Musicarello
Sottogenere cinematografico, nato e sviluppatosi in Italia tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta e caratterizzato dalla presenza di giovani cantanti, già famosi presso i loro coetanei, che si esibiscono interpretando le loro canzoni di maggior successo, inserite all'interno di trame in cui vengono affrontati, in maniera piuttosto convenzionale, contrasti di tipo generazionale. Il nome risulta ricalcato su quello di 'Carosello', la rubrica di pubblicità televisiva che veniva trasmessa dall'emittente nazionale e i cui episodi vedevano spesso protagonisti gli interpreti più famosi di questo genere cinematografico.
Sul finire degli anni Cinquanta si verificò una vera e propria rivoluzione nei gusti musicali del pubblico italiano. Fino a quel momento, infatti, la grande passione popolare per la musica riguardava ogni fascia di età: l'opera lirica, così come la musica leggera, aveva ascoltatori e appassionati divisi dai gusti, ma non dall'appartenenza generazionale. Quando negli anni Cinquanta si diffuse negli Stati Uniti il rock and roll, diretto esplicitamente al pubblico dei giovani e dei giovanissimi e da essi vissuto anche come rivolta nei confronti dei genitori, questo equilibrio si incrinò per sempre; anche in Italia, per quanto tutto ciò avvenisse in termini più sfumati, la musica di largo consumo diventò sempre meno universale e sempre più indirizzata verso precisi segmenti di mercato. Questo fenomeno non mancò di toccare il cinema, e quindi anche il cinema italiano, da sempre molto legato all'elemento musicale. Ma la svolta avvenne negli Stati Uniti, con 'piccoli' film che ebbero però grande successo, soprattutto nel circuito delle sale popolari e dei drive-in, frequentati in stragrande maggioranza da un pubblico molto giovane. Nel 1956 uscirono Rock around the clock (Senza tregua il rockn' roll) di Fred F. Sears, interpretato dal nuovo idolo dei Comets Bill Haley, e Love me tender (Fratelli rivali) di Robert D. Webb, che vide l'esordio come attore di Elvis Presley, il più famoso tra i divi del rock. Film a basso costo, senza pretese, con un pubblico assicurato in partenza: una formula, questa, che non poteva non suscitare l'attenzione dei produttori e dei registi italiani. La 'nuova stagione' dei film musicali italiani iniziò di fatto nel 1960, quando Lucio Fulci propose Adriano Celentano tra i protagonisti del suo Urlatori alla sbarra. Il film fotografa molte novità della società e del costume di quegli anni: prima tra tutte, una generazione che ostenta gusti culturali differenti rispetto alle precedenti e, soprattutto, che ha le possibilità economiche per poterli soddisfare. A cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta i cantanti più apprezzati dai giovani venivano definiti urlatori, epiteto che evidenzia da solo l'impatto che il loro stile ebbe nel Paese della melodia e del bel canto. La personalità più forte era proprio quella di Celentano, che, giovanissimo, già interpretava sé stesso in un film come La dolce vita (1960) di Federico Fellini. L'anno precedente, sempre sotto la direzione di Fulci, era stato il protagonista di I ragazzi del juke box e nel 1961 Piero Vivarelli gli affidò il ruolo principale in Io bacio… tu baci. Fulci e Vivarelli svolsero un ruolo significativo anche come parolieri di molte tra le più famose canzoni di Celentano (24.000 baci, Il tuo bacio è come un rock), oltre che come registi di questi primi film in cui, nono-stante il generale clima di commedia, i giovani sono rappresentati come 'ribelli senza causa', insofferenti della tradizione e pronti a mettere in gioco tutto per condurre una vita diversa. Ma la decisa spinta alla rottura generazionale che caratterizzò questi primi m. è evidente anche nel film diretto da Domenico Paolella I teddy-boys della canzone (1960), interpretato, tra gli altri, da Mina, Domenico Modugno, Little Tony e Delia Scala, dove si arriva a immaginare un gruppo di 'urlatori' che dà vita, insieme ai fans, a una televisione pirata, in netta contrapposizione con l'austera emittente nazionale, finché la RAI decide di venire a patti con i giovani ribelli e trasforma la loro televisione clandestina, dopo averla acquistata, nel secondo canale ‒ che sarebbe nato realmente qualche anno dopo.
Dopo il 1962, il grande successo internazionale dei Beatles e poi dei Rolling Stones modificò ulteriormente il quadro. Le vendite raggiunte da questi gruppi, di gran lunga superiori alle vette toccate in precedenza da qualsiasi altro esecutore, fecero esplodere in Italia la musica beat, termine derivato dalla letteratura, ma che diventò quasi subito sinonimo di anticonformismo giovanile. Sulla scena musicale, e quindi anche cinematografica, si affacciò così una nuova generazione di cantanti, cantautori e gruppi musicali che incontrarono rapidamente grande popolarità: tra i primi vanno ricordati Gianni Morandi, Caterina Caselli, Patty Pravo; tra i secondi Fabrizio De André, Francesco Guccini e Lucio Battisti; infine, tra i gruppi, l'Equipe 84, i Nomadi, i New Trolls. Fu proprio la popolarità di questi nuovi interpreti a spingere i produttori cinematografici a occuparsi di loro. Il più tempestivo fu Goffredo Lombardo, il titolare della longeva Titanus, che lanciò prima Gianni Morandi con In ginocchio da te (1964), e poi Caterina Caselli con Nessuno mi può giudicare (1966), due film diretti da Ettore Maria Fizzarotti. Il regista designato a guidare i due esordienti aveva una lunga esperienza alle spalle: il padre era stato infatti un produttore molto attivo negli anni Quaranta e Cinquanta come organizzatore di film tratti da sceneggiate napoletane, cui il figlio aveva più volte partecipato con diverse mansioni. Il mestiere acquisito in precedenza si rivelò fondamentale per la costruzione della formula che avrebbe portato questi film a un enorme successo commerciale. Veniva anzitutto rispettato formalmente il carattere ribellistico con il quale i giovani vivevano queste canzoni: le storie dovevano raccontare sempre la fede incrollabile in un mondo migliore e più sincero da parte dei giovani, anticonformisti e scanzonati, osteggiati in questo desiderio dagli adulti. Per evitare, però, che questo accenno di contestazione risultasse troppo esplicito, per sostenere le sceneggiature esili e per raggiungere un pubblico sempre più vasto, a interpretare gli adulti venivano chiamati caratteristi popolari noti anche al pubblico televisivo, nel ruolo di persone autoritarie ma disponibili al compromesso per il bene comune. Il caso più evidente fu quello rappresentato dalla serie In ginocchio da te, Non son degno di te (1965) e Se non avessi più te (1965) che Fizzarotti diresse con Gianni Morandi protagonista nel ruolo di un cantante orfano, Gianni Traimonti, accudito da due zii burberi ma dal cuore d'oro, interpretati da Gino Bramieri e Raffaele Pisu, attori comici famosissimi per il fortunato varietà televisivo L'amico del giaguaro; nella trilogia Laura Efrikian (che sarebbe diventata moglie di Morandi nella vita) interpreta la fidanzata, ostacolata nella sua storia d'amore da genitori severi, che hanno il volto di Nino Taranto e di Dolores Palumbo, anch'essi provenienti dal varietà e spesso presenti nei programmi e negli sceneggiati televisivi.
Verso la metà degli anni Sessanta i m. erano quindi un curioso intreccio tra amori da fotoromanzo, comicità popolare, musica di successo e accenni timidi a tensioni generazionali. Sembrerebbe un passo indietro rispetto alla ribellione dei rock movie americani e agli stessi film italiani sugli 'urlatori' prodotti qualche anno prima. Ma la rivolta covava sotto la cenere. E il primo sintomo delle potenzialità ribellistiche di queste canzoni apparentemente innocue, come confermato dalla stessa serialità dei m., fu fornito dall'interesse di Marco Bellocchio, il regista che meglio di ogni altro colse il malessere diffuso in una società apparentemente opulenta e appagata, il disagio che avrebbe successivamente dato vita alla contestazione del 1968 e degli anni successivi. Dovendo dirigere il suo primo lungometraggio, I pugni in tasca (1965), che racconta le tensioni e gli odi che possono sorgere nel mondo claustrofobico di una famiglia borghese, Bellocchio propose insistentemente il ruolo del protagonista (che sarebbe stato interpretato da Lou Castel) proprio a Gianni Morandi. Questi rifiutò, perché i suoi agenti ritennero la parte non opportuna, vista l'immagine di giovane dalla faccia pulita conquistata nel frattempo dal cantante, ma l'intuizione di Bellocchio rimane comunque interessante, anche perché sarebbe stato proprio Morandi a portare al successo una delle prime canzoni pacifiste italiane, ossia C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, primo accenno alla guerra del Vietnam in un testo destinato al grande pubblico.A differenza di quanto accadeva negli Stati Uniti, dove molti giovani venivano strappati alla vita quotidiana per andare a combattere in un Paese lontano, il tema del pacifismo apparve nelle canzoni italiane dell'epoca un riferimento generico e lontano. Ciò nonostante, i testi delle canzoni, come pure il loro utilizzo nei film, esprimevano un disagio esistenziale che diventava sempre più politico. Così, in Io la conoscevo bene (1965), dramma generazionale diretto da Antonio Pietrangeli, le 'canzonette' rendono bene il senso di vuoto che spinge al suicidio la protagonista, interpretata da Stefania Sandrelli. E in L'uomo dei cinque palloni, l'episodio diretto da Marco Ferreri del film collettivo Oggi, domani, dopodomani (1965), il complesso beat in una discoteca fa da sfondo alla crisi esistenziale di un uomo che dovrebbe sentirsi appagato, ma che tale non è.
Pur restando prodotti volutamente popolari e senza pretese, anche i m. riflettono questo cambiamento di situazione. Per un pugno di canzoni (1966) noto anche come Por un puñado de canciones, diretto da José Luis Merino su soggetto di Carlo Infascelli, è un'antologia quasi completa di tutti i maggiori esponenti del beat italiano, compresi i gruppi di 'capelloni' che, almeno sul piano del costume, erano considerati quasi eversivi. Il ragazzo che sapeva amare (1967) di Vincent Eagle (Vincenzo Dell'Aquila), accosta con una certa ingenuità la musica giovane alle tematiche della liberazione sessuale. Io non protesto, io amo (1967) di Ferdinando Baldi coniuga con altrettanta ingenuità (nonostante il titolo paia indicare il contrario) le canzoni beat con una timida contestazione scolastica. Non stuzzicate la zanzara (1967) di Lina Wertmüller racconta un'insubordinazione scolastica in nome della musica (ma la regista aveva già diretto Rita Pavone in un musical televisivo piuttosto anticonformista, Gian Burrasca, mentre il titolo alludeva al famoso caso del giornalino "La zanzara", stampato dagli studenti del liceo Parini di Milano e oggetto di repressione da parte del preside e anche della magistratura).
Con l'arrivo del 1968 e la contestazione studentesca il m. si avviò al declino, perché la rivolta generazionale divenne esplicitamente politica e al contempo non esisteva più una musica diretta indistintamente a tutto il mondo giovanile. Per qualche tempo resistette la coppia formata da Al Bano e Romina Power, ma i loro film (come le loro canzoni) erano un ritorno alla melodia tradizionale e al cinema musicale dei decenni precedenti, come dimostrano Nel sole (1967) e Pensando a te (1969), entrambi diretti da Aldo Grimaldi.
L'iconografia dei m. resta comunque una delle tracce più interessanti per ricostruire i costumi e lo spirito degli anni Sessanta italiani: lo prova l'utilizzo (in chiave prevalentemente kitsch) di quell'estetica in film come Sud side stori (2000) di Roberta Torre, interpretato tra gli altri da Little Tony, altro divo del beat italiano anni Sessanta, nelle classifiche e sugli schermi.
S. Della Casa, P. Manera, I musicarelli, in "Cineforum", 1991, 310; A. Fittante, Questa è la storia… Celentano nella musica, nel cinema e in televisione, Milano 1997; Nessuno ci può giudicare, a cura di R. Venturelli, Roma 1998.