musicoterapia
Utilizzo della musica nella terapia di patologie nervose e mentali; la m. può essere passiva (il paziente ascolta) o attiva (il paziente produce suoni), ma le due tecniche possono in vari modi integrarsi. Le numerose osservazioni cliniche degli ultimi decenni hanno confermato che la musica influenza positivamente le funzioni neuropsichiche, ed è famoso il cosiddetto ‘effetto Mozart’, che consiste nel conferimento di abilità non musicali e nel miglioramento delle abilità spaziali, linguistiche, matematiche dopo l’ascolto della musica di Mozart.
L’utilizzo della m. è antichissimo; oltre al potere magico della musica, se ne approfondirono in tutta l’antichità gli aspetti speculativi: Pitagora e Platone si interessarono alla cura di mali fisici e mentali con ritmi e canti, scegliendo fra i vari tipi di melodie e scartando quelle più eccitanti. Il primo approccio scientifico alla m. in ambito occidentale è del medico Gerolamo Cardano, nel Cinquecento; seguirono studi francesi (Ambroise Paré) e, nel Settecento, Benjamin Franklin, che osservava l’effetto di suoni stridenti sulla depressione e l’epilessia; fra Ottocento e Novecento sorsero in tutta l’Europa anche le prime società di applicazione collettiva della m., sebbene con indi rizzi poco unitari, dal punto di vista sia teorico sia applicativo. Nel 1958 Irving A. Taylor e Frances Paperte esposero in modo sistematico le teorie musicoterapiche in rapporto alle diverse patologie, fisiche e psichiche, seguiti da molti studi riguardanti l’influsso della musica (nelle sue componenti di ritmo, tonalità e timbro) sui diversi organi. Carl Orff e seguaci lavorarono con pazienti sordomuti, basandosi sulla trasmissione ossea dei suoni, e Zoltán Kodaly elaborò un metodo rieducativo basato sulle esercitazioni vocali. La m., nell’ambito della Gestaltherapie, fu introdotta per i disturbi comportamentali e psichiatrici di bambini e adulti. Nel 1917 Alberto Porta tenne a Ginevra il primo corso di ritmica per bambini con handicap. Attualmente la m. è praticata in tutto il mondo, secondo gli indirizzi delle varie società nazionali di musicoterapia.
I pazienti che possono trarre giovamento dalla m. sono: nell’ambito della neuropsichiatria infantile, bambini con nascita gravemente prematura, bambini con esiti da lesione cerebrale (anche in presenza di epilessia), bambini sordi, con ipovisione o non vedenti, quelli affetti da autismo infantile, da disturbi di linguaggio (balbuzie, dislalie, disfasie, ecc.), da problemi di comportamento, relazione, apprendimento; nell’ambito dei soggetti adolescenti quelli con handicap fisici, psichici e psicofisici; fra gli adulti quelli con disagio giovanile, psicosi, alcuni disturbi compulsivi e malattie degenerative. Già prima del parto, feto e gestante si giovano della m.: è utile affiancare attività sonoromusicali ai tradizionali corsi di preparazione al parto, poiché la musica può aiutare la gestante a rilassarsi e a contenere l’ansia; si attiva inoltre la risonanza corporea del feto (spec. con i suoni gravi); nel neonato sono già attivi i circuiti di elaborazione della musica (➔ musica e cervello), e i bambini piccoli con paralisi infantili e gli autistici si possono giovare di questo metodo di comunicazione alternativo a quello verbale. Tutti i terapisti musicali sono concordi sull’utilizzo di strumenti musicali acustici, piuttosto che di apparecchiature elettroniche, per una migliore percezione ed elaborazione dei suoni, e per un maggior rilassamento spontaneo, spesso aiutato dalla presenza del terapeuta che tocca, accarezza, massaggia il bambino: si verificano modificazioni del tono muscolare, del respiro, della direzione dello sguardo. Per i pazienti adulti colpiti da ictus, affetti da morbo di Parkinson, da malattia di Alzheimer o da esiti di lesioni cerebrali traumatiche la neuroriabilitazione tramite m. ha dimostrato inequivocabilmente il miglioramento del controllo motorio e ritmico; nei pazienti con deficit cognitivi acquisiti il recupero della memoria ver bale e della capacità di attenzione è più rapido ed efficiente in chi ascolta musica rispetto sia ai pazienti sottoposti all’ascolto di audiolibri (oltre che alla terapia riabilitativa tradizionale), sia ai pazienti che seguono solo le procedure riabilitative. L’attivazione del sistema limbico probabilmente favorisce il recupero cognitivo e rende più stabili i recuperi ottenuti. Nel 2001 l’American academy of neurology ha indicato la m. come una tecnica per migliorare le attività funzionali e ridurre i disturbi del comportamento nel malato di Alzheimer, perché la musica è una via di accesso privilegiata nei confronti di certe abilità ‘nascoste’ dal deterioramento cognitivo. Buoni risultati ottiene la m. anche nella riabilitazione degli afasici. Un altro ambito di applicazione della m. è quello dei disturbi psichici ossessivocompulsivi: in partic., improvvisazioni al pianoforte, dialoghi sonori e ascolto di musica rilassante sono i contenuti principali delle sedute di m. cui possono partecipare i giocatori d’azzardo che decidono di curarsi.