materiali arcaici di Vaste, in Studi di Antichità, II, 1981, pp. 109-122.
«Tempietto»: H. Brunn, Scavi di Muro, in Annali dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, XXXI, 1859, pp. 417-419. - Frammento di bacino con iscrizione messapica: C. Pagliara, Materiali iscritti da Vaste e Muro, in Studi di Antichità, II, 1981, pp. 207-220, in part. p. 210 ss. - Statuetta di bronzo: G. Delli Ponti, I bronzi del Museo Provinciale di Lecce, Lecce 1973, pp. 16-17, 85. - Complessi a recinti di Vaste: F. D'Andria, Messapi e Peuceti..., cit., p. 710; id., Insediamenti e territorio: l'età storica..., cit., pp. 463, 473; G. Semeraro, in F. D'Andria (ed.), Archeologia dei Messapi (cat.), Bari 1990, pp· 153-157.