MUSMECI CATALANO, Giuseppe Maria
– Nacque ad Acireale, probabilmente negli ultimi anni del XVII secolo.
Le scarse sono notizie biografiche, tramandate quasi unicamente da un manoscritto dell’Accademia Zelantea di Acireale. Poeta e autore drammatico, fu anche lodato come «eccellente compositore in musica e canto fermo» (Orlandi, 1770, p. 42), ma gli intermezzi musicali da lui composti per i drammi sacri sono andati dispersi. Intrapresa la carriera ecclesiastica, si trasferì ancora giovane a Messina, dove avrebbe ricoperto incarichi nella Curia (Musumarra, 1955, p. 362). Il suo primo componimento poetico conosciuto è un sonetto in lode di Benedetto XIII, pubblicato nell’opera di fra Gesualdo Grasso da Acireale, Carro mistico (Messina 1724, p. 29). Due sonetti apparvero in un’altra opera di Grasso, il Foenoris nautici canonico moralis trutina (ibid. 1732, p. 17).
Fu cooptato nell’Accademia dei Pescatori renati di Messina con il nome di Platistaco Acidense e, di ritorno ad Acireale, entrò a far parte anche dell’Accademia degli Zelanti, assumendo il nome di Infervorato. Il 26 luglio 1728 fu rappresentato nella basilica collegiata di Acireale, nella festività della patrona cittadina s. Venera, l’oratorio drammatico a cinque voci, dedicato alla santa, Il teatro della Costanza, con musica di Alfio Patanè, pubblicato a Messina nello stesso anno. Il dramma «offre il contrasto della pura virtù evangelica in s. Venera, con la efferata cupidità de’ sensi nel tiranno Asclepio e il trionfo di quella nell’avviarsi al martirio» (Vigo, 1841, p. 15). Sonetti di Musmeci figurano nelle opere di un’altro Zelante, Candido Carpinato: la Vita di f. Francesco Macaronio (Catania 1736, un sonetto a p. 18) e la Vita del p. Mariano Leonardi (Messina 1752, due sonetti a pp. 219 s.).
Una nutrita produzione di drammi sacri, rimasta inedita, è andata perduta: La vergine trimartire acitana, opera di s. Venera; L’amazzone ferita, opera di s. Apollonia; La fede trionfante, opera di s. Barbara; La prodiga figliuola, opera di s. Margherita da Cortona; Ilre perso anacoreta, opera di s. Onofrio re di Persia; La virtù premiata, opera della beata Rita da Cascia; L’innocenza lagrimante, opera della Passione di N.S. Gesù Cristo e dei Sette dolori di Maria Vergine; La vita riparata nella morte distrutta, mortorio di N.S. Gesù Cristo; La compensa d’amore, opera della sacra lettera ai Messinesi; La notte sacra, ovvero La pastorale; L’angue in seno, ovvero Il proditorio di Giuda. Di queste opere furono talvolta redatte da anonimi versioni popolari. Dal perduto dramma sacro sulla Passione L’Innocenza lacrimante è derivata probabilmente la rappresentazione del venerdì santo che si ripeteva ancora nel secolo scorso sul sagrato della chiesa madre di Aci Sant’Antonio (Musumarra, 1957, p. 55).
Di diverso registro stilistico è l’opera ‘sacro-scenica-tragi-comica’ Le tenebre illuminate nella sagratissima notte del S. Natale... (Catania 1752) nella quale si rilevano le suggestioni della tradizione natalizia italiana, palesemente influenzata sia dal dramma di Andrea Perrucci Il vero lume tra l’ombre (Napoli 1698), sia dal Gelindo di anonimo autore piemontese.
Il dramma, diviso in tre atti in versi endecasillabi e settenari, è preceduto da un prologo mitologico, recitato da 14 personaggi e ambientato ad Acireale. Come il Vero lume tra l’ombre e il Gelindo, Le tenebre illuminate sono incentrate sul viaggio di Giuseppe e Maria da Nazaret a Betlemme, continuamente ostacolato dal demonio, che assume ingannevoli travestimenti e sempre viene sconfitto dal provvidenziale intervento angelico. La vicenda sacra è intrecciata con quelle dei pastori, dai nomi tipicamente arcadici, Arturo, Climene e Pireno, del massaro Silvano e del garzone Pippo, unico personaggio che parla in siciliano, al quale è affidato il tradizionale ruolo comico. Distaccandosi dai modelli tradizionali, Musmeci sviluppa, parallelamente e autonomamente al dramma sacro, una tragedia profana, ambientata in un altro scenario, il palazzo di Erode. La tragedia regale appare ancora pienamente barocca, a cominciare dalle scelte onomastiche, affini a quelle dei romanzi secenteschi e di un altro dramma di Perrucci, La Stellidaura vendicata (Napoli 1678): Amoralba, moglie di Erode, si innamora dell’ospite Stillandro, che è in realtà la figlia del re d’Egitto Formidaura, fuggita dalla patria per non essere costretta a sposare un uomo che detesta; obbligata a rivelarsi, si innamora a sua volta di lei Erode: Amoralba si suicida e appare in sogno a Erode predicendogli la fine imminente.
Accanto alla produzione drammaturgica di carattere sacro, Musmeci è ricordato per la composizione di diverse commedie burlesche: L’inganni d’Amore; Il vil trionfo della poltroneria; Le fantasie stravaganti, oppure Gli abbagli del pensiero; L’amore in vecchia età tutto è pazzia; L’amor molesto bersagliato; L’incanti in duello e Gli amori indiscreti delusi. Di questa non trascurabile produzione teatrale sono pervenute due sole commedie di tre atti, in versi endecasillabi e settenari, una manoscritta, L’inganni d’amore, e l’altra a stampa, Gli amori indiscreti delusi (Messina 1748). Nella trama come nella scrittura, Musmeci appare ancora profondamente legato ai modelli secenteschi, e sembra riproporre in una vulgata provinciale e attardata, gli stessi moduli compositivi e soluzioni drammaturgiche felicemente collaudate nelle commedie di Giacinto Andrea Cicognini e nei drammi civili di Giovanni Andrea Moniglia.
Il manoscritto de L’inganni d’amore (Acireale, Biblioteca Zelantea, III.6.3) porta la data del 1736. È una commedia di ambientazione cittadina a cinque personaggi, caratterizzati dall’uso di linguaggi diversi: l’italiano elegante comune ai giovani innamorati Celio, Melampo e Flora, il linguaggio dotto, frammisto di latino e di italiano ampolloso e caricaturale del dottor Flussio, il dialetto siciliano per lo stile basso di Cicco, deputato al ruolo comico plebeo.
Gli amori indiscreti delusi (Messina 1748) sono dedicati all’amico messinese Antonino Mancuso. Nella prefazione l’autore dichiara di aver composto una «burletta per divertimento» con soli quattro personaggi, a richiesta degli amici, promettendo altre opere più elaborate. Il medico Caridone, vecchio e miope, e il giovane Carinto sono entrambi innamorati dell’incostante Lucilla. Per riuscire nell’impresa, i due rivali chiedono aiuto a Tullo, servo di Lucilla, che parla in siciliano, come Cicco ne L’Inganni d’amore. Dopo un rapido susseguirsi di equivoci, travestimenti e cambiamenti di scena, la commedia si conclude con il matrimonio tra Lucilla e Carinto. Al vecchio beffato non resta altro che perdonare il furbo Tullo, spregiudicato regista della vicenda. Persiste anche in questa commedia più tarda la separazione dei registri linguistici per caratterizzare le differenze sociali e culturali dei diversi personaggi. Musmeci accentua i toni farseschi, già presenti negli Inganni d’Amore, non solo nel dialogo, ma anche nel più insistito ricorso al travestimento. Il maggior rilievo dato al personaggio del servo, Tullo, conferisce poi ad alcune scene una più spiccata e felice comicità popolaresca, naturalistica e talora scurrile, come nell’ottava scena del secondo atto.
La data del 1552, anno di pubblicazione delle Tenebre illuminate, è la più avanzata che si possiede su Musmeci, la cui morte si deve collocare a non molta distanza.
Di Musmeci sono editi modernamente L’inganni d’amore operetta burlesca, a cura di C. Musumarra, Catania 1974.
Fonti e Bibl.: Acireale, Biblioteca Zelantea: C. Carpinato, Notizie storiche di Aci Reale, capitoli XIII, XV; C. Orlandi, Delle città d’Italia e sue isole adiacenti, compendiose notizie sacre e profane, Perugia 1770, pp. 42 s.; L. Vigo, Relazione generale dei lavori dell’Accademia di scienze lettere e arti dei Zelanti di Aci Reale, Messina 1841, pp. 14-16; V. Raciti Romeo, Memorie storiche dell’Accademia degli Zelanti, in Atti e rendiconti della R. Accademia degli Zelanti, Acireale 1899-1900, pp. 17 s.; A. Mazzoleni, Rappresentazione sacra siciliana, Acireale 1893, p. 11; M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, V, Bologna 1930, p. 490; C. Musumarra, Un poeta drammatico siciliano del sec. XVIII: G.M. M.C. da Acireale, in Studi in onore di S. Santangelo, II, Catania 1955, pp. 362-383; Id., La sacra rappresentazione della natività nella tradizione italiana, Firenze 1957, passim (in appendice Le tenebre illuminate, pp. 61-181).