Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
“Musica ubiqua” è l’espressione utilizzata per indicare il risultato estetico e culturale della costante moltiplicazione dei punti di diffusione e di ascolto della musica. La musica ubiqua è accessibile, trasportabile, continua, trasversale ai generi, appropriata all’integrazione con l’ambiente e all’ascolto decentrato. La logica di queste caratteristiche è correlata alle dimensioni tecnologica, sociologica ed esperenziale del fenomeno in questione.
L’ubiquitizzazione della musica è il processo con cui si intende la presenza di eventi musicali – perlopiù registrati – all’interno di un numero sempre maggiore di spazi. Questo fenomeno implica anzitutto un presupposto tecnico: l’oggettivazione dell’evento musicale tramite registrazione su supporti fisici trasportabili (1877), integrata presto dalla possibilità di radiotrasmissione del suono (1906). A partire da questi avvenimenti, l’ubiquitizzazione della musica è stata sostenuta dalle numerose innovazioni che hanno contribuito ad accrescerne la trasportabilità e l’accessibilità (transistor, autoradio, stereo portatili, walkman, compressione in formati digitali, internet, UMTS). Ciò comporta anche una maggiore “usabilità” della musica, la possibilità di ricondurla ai contesti più disparati, svincolandone l’ascolto da tempi e spazi prestabiliti, consentendone l’appropriazione e l’integrazione nei percorsi lungo cui si snoda il vissuto delle persone, alimentando la mondanizzazione e la quotidianizzazione delle esperienze musicali. Attualmente, l’ultima tappa di questo percorso, che tende al mito della musica “sempre e ovunque”, è costituito dalle implementazioni dei telefoni cellulari di ultima generazione: juke-box portatili in cui i vantaggi di accessibilità e trasmissibilità, in ogni momento e da qualsiasi luogo, vengono promossi puntando sulla soddisfazione immediata di impulsi emotivi e comunicativi.
La musica ubiqua è anzitutto musica ovunque, musica che pervade spazi pubblici e privati. Tuttavia, in genere, è soprattutto ai primi che ci si riferisce, in particolare al proliferare di musica in contesti non specificamente adibiti all’ascolto (ad esempio negozi, centri commerciali, ristoranti, uffici, sale d’aspetto, palestre, spiagge, mezzi di trasporto). Per definire la musica ascoltabile in questo genere di luoghi, sottolineandone il carattere invasivo, molta letteratura impiega il termine “musica non scelta”. Tuttavia l’espressione risulta in parte fuorviante, in quanto è evidente che, sebbene non venga scelta da chi fruisce i luoghi in questione, la sua presenza è comunque frutto di decisioni, prese da chi ha il potere di gestire i contenuti di spazi fisici e mediatici (il discorso riguarda infatti anche la musica usata in pubblicità, televisione, videogiochi). Estendendo ulteriormente il ragionamento, “musica non scelta” è anche la musica “scelta” da un vicino di casa, o di ombrellone, che utilizza uno stereo portatile senza cuffie, oppure le musiche scelte da altri come suonerie di telefoni cellulari. In tutti questi esempi la musica non soltanto articola degli spazi ma media, più o meno implicitamente e intenzionalmente, le relazioni sociali che vi hanno luogo: sia fra istituzioni e individui sia fra individui e individui. Oltre all’aspetto tecnologico, dunque, il fenomeno di ubiquitizzazione della musica pone una serie di questioni sociologiche, concernenti la gestione e normativizzazione degli spazi condivisi, gli usi e gli interessi che alimentano l’appropriazione delle potenzialità tecnologiche di circolazione e diffusione della musica, le relazioni coinvolte in tali dinamiche e la diversa collocazione in esse delle persone (strategica o tattica).
Buona parte degli studi che utilizzano l’espressione “musica ubiqua” fanno riferimento soprattutto ai repertori esplicitamente concepiti in funzione di particolari spazi e delle attività che vi hanno luogo, come nel caso emblematico della Muzak. In quest’ottica, la musica ubiqua si configura come una sorta di genere con sue caratteristiche e convenzioni: costruita per entrare in un flusso anonimo e non intrusivo, integrandosi all’ambiente in cui viene diffusa come sottofondo, non riconoscibile nei termini di opere e autori. Questa musica ubiqua va allora distinta dal processo di ubiquitizzazione della musica, che contribuisce a produrre un fenomeno diverso: l’utilizzo, come musica di sottofondo, di brani famosi di autori conosciuti, compresi i repertori maggiormente investiti dall’aura dei concetti di opera e autorialità (fatto che coincide con il processo di mondanizzazione a cui si accennava inizialmente). Tuttavia questi due tipi di evento musicale hanno in comune la modalità di esperienza della musica: un ascolto generalmente distratto e non focalizzato, per il quale si tende a usare l’espressione “sentire la musica” in contrasto con “ascoltare la musica”. Secondo studiosi come Anahid Kassabian (Sound Tracks, Meltemi, 2001), proprio la presenza ovunque della musica abitua all’ascolto decentrato, in quanto sarebbe difficile, se non paralizzante, mantenere una postura sempre concentrata nei confronti di musiche che pervadono ogni interstizio della vita di tutti i giorni.
Spesso all’ascolto non focalizzato fanno da complemento la minor definizione e ricchezza degli eventi sonori a cui è richiesto di transitare attraverso dispositivi e infrastrutture che ne assicurano l’ubiquità (si pensi, ad esempio, agli attuali formati di compressione per la rete telematica o a diverse fasi della fonografia e della radiofonia). In altri termini, un alto grado di usabilità può giustificare un basso livello di qualità. Si sono così evidenziate tre dimensioni correlate del fenomeno di ubiquitizzazione della musica: la tecnologia sviluppa diverse possibilità di ricondurre la musica – prodotta altrove e da altri – nei molteplici spazi di esperienza e di esistenza degli uomini; questa possibilità è appropriata da scelte, desideri, interessi, all’interno di interazioni sociali e rapporti asimmetrici, con conseguenze sia sulla produzione sia sulla fruizione.
La musica ubiqua manifesta una tendenza a non considerare la musica come attività specifica, cui dedicare spazi, tempi, e competenze specifiche, bensì come sfondo continuo dell’esistenza quotidiana, una costante della routine di ogni giorno e degli ambienti abitati, sostrato di un paesaggio sonoro continuo che costituisce il sottofondo e la risorsa per relazioni sociali e atti comunicativi.