Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Sulla questione della differenza di genere nell’ambito della musica europea novecentesca si pone in primo luogo una questione di carattere concettuale – il concetto di gender. Successivamente vengono affrontate le tappe significative che hanno contribuito, dai primi anni del Novecento alla fine del secolo, a delineare nell’approccio musicale vere e proprie differenze di genere: il divismo correlato alla musica lirica, l’emergere del pop e il culto dei suoi idoli, fino a tendenze musicali che hanno posto in modo esplicito la questione del genere.
La riflessione intorno alla differenza di genere in ambito musicale è recente e risale alla formulazione del concetto di gender elaborato in seno ai gender studies fra gli anni Ottanta e Novanta. In relazione alla musica, gli studi che vertono sulla differenza di genere si concentrano in maniera prevalente sulle produzioni e sui generi musicali extracolti, essendo questi ultimi territori in cui la stessa nozione di gender è stata teorizzata. La nozione, tradotta in italiano con l’ormai accreditato termine di “genere”, non si risolve nella semplice descrizione della differenza sessuale, genere maschile o femminile, bensì riguarda in generale la rappresentazione del sé. Secondo una teoria largamente condivisa, il genere, anche a dispetto dell’identità sessuale dell’individuo, è altamente performativo, contesta cioè la nozione di soggetto individuale sessuato e si concentra sulla performatività in quanto atto discorsivo capace di produrre, attraverso ripetizione e recitazione, ciò che esso nomina, come afferma Judith Butler in Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity (1990).
In questo senso, l’evento musicale, dall’opera lirica al fenomeno delle popstar, dalla composizione classica alle attuali pratiche del djing, è stato il veicolo della costruzione e rappresentazione pubblica delle relazioni fra i generi, della negoziazione dei ruoli, e della ridefinizione dell’immaginario culturale che ruota intorno al genere sessuale. Le differenze di genere in musica non sono circoscritte al rinvenimento delle presenze femminili nella storia della musica, sebbene i gender studies, derivando dagli studi femministi degli anni Settanta, prediligano questa prospettiva sulle altre.
Gli studi sulla rappresentazione del genere guardano alla musica come luogo della messa in opera di particolari tropi del gender e come veicolo di espansione e di intensificazione di temi che riguardano l’identità sessuale elaborati anche in altri contesti culturali. Gli stessi studi indagano inoltre le pratiche testuali musicali in funzione di una riflessione sul genere e sulla sessualità. A partire da questa linea di ricerca hanno iniziato a farsi strada approcci sul genere maschile, e poi lesbico, omosessuale, transgender complessivamente inclusi nei più recenti queer studies.
L’universo musicale, osservato performativamente nella rappresentazione dell’identità, si configura all’interno della difficile dialettica tra costruzione sociale e realizzazione personale. I quesiti da cui partono molti fra gli studi sul genere in ambito musicale sono ad esempio: “In che modo la musica contribuisce alla costruzione di un’identità di genere?”, (si pensi al fenomeno delle Riot Girls nel rock e nel punk). Oppure, viceversa, “In che modo il genere contribuisce alla costruzione di un’identità musicale?”, ed è il caso del glam rock. Altre questioni riguardano il modo in cui entrambi i percorsi sovracitati abbiano contribuito e contribuiscano alla storia della nostra cultura, in riferimento ai processi di identificazione tipici della società di massa, la quale mediante il divismo e le pop star celebra e ridisegna i confini fluidi del genere sessuale.
Nel panorama musicale femminile, rispetto a quello maschile, la tradizionale distinzione occidentale tra compositore e performer ha avuto un impatto rilevante. L’universo maschile pur contando fra le proprie fila musicisti omosessuali, sebbene non dichiarati, non ha dovuto misurarsi immediatamente con la rappresentazione pubblica del genere. Non ha dovuto, pertanto, accelerare quel processo, che nel pop diverrà una moda, consistente nel realizzare la propria gender identity sul palco offrendosi e/o ammiccando al pubblico e ai media.
Per contro, le donne, accettate da sempre nella musica colta nel ruolo di performer, a partire dal XIX secolo fino agli inizi del XX si sono distinte in particolare nel bel canto operistico e all’interno di ruoli sociali che le hanno viste esecutrici al pianoforte nei circoli e nei salotti, insegnanti di musica e di canto, organizzatrici di eventi musicali quali concerti per compleanni e anniversari. Il riconoscimento del ruolo di compositrice non è favorito né previsto dalla società europea di inizio secolo, dunque conquistato con difficoltà attraverso aspre battaglie. La compositrice britannica Ethel Smyth (1858-1944), suffragista e lesbica, sfida l’establishment inglese con opere che mirano anche a confutare il pregiudizio secondo il quale la produzione musicale femminile sia percorsa unicamente da intimismo.
L’universo musicale contemporaneo è segnato da un altro pregiudizio: quello concernente gli strumenti. Le musiciste sono state generalmente sottostimate e scoraggiate come strumentiste o comunque relegate al ruolo di pianiste e arpiste. A tutt’oggi il numero delle donne impiegate nelle orchestre è di gran lunga inferiore a quello degli uomini, così come va osservato lo scarso numero di direttrici d’orchestra. Per la musicologia è scontato ed è “norma” che la musica sia scritta da uomini, tanto da non essere necessaria la distinzione fra musica classica maschile e femminile; è solo con l’etnomusicologia femminista degli anni Settanta che si dà voce alle numerose compositrici rimaste nell’oblio o note solo come brave esecutrici.
Un altro aspetto della differenza di genere in musica, nonché prerogativa tutta novecentesca e di matrice Gender e Queer Studies, è il rinvenimento a ritroso nel tempo di musicisti gay, lesbiche e transgender, attraverso l’indagine di comportamenti sociali e privati o l’analisi dei contenuti delle loro opere. Un caso esemplare è quello del compositore francese Maurice Ravel (1875-1937) il quale, se non assunse mai una posizione pubblica sulla propria omosessualità, nelle sue opere mise però da parte gli intrecci di stampo tradizionalmente eterosessuale per esplorare temi vicini all’immaginario omosessuale. Il suo connazionale Francis Poulenc (1899-1963) e l’inglese Benjamin Britten (1913-1976) dichiararono invece pubblicamente la loro omosessualità.
Un fenomeno d’inizio secolo che apre la strada alle popstar è stato senza dubbio il culto delle dive, indissolubilmente connesso con il formarsi dell’immaginario visuale e culturale della comunità gay e lesbica. Identificazione, desiderio e adorazione espressi nei confronti delle dive sono ampiamente documentati fra gruppi gay e lesbici, poiché costituiscono l’humus delle rappresentazioni di genere. Ad esempio, il culto sviluppatosi per la divina Maria Callas (1923-1977), il soprano greco-americano divenuto suo malgrado icona gay, sembra risiedere per un verso nella tormentata vita della cantante, che rispecchia l’idea dell’amore proibito e dell’ostracismo sociale, e per l’altro nella natura stessa dell’opera lirica. L’opera è un luogo musicale e teatrale dove, attraverso la performance e il travestimento, i confini sessuali vengono spesso confusi. Nel Novecento non solamente gli uomini interpretano personaggi femminili, ma anche le donne rivestono ruoli maschili; si ricordi un’altra icona lesbica, il soprano scozzese Mary Garden (1874-1967), specializzata in ruoli provocatori che inscenano lo scambio di genere.
Fra le musiche extracolte si possono individuare alcuni sottogeneri musicali, gruppi o singoli artisti che hanno posto la questione della rappresentazione del genere in termini critici, ironici o estetici, distinguendosi dal sessismo che segna il mondo del rock e del pop in genere e quello dell’hip hop, del reggae e del metal in particolare, roccaforti riconosciute dell’eterosessualità espressa attraverso videoclip e testi omofobici e sessisti.
Nei gruppi rock la chitarrista elettrica è stata considerata segno di ribellione all’egemonia maschile e fallocentrica (Richard Dyer, In Defense of Disco, in Gay Left, 8, London 1979). Segnaliamo qui alcuni episodi che hanno posto la questione della differenza di genere: il glam rock, con l’icona dell’ambiguità sessuale incarnata dall’inglese David Bowie; il travestitismo, inscenato dal cantante gay dei Queen, Freddie Mercury; lo sbarco in Europa, nel corso degli anni Settanta, dell’americana Disco Music, autentica fucina di elaborazione della libera rappresentazione del gender; l’esplosione negli anni Ottanta, e tuttora perdurante, di gruppi femminili separatisti e non, provenienti dal punk, pervasi dalla volontà di articolare una consapevolezza di identità di genere, maturata all’interno del gruppo ed espressa pubblicamente in maniera aggressiva: il Girl Power. Sul fronte maschile, invece, si distingue il Queer Core o Homocore.
All’interno della New Wave degli anni Ottanta si apre una nicchia che porta al successo molti musicisti apertamente gay, fra cui Jimi Somerville (Bronski Beat), Boy George (Culture Club), Marc Almond (Soft Cell) e Morrissey (The Smiths). Dichiarata provocatoriamente, a tratti allusa o nascosta per ragioni di privacy o di carriera, la sessualità nella musica contemporanea è il fulcro attorno al quale ruotano le tendenze musicali; il corpo, nella sua performatività, diventa testo politico e sociale dove inscrivere le pratiche di cross gender.
Nella musica pop le donne sembrano ancora imbrigliate nella identità sessuale loro assegnata dalla società. Una leader, una frontwoman matura, è un caso decisamente più raro del suo corrispettivo maschile. Per questa ragione il femminismo della third wave sostiene la visibilità femminile interna ed esterna all’industria discografica, promuovendo festival e siti web atti a favorire etichette e singoli progetti a maggioranza femminile (Fatal Recordings, pinknoises.com).
Nella musica elettronica extracolta la differenza di genere finora si configura in controtendenza con quanto delineato. Il fattore tecnologia, da ostacolo e freno per molte musiciste, si rivela sempre più uno strumento strategico di ridefinizione dei ruoli. Non è un caso che la musica techno sia stata vista come una musica postgender, individuando nella pratica del djing e nell’utilizzo di apparecchi software e hardware per suonare, così come nell’autoproduzione di dischi, non più solo strumenti di lotta e affermazione di donne, gay e transgender, bensì luoghi di attraversamento del genere.
Un’eccellente metafora per la nozione di differenza di genere in musica è il drag, cioè vestirsi come una persona del sesso opposto: Drag Queen e Drag King Shows, sebbene non siano eventi esclusivamente musicali perché molto vicini al cabaret, sono spettacoli in cui si adottano elementi provenienti dall’opera, dal fenomeno delle dive e dalle icone del pop.