MUSICAL
Genere di spettacolo teatrale, misto di prosa, musica, canzoni e balletti, nato negli ultimi decenni del secolo 19° in Gran Bretagna e, quasi contemporaneamente, negli Stati Uniti d'America, dove, per gli sviluppi strutturali e il sempre crescente successo di pubblico, ha guadagnato importanza primaria nell'ambito dell'intrattenimento teatrale ed enorme popolarità come genere cinematografico.
Teatro. − La definizione di musical comedy appare per la prima volta apposta ai copioni di Evangeline (New York, 1874; dall'omonimo romanzo in versi di H.W. Longfellow) e di My sweetheart (Londra, 1883): in realtà, però, il primo era un vero e proprio burlesque, il secondo poco più di un fastello di sketches. Dato il numero e la contiguità dei molti elementi che convergono a formare la musical comedy, è praticamente impossibile definirne con sicurezza i confini che la distinguono da altri spettacoli misti più antichi (burlesque, masque, musical farces, ecc.) e connotarne l'effettiva dipendenza da altri generi ormai da tempo affermati e indubbiamente attivi nella sua struttura, quali l'operetta europea, lo spettacolo di varietà e la rivista.
L'elemento più caratterizzante di questo genere di spettacolo è senza dubbio una consistente solidità dell'intreccio, il che non comporta di necessità un assoluto rigore narrativo e un impegno ideologico ben definito (componenti, queste ultime, che diverranno proprie di quasi tutti i m. più recenti). Di pari importanza è poi l'elemento musicale, di solito costituito da motivi orecchiabili (dunque facilmente eseguibili anche da attori di prosa) ma non per questo banali, specie quando a comporli sono musicisti di notevole livello come G. Gershwin, I. Berlin, J. Kern, R. Rodgers o C. Porter. Lo sfarzo della scenografia e dei costumi, la gamma e la qualità quasi sempre eccellenti delle coreografie − e sono tratti mutuati dalla rivista e dal varietà −, infine l'ambientazione quasi sempre rapportabile, spesso per analogie satireggianti, a fatti e personaggi dell'attualità, compongono la fisionomia-tipo della musical comedy.
L'esigenza di collegare e sostenere con un solido intreccio i vari numeri di canto e danza induce spesso gli autori dei libretti di m. a recuperare trame di opere teatrali già collaudate − commedie, operette, opere liriche − o anche ad attingerle da romanzi più o meno celebri: il che comporta ovviamente una serie di modifiche anche basilari (spostamenti di epoca o di luogo, aggiunta o soppressione di personaggi, ecc.) ritenute funzionali al buon esito artistico e commerciale dello spettacolo. E non sarà ozioso sottolineare il fatto che quasi mai, per quanto radicali, le modifiche indulgono a intenti parodistici: ne sono prova gli esempi di Carmen Jones, versione in chiave moderna del melodramma di G. Bizet; di My fair Lady, tratto da Pygmalion di G.B. Shaw; di West Side story, ispirato a Romeo e Giulietta di Shakespeare; del più recente Les misérables, dal romanzo di V. Hugo.
Il m. resterà comunque a lungo ancorato ai moduli stilistici, al sentimentalismo banale, alla leziosità e soprattutto al tipo di comicità piuttosto volgare in auge negli spettacoli di varietà e nei cabaret, talvolta anche nei testi delle operette europee: battute scontate e pesanti doppi sensi erano quanto il pubblico si attendeva e quasi sempre esigeva dal palcoscenico ''leggero''. Ma a partire dalla fine degli anni Venti una nuova generazione di librettisti e di parolieri rinnova radicalmente il m., che intanto, per la parte musicale, aveva felicemente svecchiato e arricchito la ritmica tradizionale con le cadenze sincopate del jazz. Trame e personaggi aderiscono ora a fatti, ambienti e costumi legati all'attualità, e grande spazio vien dato alla satira politica e sociale.
Show boat (1927) è il primo m. di grande successo (e conoscerà ben tre versioni cinematografiche): solido nell'impianto narrativo − che il librettista O. Hammerstein ii (1895-1960) derivò con una certa eleganza dall'omonimo romanzo di E. Ferber − e ispiratamente musicato da J. Kern (1885-1945), lo spettacolo rappresenta una svolta nella storia della commedia musicale per il rigore e la professionalità degli autori, per l'elegante dovizia della scenografia e soprattutto per la pressoché inedita attenzione rivolta a personaggi, luoghi e situazioni sociali tipicamente statunitensi. Tuttavia in questi anni la tradizione operettistica europea è ancora piuttosto forte, e il successo premia ancora intrecci di vecchio stampo; per quel che concerne la musica, il costante riferimento è ai maestri europei del genere, in particolare F. Léhar ed E. Kálmán; anche se è doveroso sottolineare che almeno per due musicisti non si tratta di stanchi imitatori, ma di valenti compositori immigrati a New York agli inizi del nuovo secolo: l'ungherese S. Romberg (1887-1951), cui si debbono le melodie di molti m. di grande successo, tra cui Maytime (1917), Blossom time (1921: i temi musicali sono di F. Schubert), The student prince (1924), The desert song (1926) e The new moon (1928); e il cecoslovacco R. Friml (1879-1972), allievo di A. Dvorák, di cui andranno ricordati almeno Katinka (1915), Rose Marie (1924: vi si canta il celebre ''Canto d'amore indiano''), The vagabond king (1925). I m. di Romberg e Friml sono stati più volte portati sullo schermo.
Tra il 1925 e il 1935 il m. compie un netto salto innovativo, soprattutto in ambito musicale, grazie a compositori come Kern, che oltre al citato Show boat musicò Music in the air (1932), Roberta (1933, due anni dopo portato con grande successo sullo schermo, interpreti I. Dunne, G. Rogers e F. Astaire) e Very warm for may (1939), e compone canzoni di grande suggestione, tra cui Ol'Man River, All the things you are, Yesterdays, Smoke gets in your eyes; o come G. Gershwin (1898-1937), che alla giusta fama delle sue straordinarie composizioni sinfoniche e operistiche può aggiungere alcuni m. (Lady be good, 1924; Funny face, 1927; Strike up the band, 1930; Of thee I sing, 1931), nei quali sono incluse le più belle melodie della musica leggera americana.
A dare il decisivo colpo di spugna ai vecchi clichés operettistici furono alcuni musicisti e parolieri più giovani, o comunque nettamente più aperti alle suggestioni di un new deal esistenziale e creativo, nato sulla scia dei nuovi impulsi sorti nell'economia e nella politica statunitense come reazione alla grande depressione del 1929. R. Rodgers (1902-1979) e L. Hart (1896-1943) furono i più autorevoli, prolifici e fortunati rappresentanti di questo m. rinnovato: i testi sottilmente ironici e sofisticati di Hart trovavano perfetta consonanza nella fresca vena melodica di Rogers, e i risultati furono canzoni ancora oggi popolarissime (With a song in my heart, My funny Valentine, Lady is a tramp, Bewitched, ecc.); la loro strettissima collaborazione, durata un venticinquennio, diede alla commedia musicale alcuni capolavori, come The boys from Syracuse (1938), I married an angel (1938) e soprattutto Pal Joey (1940), che ebbe come protagonisti G. Kelly sulla scena, F. Sinatra nella versione cinematografica (1957). Alla morte di Hart, Rodgers si associò con O. Hammerstein ii, l'eccellente librettista di Show boat, e con lui trasformò definitivamente il m. in uno spettacolo popolare e piacevole, in cui però hanno grande rilevanza l'attualità, i problemi sociali e le espressioni della tradizione popolare autoctona, come infatti avviene in Oklahoma! (1943), Carmen Jones (1943), Carousel (1945, riduzione da Liliom di Ferenc Mólnar), South Pacific (1949), The King and I (1951), The sound of music (1960). Meno impegnato, ma elegantemente sofisticato nelle melodie e nei testi, C. Porter (1893-1964) non sempre riscosse il favore della critica, anche se gli sono stati riconosciuti garbo, spirito ed estrosità di notevole livello per almeno tre commedie musicali − Anything goes (1934), Can Can (1943), Kiss me Kate (1948) − e per moltissime canzoni (Night and day, I love Paris, C'est magnifique, Begin the beguine, Easy to love, ecc.).
Il ventennio Cinquanta-Sessanta può definirsi senz'altro il periodo d'oro del m.: grande popolarità, successo di critica e di botteghino, raffinati quanto spettacolari allestimenti, soggetti insoliti e spesso provocatoriamente impegnati sul piano dell'attualità, linguaggio musicale decisamente più aggiornato, ne fanno il genere più seguito del teatro leggero; e non è raro il caso di spettacoli che conoscono anni di repliche, mentre naturalmente l'immancabile trasposizione cinematografica ne moltiplica il pubblico e il successo.
Fra le produzioni più pregevoli si dovranno citare almeno Brigadoon (1947) e My fair Lady (1956), nati dalla collaborazione del librettista A.J. Lerner (n. 1918) e del musicista F. Loewe (n. 1904); West Side story (1957), forse il m. più artisticamente completo, soprattutto per le musiche di L. Bernstein (1918-1990) e le coreografie di J. Robbins (n. 1918); Hello, Dolly! (1964), tratta da una commedia di Th. Wilder; The fiddler on the roof (1964), da racconti di vita ebraica di S. Aleichem; Cabaret (1966), ambientato nella Berlino degli inizi del nazismo; e Hair (1967), in cui l'obiezione di coscienza di un gruppo di hippies diviene messaggio contro la guerra nel Vietnam.
Sull'onda dei grandi successi statunitensi, conosciuti anche dal grande pubblico attraverso le fastose versioni cinematografiche, il m. ha suscitato interesse e si è diffuso, soprattutto nel dopoguerra, anche in Italia, dove allo spettacolo di varietà che aveva dominato il teatro leggero fin dagli inizi del 20° secolo si andava sostituendo la rivista, genere affine, che differiva sostanzialmente dal varietà per un maggior lusso negli allestimenti, di rado per una maggior consistenza del pretesto narrativo escogitato a connessione delle diverse componenti. Nei suoi esiti più riusciti, comunque, la commedia musicale italiana dimostra subito un suo carattere originale, che la affranca decisamente dall'accusa di ripetere stilemi e moduli del m. d'oltreoceano: meno fastosa nelle scenografie, è più graffiante nei testi, esprime buoni sentimenti e moralités con bonaria ironia e non indulge mai al rilievo gratuito della battuta di cattivo gusto.
Quasi tutti i più grandi successi sono stati scritti e prodotti da due giornalisti appassionati di spettacolo leggero: P. Garinei (n. 1919) e S. Giovannini (1915-1977). Dopo aver allestito un gran numero di riviste, passarono alla commedia musicale con Attanasio cavallo vanesio (1952), cui fecero seguire una fortunata serie di m. piacevoli ed eleganti, tra cui spiccano Buonanotte Bettina (1956), Un trapezio per Lisistrata (1958), tutte musicate da Gorni Kramer (n. 1913). Rinaldo in campo (1961), protagonista D. Modugno, che ne scrisse le canzoni, Rugantino (1962), con le musiche di A. Trovaioli, e Alleluja, brava gente (1971), canzoni di R. Rascel e D. Modugno, sono ricordati tra gli spettacoli più felici e compiuti del m. italiano, sensibilmente al di sopra di molti m. statunitensi per più di un elemento (narrativo, scenico, musicale).
Nel corso degli anni Settanta il richiamo del m. si attenua progressivamente, soprattutto negli Stati Uniti: oltre, evidentemente, a un mancato ricambio di autori e a una ripetitività generata soprattutto dalla carenza di spunti originali, le esigenze di un pubblico ormai avvezzo allo sfarzo delle messinscene e alle qualità artistiche dello spettacolo determinano una notevole lievitazione dei costi degli allestimenti, tanto che spesso neppure opere di buon successo riescono a far rientrare le spese sostenute. Gli spettacoli di spicco sono pochi, e Brodway perde il primato nella commedia musicale; lo guadagna Londra, grazie a un autore dotato di buon intuito musicale e teatrale, A.L. Webber (n. 1948), che nel 1978 riscuote un memorabile successo con Jesus Christ Superstar e produce negli anni seguenti, in coppia con il librettista T. Rice, altri m. di buona fattura e soprattutto insoliti: Evita (1978), sulle burrascose vicende della first lady argentina moglie del dittatore J. Perón; Cats (1981), dove sono rielaborati versi di T.S. Eliot dedicati ai felini; The phantom of Opera (1986), tratto dal celebre romanzo di G. Leroux.
Due produzioni altamente spettacolari − nelle quali non vengono tuttavia sacrificati né carica drammatica e impegno né complessità di partitura musicale − caratterizzano gli anni successivi: sono Les misérables (Parigi 1980 e 1991; Londra 1985; New York 1987) e Miss Saigon (1989), librettista A. Boublil (n. 1947) e compositore C.-M. Schönberg, ambedue francesi. Acquistando in grandiosità e in effetti speciali di tipo cinematografico, il m. sembra aver perduto tuttavia, anche in queste apprezzabili produzioni, le sue caratteristiche peculiari.
Cinema. - Spumeggianti nello svolgimento, intrisi di ottimismo, sospesi in un clima di dichiarata irrealtà, i m. in versione cinematografica, detti anche ''film musicali'', vogliono essere, dagli anni Trenta ai Sessanta, favole moderne, fughe dal mondo degli affanni, anche quando per es. contengono riferimenti epidermici alla crisi economica del 1932 e alla disoccupazione. Le storie raccontate, cosparse di contrattempi, equivoci, contrasti e contrarietà, scivolano sul velluto; sono repliche dell'eterna schermaglia tra i sessi, o celebrano la scalata al successo di una coppia di attori e di uno spettacolo: 42nd street (Quarantaduesima strada, 1933) di L. Bacon e Gold diggers of 1933 (La danza delle luci, 1933) di M. Le Roy sono esemplari di una maturità rapidamente raggiunta dal film musicale. Passo di commedia e passo di danza: in questo connubio, sapientemente governato, è il nocciolo del musical.
In tre film diretti da M. Sandrich − The gay divorcee (Cerco il mio amore, 1934), Top hat (Cappello a cilindro, 1935) e Swing time (Follie d'inverno, 1936) − F. Astaire e G. Rogers hanno esemplificato una tendenza e una tappa nell'evoluzione del m.; e si deve a B. Berkeley, coreografo, ideatore e realizzatore di sequenze musicali, poi divenuto regista, il riuscito tentativo di tradurre in immagini e in ritmi cinematografici il ballo, utilizzando una notevole varietà di angolazioni di ripresa e pertanto svincolandosi al massimo grado dai modelli linguistici teatrali. D'obbligo la piacevolezza delle musiche, la sfarzosità della messinscena, lo sfavillìo dei costumi, le belle ragazze e le gambe perfette, il m. con V. Minnelli, autore di Cabin in the sky (Due cuori in cielo, 1943), Ziegfeld follies (1946), The pirate (Il pirata, 1947), An American in Paris (Un americano a Parigi, 1950), The band wagon (Spettacolo di varietà, 1953), Brigadoon (1954), ha accentuato le incursioni nel regno del sogno e della fiaba mentre, per altri versi, S. Donen e G. Kelly in On the town (Un giorno a New York, 1949) hanno operato una rivoluzione, mescolando sequenze ballettistiche, riprese dal vero e scene ricostruite in ''studio''. È una strada che condurrà agli innesti clamorosi e addirittura alle tensioni drammatiche di West side story, tradotto in film da R. Wise nel 1961.
Il m. cinematografico toccherà, con Singin' in the rain (Cantando sotto la pioggia, 1952) e il già ricordato The band wagon di Minnelli, le punte più alte di rendimento artistico, cui è seguito nei decenni successivi un progressivo declino ascrivibile alla disaffezione del pubblico, ai costi troppo elevati e ai mutamenti introdotti nello show business dall'avvento della televisione. Le produzioni hollywoodiane, orientate a mutuare da Broadway esclusivamente le commedie musicali in grado di registrare i record degli incassi, non hanno abdicato alla politica dei sontuosi allestimenti (Oklahoma! di F. Zinnemann, 1955; My fair lady di G. Cukor, 1964; The sound of music, Tutti insieme appassionatamente, di R. Wise, 1965, ecc.), ma hanno rinunciato a quella originalità ancora presente nei deliziosi intrattenimenti diretti da S. Donen, Seven brides for seven brothers (Sette spose per sette fratelli, 1954) e Funny face (Cenerentola a Parigi, 1957).
Nell'ultimo ventennio è avvenuto un cambiamento radicale: per merito di Bob Fosse (1927-1987), ex ballerino ed ex coreografo, oltre a riappropriarsi delle migliori qualità visive, il m. è entrato in dimestichezza con la malinconia, i malesseri esistenziali, le ulcerazioni della storia (Cabaret, 1972) e finanche con il problema della morte (All that jazz, Lo spettacolo comincia, 1980). L'ingresso del rock e della musica da discoteca nelle tradizionali architetture narrative ha favorito l'introduzione di tematiche giovanili (Saturday night fever, La febbre del sabato sera, di J. Badham, 1977; Hair di M. Forman, 1979; Fame, Saranno famosi, di A. Parker, 1980) e ha consentito a B. De Palma di sbizzarrirsi in una frastornante e barocca versione de Il fantasma dell'opera: The phantom of the Paradise (Il fantasma del palcoscenico, 1974). Le imitazioni europee del m., moltiplicatesi, lasciano a desiderare. Rari i frutti ragguardevoli: i film di J. Demy in Francia (Les parapluies de Cherbourg, 1963; Les demoiselles de Rochefort, Josephine, la ragazza dei miei sogni, 1966); in Italia Carosello napoletano di F. Giannini (1953) (rimasterizzato elettronicamente e presentato con grande successo al festival di Cannes 1992) e Scugnizzi di N. Loy (1990). Vedi tav. f.t.
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