musicoterapia
Uso dell’espressione musicale (in quanto forma di comunicazione non verbale) o dei singoli elementi musicali ‒ suono, ritmo, melodia e armonia ‒ a scopo terapeutico, volto al ristabilimento, mantenimento e miglioramento della salute mentale e fisica dell’individuo. Si distinguono due procedimenti fondamentali, che spesso risultano in stretto rapporto fra loro: uno recettivo, consistente nell’ascolto di messaggi sonori, ritmici e musicali; uno attivo, consistente nel fare concretamente musica, nell’accezione più ampia, utilizzando strumenti musicali, oggetti, parti del corpo.
La moderna m. nasce da un importante incontro tra il teologo, filosofo, medico e psicoterapeuta viennese F. A. Mesmer, autore della Dissertatio physico-medica de planetarum influxu (1766) e W. A. Mozart. Mesmer, vedendo la gente entrare quasi in trance durante l’ascolto delle composizioni di Mozart, iniziò a utilizzarle per le sue sedute di ipnosi individuali e collettive. Risulta così che, nei secoli, la musica sia sempre stata una terapia d’ascolto, nel senso che l’ammalato veniva curato tramite musiche suonate, cantate o anche ballate appositamente per lui.
Attualmente, la musica viene proposta come terapia o come sostegno anche nei casi di malattie mentali e fisiche sempre più gravi e complesse, quali i disturbi psichiatrici (psicosi, schizofrenia, autismo), o nei problemi di handicap e nelle sindromi di Down, ma anche negli stati di coma, nei tumori e per gli ammalati di AIDS (in questi casi impiegando soprattutto le visualizzazioni e/o la m. immaginativa). Sulla base delle indicazioni teoriche e pratiche di molti musicoterapeuti, la m. negli anni Ottanta e Novanta del 20° sec. ha sempre più abbracciato l’indirizzo terapeutico attivo, che prevede l’insegnamento o semplicemente l’uso di strumenti musicali, della voce, del canto, del movimento e della gestualità, al fine di ottenere miglioramenti nei soggetti psicotici oppure nei portatori di handicap psicofisici più o meno gravi.
Attualmente si può distinguere la m. attiva e quella d’ascolto o ricettiva. La prima è un’attività clinica che, sviluppando una relazione non verbale tra terapeuta e paziente attraverso la comunicazione corporeo-sonoro-musicale, cerca di andare incontro alle necessità fisiche e psichiche del paziente. In questi casi, il musicoterapeuta è anche un musicista che opera nell’ambito di una équipe costituita generalmente dal medico psichiatra, dallo psicologo clinico, dall’assistente sociale e dall’infermiere. La m. d’ascolto o ricettiva non implica necessariamente la presenza di un musicista nell’eventuale équipe, ma è comunque indispensabile quella di un musicologo o di un esperto che conosca bene i vari generi musicali. Secondo questo indirizzo, il ‘musicale’ diviene l’oggetto intermediario e mediatore della relazione terapeuta-paziente. Tale approccio, adatto anche in tutti i casi in cui viene applicato quello attivo, prevede l’ascolto di brani musicali che possono suscitare sentimenti ed emozioni, utilizzati poi dall’équipe per sondare il mondo inconscio dei pazienti, in modo da ridare loro una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che li circonda. La m. d’ascolto, infatti, stimola l’immaginazione, la socializzazione e può aiutare a scaricare ansia e aggressività.