MUSICA E WEB.
– La nuova faccia dello streaming. Il boom di Spotify e delle altre piattaforme di streaming musicale. Download tra opportunità e pirateria. iTunes e il mondo delle app. Il tramonto delle suonerie. Il caso Shazam. Web radio, podcasting e il fenomeno Pandora. Bibliografia
Lo sviluppo del web 2.0 ha profondamente modificato sia la creazione sia la fruizione della musica. Negli ultimi vent’anni la tecnologia ha fatto passi da gigante, trasformando in modo radicale il concetto stesso di consumo dell’opera d’arte. Termini come streaming, downloading, podcasting sono entrati a far parte del nostro vocabolario e del sistema più diffuso (soprattutto tra i giovani) di ascoltare la musica. Una rivoluzione che non accenna a fermarsi e ha cambiato per sempre il mercato discografico e il concetto stesso di suono nel terzo millennio.
La nuova faccia dello streaming. – In informatica, lo streaming è la trasmissione di file per via telematica che permette al computer ricevente di elaborare progressivamente i dati in ingresso, prima che il file stesso sia stato completamente acquisito. Esistono due tipi di streaming: quello on demand (il più utilizzato) e quello live. Nel 2009 YouTube annunciò la diretta streaming del concerto degli U2 al Rose Bowl Stadium di Pasadena. Furono 188 i Paesi collegati, Italia compresa, e circa 10 milioni di connessioni in contemporanea secondo la rivista «Variety». Lo show della band irlandese segnò di fatto uno spartiacque: il pubblico ebbe la possibilità di seguire lo spettacolo attraverso un flusso continuo di immagini e suoni senza interruzioni che in meno di una settimana raggiunse 6 milioni di visualizzazioni e rimane a tutt’oggi l’evento in diretta streamingcon il maggior numero di utenti connessi, a dimostrazione delle grandi possibilità che ha questo tipo di tecnologia. Lo indicano con chiarezza anche le cifre dell’industria musicale in Italia: nel 2014 il mercato dello streaming audio (cresciuto del 95%) ha superato per la prima volta quello del download (sceso del 18%) e rappresenta oggi il 55% dei ricavi del digitale, rispetto al 34% del 2013. Complessivamente, lo streaming ha generato 12,6 milioni di euro contro i 9,8 milioni del download (http://www.fimi.it/4593). In particolare, la FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) nel report annuale 2014 cita l’indagine realizzata da Gfk Retail and technology secondo la quale in Italia sono 16 milioni gli stream free e 4 milioni quelli premium, cioè a pagamento. Secondo i dati del Digital music report 2014 della IFPI (International Federation of the Phonographic Industry), la diffusione dei servizi in streaming che appena due o tre anni fa appariva come una scommessa, si rivela un salvagente per la ripresa della domanda di musica digitale che vale complessivamente oltre 6 miliardi di dollari. Un successo. Tanto che la FIMI nel mese di settembre del 2014 ha deciso di inserire nelle classifiche ufficiali dei brani più venduti anche quelli ascoltati in streaming, che avranno valore nei conteggi ufficiali e per le certificazioni dei dischi d’oro o di platino. Ai fini statistici, insieme ai dati del download, entrano quindi d’imperio quelli prodotti dalle piattaforme streaming attive in Italia. Si tratta di una scelta legittima, dato che l’ascolto della musica on-line e in mobilità è un canale di accesso che rappresenta il 45% del segmento digitale (http://www.fimi.it/4667).
Questo significa che anche nel nostro Paese si stanno consolidando realtà come Deezer, Google Play, Juke, Napster (in versione streaming), Play.me, Rdio, Spotify, TIMmusic e Xbox Live player che, stando ai numeri pubblicati dalla FIMI, dominano una fetta importante di mercato (5,6 milioni di euro) e hanno fatto crescere il settore del 134%.
Il mercato musicale digitale è, dunque, molto cambiato. La diffusione di massa di smartphone e tablet in connessione wireless è la chiave di volta del consumo di musica da oggi al futuro. Secondo Ole Obermann di Sony music entertainment, «l’avvento dello smartphone come strumento di ascolto della musica ha avuto effetti profondi sul music business. Il fatto che, secondo le proiezioni, oltre il 30% della popolazione mondiale possiederà uno smartphone nel 2016 significa che sul pianeta ci saranno oltre due miliardi di potenziali clienti per i servizi musicali» (http:// www.fimi.it/up/files/sito_fimi/DMR_ITA_2014_DEF.pdf). La ‘battaglia’ tra le piattaforme Android e Apple iOS è seguita con particolare interesse dalla discografia planetaria perché più servizi significano più scelta per i consumatori e più possibilità di diffusione e penetrazione per gli artisti.
Il boom di Spotify e delle altre piattaforme di streaming musicale. – La rinascita dello streaming audio è legata all’invasione dei servizi on demand per ascoltare musica sul computer, sugli smartphone o sui tablet. Il player più usato è Spotify, con 10 milioni di utenti nel mondo nel settembre 2010 (http://www.wired.co.uk/news/archive/2010-09/15/spotify-milestones). Nato nel 2008 in Svezia per opera di Daniel Ek e Martin Lorentzon, arrivato in Italia nel 2013, Spotify inizialmente è stato accessibile ai nuovi utenti attraverso Facebook, mentre ora può essere raggiunto senza passare dal social network ideato da Mark Zuckerberg. Prevede due tipi di utenze: una free e altre due a pagamento, che consentono all’utente di ascoltare musica senza interruzioni pubblicitarie e di avere a disposizione una maggiore velocità di trasmissione dei dati. Spotify vanta un catalogo musicale notevole (circa 20 milioni di brani) supportato da majors come Sony, Warner Music, Universal, Emi, ma anche da numerose etichette indipendenti. Possiede una community, interagisce con i social network (Facebook, Twitter, blog), ha un servizio radio integrato con Last.fm, e consente agli utenti di realizzare i propri canali radio. A un anno dallo sbarco nel nostro Paese (febbraio 2014), l’azienda ha rilasciato questi numeri, a dimostrare l’avvenuta diffusione del prodotto: 65 milioni di ore di musica ascoltate, 15 milioni di playlist create dagli utenti. Nonostante il successo internazionale, non mancano le polemiche da parte di alcuni artisti – per es., Taylor Swift e Thom Yorke dei Radiohead – che hanno ritirato i loro dischi a causa dei bassi introiti delle royalties musicali corrisposti dall’azienda.
Un altro servizio di streaming on demand particolarmente agguerrito e in forte competizione con Spotify è Deezer, applicazione web e quindi raggiungibile da qualunque dispositivo in grado di connettersi a Internet senza dover scaricare un’applicazione. Lanciato nel 2007, vanta un catalogo con 35 milioni di brani disponibili ed è diffuso in 180 Paesi. Come Spotify permette l’interazione con i social e in più consente ai propri utenti di vedere i video su YouTube e di leggere il testo della canzone che si sta ascoltando. Altri players diffusi anche in Italia sono Grooveshark (chiuso il 30 marzo 2015), SoundCloud dove i musicisti e i gruppi possono caricare i loro brani, condividerli con altri artisti e con il pubblico che può commentare ogni traccia rilasciata, oppure StereoMood, servizio creato a Milano, che propone playlist in base allo stato d’animo dell’utente. Ultimo arrivato è Apple Music attivo dal 30 giugno 2015.
Download tra opportunità e pirateria. – Il download, in italiano «scaricamento», indica l’insieme delle operazioni da effettuare per acquisire sul proprio sistema locale (computer, periferica o dispositivo digitale mobile) un programma applicativo, un insieme di dati o, più in generale, informazioni di interesse da un ambiente remoto. La procedura di download è tipica del collegamento alla rete Internet, attraverso la quale possono essere raggiunti siti web che offrono vari tipi di pacchetti software da scaricare. L’operazione inversa del download è l’upload, o caricamento. Entrambe queste operazioni possono essere realizzate, per es., attraverso il peer-to-peer (P2P), per cui i nodi (o clients) della rete ritrasmettono ad altri clients il flusso dati. Il filesharing (condivisione di file) è l’esempio più classico di applicazione del P2P. Da Napster in poi, il libero scambio di contenuti ha pesantemente condizionato la fruizione della musica. La possibilità di reperire sul web milioni e milioni di discografie o le ultime novità in MP3 (Moving Picture expert group-½ layer 3), scaricarle, diffonderle, trasmetter le, masterizzarle e condividerle ha assestato un duro colpo al mercato discografico. Dopo Napster è nata una serie altrettanto agguerrita di protocolli per il file-sharing: Gnutella, BitTorrent, DirectConnenct, e-donkey, solo per citare i più diffusi. Pur se vengono perseguiti legalmente, spesso oscurati e sono al centro di battaglie sul copyright, esiste a tutt’oggi ancora un elevatissimo numero di piattaforme e programmi dove poter scaricare musica gratuitamente o in modo illegale: da eMule a SoulSeek, dai vari Torrent a Morpheus, da Shareaza fino all’erede di Napster, ovvero WinMx, in parte disattivato, ma ancora in funzione. Sulla base dei dati forniti da comScore/Nielsen, l’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) nel report 2014 stima che «il 26 per cento degli utenti Internet nel mondo acceda regolarmente a piattaforme non autorizzate; il calcolo riguarda la sola navigazione attraverso i desktop da scrivania e non include l’emergente, ma ancora non quantificabile, minaccia rappresentata dalla pirateria mobile sugli smartphone e i tablet cui si rivolge un sempre maggior numero di consumatori» (http://www.ifpi.org/downloads/DMR2014-Italian.pdf, p.40).
Ai problemi di carattere giuridico derivanti dal download illegale dei brani musicali si è aggiunto un dibattito serrato tra artisti, istituzioni, industria sulle cause e i possibili rimedi. Si tratta di un fronte articolato di posizioni. Ci sono musicisti di altissimo livello come Peter Gabriel, i Radiohead, Gilberto Gil o Beck Hansen che hanno deciso di rilasciare gratis, o a costi molti contenuti, la propria musica in rete per dimostrare che la flessione delle vendite legali dei dischi non ha alcuna correlazione con la pirateria. Una tesi che trova conforto nell’indagine del 2013 realizzata dal Joint Research Centre, uno degli organi tecnici dell’Unione Europea. Lo studio, che ha preso in considerazione le abitudini di 16.000 fruitori di musica disseminati tra Francia, Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna, ha evidenziato che «la pirateria musicale digitale non rimpiazza gli acquisti di musica legale in formato digitale». E, a conclusione della ricerca, si sostiene che «un 10 per cento di incremento di clic sui siti di download illegale corrisponde a un aumento dello 0,2 per cento di clic sui siti di acquisti legali» (http:// www.scribd.com/doc/131005609/JRC79605). Ferma, durissima la condanna dell’IFPI che contesta i dati pubblicati. Ma la questione resta aperta mentre il mercato dello scaricamento legale dei brani è a tutt’oggi dominato da iTunes.
iTunes e il mondo delle app. – iTunes è un’applicazione (v. app) per organizzare e riprodurre file multimediali acquisita nel 2000 dalla Apple, che permette agli utenti di scaricare legalmente, a pagamento o gratuitamente anche le app presenti nell’iTunes Store, il ‘negozio’ on-line della Apple. Fu Steve Jobs, il CEO (Chief Executive Officer) dell’azienda californiana, a lanciare nel 2008 il primo app store per iPhone, iPod Touch e iPad con 500 app disponibili. A partire da quel momento qualunque servizio simile, anche se sviluppato da società concorrenti a quella di Cupertino, è definito app. Nel gennaio 2014, la Apple ha annunciato di aver guadagnato nell’anno precedente 10 miliardi di dollari, solo nel dicembre del 2013 sono state scaricate quasi tre miliardi di app (https://www.apple. com/it/pr/library/2014/01/07App-Store-Sales-Top-10Billion-in-2013.html). Le app sono di varia natura, ma è sul terreno musicale che si gioca una battaglia pressante che vede la sfida tra l’azienda fondata da Jobs nella Silicon Valley e gli altri colossi mondiali dell’informatica Google Inc e Microsoft. Google Inc. è lo sviluppatore di Android, sistema operativo per dispositivi mobili. Ed è proprio nell’ambito degli smarthphone che si sono moltiplicate le app.
Il tramonto delle suonerie. – Parallelamente allo sviluppo delle applicazioni è calato drasticamente quello delle suonerie che, secondo i dati FIMI, nel 2006 ricopriva l’87% del mercato della musica digitale da telefonia mobile (http://www.fimi.it/1079). Un settore in grande espansione tra il 2004 e il 2006, ma che nel corso di pochi anni ha subito un drastico ridimensionamento fino ad arrivare nel 2009 a meno 36% a livello internazionale (http://www. ifpi.org/content/library/dmr2009.pdf), trend in negativo ribadito anche nel lustro successivo.
Il caso Shazam. – Tra le app più utilizzate nel mondo degli smartphone c’è Shazam, un servizio di identificazione musicale nato alla fine degli anni Novanta in Gran Bretagna, ma letteralmente esploso tra il 2007 e il 2009. Utilizzando il microfono incorporato negli smartphone, Shazam è in grado di individuare il titolo di una canzone e il nome dell’artista che la esegue, analizzando il suono e confrontandone l’impronta digitale con quella di milioni di impronte catalogate. Basta avviare l’app, avvicinare il proprio dispositivo mobile alla fonte sonora (radio, TV, o altro) e quindi attendere che le informazioni richieste appaiano sullo schermo dello smartphone. Il brano individuato viene fornito con una serie di dettagli: titolo, album, artista, genere, link per guardare il video su YouTube, riprodurlo su Spotify o acquistarlo attraverso iTunes o Amazon. Con un database che supera i 35 milioni di canzoni campionate, Shazam è il leader del settore: usato da oltre 420 milioni di persone in 200 Paesi, vanta un business che supera i 300 milioni di dollari di ricavi annui grazie alla musica, come riporta nel 2014 il «Financial Times» (http://www.ft.com/ intl/cms/s/2/88df8fa6-893e-11e3-bb5f-00144feab7de. html#axzz3Mj7PJFWo). Shazam è un’app gratuita o, nelle versioni a pagamento, a basso costo, che funziona anche con Android, Blackberry, Nokia, Windows Phone, Sony Ericsson e, naturalmente, con gli Apple iPhone. Nel 2013 la società Shazam ha ampliato i propri orizzonti con l’arrivo del nuovo CEO Rick Riley (ex Yahoo) che ha deciso di puntare sulla pubblicità interattiva e che si propone come rivelatore di hit musicali grazie ai dati accumulati. Perché è indubbio: le canzoni più richieste su Shazam sono quelle di maggior successo e la app permette anche di conoscere il tipo di utente che ne fruisce (età, sesso, provenienza). Una mole di dati che Warner Group ha considerato talmente interessanti da sottoscrivere un accordo con l’azienda.
Web radio, podcasting e il fenomeno Pandora.– La web radio (v. radio: Dopo l’FM: l’ascolto via web e le webradio), o radio on-line, è un tipo di emittente che utilizza Internet per diffondere il proprio palinsesto digitale. Negli ultimi anni anche le radio tradizionali, via etere, hanno deciso di trasferire molti dei loro programmi in rete per amplificare il proprio messaggio. Per poter procedere alla trasmissione, l’audio viene compresso in un flusso di dati e ricevuto dall’utente nella forma dello streaming, poi decodificato da un lettore multimediale presente sul computer. Esiste una serie di server streaming anche gratuiti per poter aprire una web radio ‘casalinga’. Parallelamente sono a disposizione una serie di formati per la trasmissione e la riproduzione del flusso dati: dallo storico RealAudio fino agli attuali SHOUTcast, Windows, Quicktime. L’associazione Web radio italiane (WRA), nata a Roma nel 2005, offre agli interessati anche una guida esaustiva per mettere in piedi una piccola emittente on-line. La medesima associazione nel 2012 ha realizzato il progetto AudioWebRadio che cerca di raccogliere in chiave statistica il numero degli ascolti e la tipologia di palinsesto attraverso il censimento di un centinaio di emittenti suddivise tra istituzionali, commerciali e amatoriali (http://audiwebradio.wra.it/). Altro punto di riferimento per i radiofonici del web in Italia è SCF Consorzio Fonografici, che gestisce nel nostro Paese la raccolta e la distribuzione dei compensi, dovuti ad artisti e produttori discografici, per l’utilizzo in pubblico di musica registrata, come stabilito dalle direttive dell’Unione Europea e dalla legge sul diritto d’autore. Anche una web radio, infatti, deve possedere una licenza e versare un contributo alla SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) che cambia in base alla tipologia dell’emittente (http://www. siae.it/documents/Multimedialita_Modello_AWR .pdf?166240). Considerata la difficoltà della produzione di un palinsesto in diretta, molte web radio hanno optato per il podcasting. Il podcast è un file audio digitale distribuito attraverso Internet e fruibile attraverso un ampio spettro di terminali: PC, palmare, cellulare, lettori MP3, iPod e simili. A differenza dello streaming, non necessita di un collegamento alla rete durante la fase d’ascolto ma solo in fase di download. Oltre che contenuti audio, attraverso un podcast possono essere diffusi altri tipi di materiali multimediali, come foto o video. Funziona più o meno come un abbonamento a un periodico: l’utente riceve con regolarità le pubblicazioni e può fruirne nei tempi e nei modi che più ritiene congeniali. La notifica di nuove edizioni disponibili avviene tramite un feed RSS (Really Simple Syndication o Rich Site Summary) scambiato tra il sito del produttore e il programma dell’utente.
Il boom del podcasting è avvenuto nel 2005, quando venne addirittura definito «parola dell’anno» dal New Oxford American dictionary (http://www.macworld.com/article/1048271/podcastword.html). Dopo il consolidamento da parte soprattutto di Apple che lo ha portato al successo quasi come una piattaforma dentro iTunes (la parola stessa podcast contiene un omaggio all’iPod, il dispositivo nel quale ha avuto il maggior sviluppo), il sistema vive un’era di rinnovato interesse e impreviste fortune dopo un periodo in ombra; dallo sceneggiato-thriller Serial, che ha debuttato nel 2014 e viene scaricato ogni settimana da un milione di internauti, alle nuove forme di editoria e giornalismo. Tanto che anche il «New York Times» (http://www.nytimes.com/ 2014/11/24/business/media/serial-podcastings-firstbreakout-hit-sets-stage-for-more.html?_r=1) ha dedicato al rinascimento del podcast un ampio servizio, e i dati di Edison Research ne indicano la ripresa tra il 2013 e il 2014 (http://www.edisonresearch.com/the-infinite-dial-2014). E non a caso sembra che Spotify si appresti a investire proprio in questo settore di mercato (http://www.theverge. com/2012/8/3/3218525/google-discontinues-listen- appsfor-teams-video-for-business) che Google ha invece abbandonato nel 2012.
Ma l’ultima frontiera delle web radio è senza dubbio Pandora (www.pandora.com). L’emittente è stata realizzata su un concetto base tanto innovativo quanto particolare: il Music genome project, ovvero il Progetto Genoma della musica, un’idea di Tim Westergren, compositore e produttore discografico statunitense che nel 1999, supportato da un gruppo di studio, ha focalizzato una serie di ricerche su un algoritmo capace di catturare ‘l’essenza della musica’, reso pubblico nel 2011. Quando un utente si collega a Pandora e crea il proprio canale radio selezionando una canzone o un artista, il sistema gli propone altri brani che potrebbero essere in sintonia con i suoi gusti. Il sistema fa riferimento a circa 400 parametri per individuare le preferenze dell’ascoltatore e suggerirgli nuovi percorsi sonori. Le composizioni non seguono alcuna logica commerciale e anche per questo Pandora è così apprezzata dal pubblico. L’emittente però può essere ascoltata solo negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda poiché fa riferimento al quadro dei diritti d’autore stabilito dalla RIAA (Recording Industry Association of America) il cui costo per royalty è stato triplicato per le web radio a partire dal 2007. Nonostante le proteste di Westergren e degli ascoltatori il black out permane.
Bibliografia: S. Levy, The perfect thing. How the iPod shuffles commerce, culture, and coolness, New York-London 2006 (trad. it. Semplicemente perfetto, Milano 2007); M. De Luigi, La sfida digitale. Nuovi percorsi nella distribuzione della musica, Civitella in Val di Chiana 2008; D. Byrne, How music works, San Francisco 2012 (trad. it. Milano 2013); L. Dormehl, The Apple revolution. Steve Jobs, the counterculture and how the crazy ones took over the world, London 2013; J. Rogers, The death & life of the music industry in the digital age, London 2013; G. Bonanomi, R. Zonin, Musica liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming, 2014; L. Cerchiari, Il disco. Musica, tecnologia e mercato dal positivismo al web, Bologna 2014.