Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Fino ad allora una periferica colonia musicale, la Russia produce nell’Ottocento una scuola nazionale autonoma e originale e alcuni capolavori assoluti, tra i quali il Boris Godunov di Musorgskij che varcherà i confini nazionali ed eserciterà un profondo influsso sull’evoluzione musicale del XIX secolo e del successivo.
Il 1855, anno della morte dello zar Nicola I e dell’ascesa al trono di Alessandro II Romanov, rappresenta un punto di svolta per la vita culturale della Russia dell’Ottocento. Dopo timidi tentativi riformisti nella prima parte del regno, Nicola si è sempre più arroccato in una politica autocratica, di severità e ordine, spintovi anche dai moti del 1848, che pure non hanno avuto eco rilevanti nel sonnolento Impero russo.
Alla morte di Nicola I, la produzione industriale russa è assai esigua se rapportata a quella di Francia e Inghilterra, già in piena rivoluzione industriale. La stragrande maggioranza della popolazione russa vive infatti di agricoltura, il cui perno economico resta la servitù della gleba.
La censura, e in ultima analisi la normalizzazione di qualsiasi spinta intellettuale (è del 1849 l’esilio in Siberia di Dostoevskij per motivi politici) agiscono come possenti freni sulla vita culturale russa.
La sconfitta nella guerra di Crimea, morto Nicola, spinge il nuovo zar Alessandro II verso una moderata apertura alle riforme – prima tra tutte l’abolizione della servitù della gleba – che, pur non essendo né duratura né rivoluzionaria, sortisce un profondo effetto di rivitalizzazione intellettuale. In campo musicale è un susseguirsi di avvenimenti destinati a influenzare durevolmente il futuro della musica russa. La fondazione della Società russa di musica (1859) e quindi dei conservatori di San Pietroburgo (1862) e di Mosca (1864) a opera di Anton Rubinstejn, insieme a quella – pur su posizioni antitetiche – della Scuola musicale gratuita, costituiscono i primi esempi di educazione musicale in Russia. Negli stessi anni, l’Opera imperiale russa viene dotata di un proprio teatro e inizia la regolare rappresentazione di opere in lingua nazionale con un successo di pubblico tale da farla rivaleggiare con la tradizionale opera italiana.
In quegli anni si riunisce attorno a Milij Balakirev un gruppo di promettenti musicisti noto come il Gruppo dei Cinque e che nella Russia del tempo è piuttosto conosciuto come Gruppo di Balakirev o Potente Gruppo e si autodefinisce Nuova Scuola Russa. Ne fanno parte, oltre a Balakirev, Aleksandr Borodin, César Cui, Modest Musorgskij e Nikolaj Rimskij-Korsakov. A questi personaggi si affianca, nel ruolo di guida spirituale, il critico d’arte Vladimir Stasov.
Nel fermento culturale degli anni Sessanta, il gruppo, che si scoprirà poi formato da personalità assai eterogenee, si riunisce intorno ad alcuni ideali fondamentali: la rivalutazione della melodia popolare russa, all’insegna di Michail Glinka – il padre della scuola operistica russa dei primi anni dell’Ottocento –, con il conseguente rifiuto della musica d’opera italiana che, già dalla metà del Settecento, impera alla corte degli zar e ovunque in Europa. Un rifiuto che comprende anche il più recente grand-opéra francese di Meyerbeer e i “tedeschismi” che costituiscono le materie d’insegnamento del conservatorio appena istituito.
Questo rifiuto, che è un po’ la cifra della polemica musicale russa del periodo, assume tuttavia tonalità diverse nei vari esponenti del gruppo, differenze che diventeranno via via più evidenti con il maturare delle personalità artistiche individuali.
A partire dai primi anni dell’Ottocento, in vari strati della piccola nobiltà intellettuale russa si fa strada un movimento di progressiva riappropriazione delle tradizioni della cultura contadina, in contrapposizione con la cultura ufficiale d’importazione franco-italiana o tedesca che occupa il posto d’onore presso la corte imperiale.
Michail Glinka, egli stesso un membro della piccola aristocrazia, e dunque un “dilettante” come saranno in gran parte i suoi successori, può tuttavia vantare una formazione cosmopolita; nei suoi viaggi in Italia e in Germania ha stretto legami con Bellini e Donizetti e ha potuto ascoltare Mozart, Rossini e Beethoven. Le sue opere danno il primo impulso al nuovo stile.
In Una vita per lo zar e Ruslan e Ludmilla, Glinka introduce all’interno di uno schema in cinque atti ricalcato sul grand-opéra alcune autentiche innovazioni. Non si tratta di inserzioni esplicite di melodie popolari, ma piuttosto dell’innesto su uno schema formalmente tradizionale di un “tono” autoctono, frutto in buona parte di una maggiore indeterminatezza ritmica, e ottenuto con l’interpolazione di ritmi irregolari, di melodie di andamento popolare e di venature modali nell’armonia.
Il Ruslan, seppure frutto di un’ibridazione di uno stile nazionale ancora indefinito con modelli colti assimilati con grande acutezza dalle scuole europee, sarà sufficientemente rivoluzionario da far storcere il naso agli aristocratici che rimpiangono il vecchio stile italiano e da scatenare l’entusiasmo e l’emulazione dei musicisti della giovane generazione che vi vedono indicata la strada maestra del nuovo stile russo. Uno stile che affonda le radici nei canti a spiccata vocazione lirica della tradizione contadina russa. Queste melodie (in particolare i protjaznye pesni, canti prolungati) hanno un andamento melismatico e ritmicamente libero. Non si tratta di danze, né in effetti di musica funzionale legata a particolari cerimonie o avvenimenti della vita contadina, ma piuttosto di brevi ed estemporanee composizioni liriche su testi di vario argomento ricchi di suggestioni poetiche e di colorite metafore.
Già dalla fine del Settecento queste melodie e poesie popolari erano state raccolte, inizialmente con attenzione esclusiva ai testi poetici, pubblicati in varie raccolte, e quindi in trascrizioni musicali che tendevano comunque a imbrigliarne le irregolarità negli schemi della musica colta.
Ma è certamente con l’antologia raccolta da Balakirev e frutto di un viaggio sul Volga nell’estate del 1860 che questi canti lirici entrano a pieno titolo nell’arsenale dei musicisti della scuola nazionalista. La raccolta non è scevra da manipolazioni, e dopo tutto l’intento di Balakirev non è l’ortodossia etnografica ma il tentativo deliberato di raccogliere materiale che costituisca la base di nuove creazioni. Un obiettivo ampiamente raggiunto, se è vero che ben 25 delle 40 melodie raccolte da Balakirev trova posto in composizioni di Musorgskij, Rimskij-Korsakov ma anche in quelle dell’“esterno” Čiajkovskij.
Intorno a ideali e a posizioni musicalmente “nazionaliste” il gruppo di Balakirev combatte il chiuso conservatorismo dell’élite nobiliare ma anche istituzioni come il conservatorio di Rubinstejn, che viene criticato come un avamposto straniero e “tedeschizzante” pur riconoscendone l’utilità e la funzione di stimolo esercitate sulla vita musicale russa.
Sarebbe tuttavia riduttivo interpretare il nazionalismo dei Cinque come totale chiusura nei confronti della cultura musicale del resto d’Europa. Negli incontri privati e nei concerti organizzati dal gruppo si ascolta e si apprezza, seppur con qualche riserva, la musica dei compositori tedeschi più “avanzati”, Schumann, Chopin e Liszt (ma non Wagner), mentre Hector Berlioz viene invitato in Russia per un ciclo di concerti. Gradualmente, tuttavia, le posizioni si stemperano e i fronti si confondono, via via che i balakirevcy crescono di importanza e influenza.
Membri del gruppo raggiungono importanti posizioni nell’ambiente musicale pietroburghese. Nel 1867 Balakirev viene chiamato a dirigere la rivale Società russa di musica fondata da Rubinstejn e nel 1871 Rimskij-Korsakov fa il suo ingresso come insegnante al conservatorio di San Pietroburgo.
Più o meno in quegli anni il gruppo si avvicina a Dargomyzskij, la cui Rusalka era stata accolta con freddezza e sospetto dal circolo di Balakirev. La sua successiva opera, Il convitato di pietra, ottiene ben diversa accoglienza ed è facile intuirne i motivi. Si tratta di un esperimento avanzato, in cui Dargomyzskij musica integralmente il dramma di Puskin, senza modifiche, offrendo la soluzione più radicale al problema dell’articolazione di aria e recitativo. Morto l’autore senza aver finito la composizione, Il convitato di pietra verrà completato da Cui e Rimskij-Korsakov e presentato postumo nel 1872. Sulla scia di questo esperimento Musorgskij comporrà la sua prima opera Il matrimonio e modellerà alcuni dei momenti più significativi del Boris.
Gli anni Sessanta costituiscono il periodo di maggior affiatamento del gruppo, che si raccoglie ora a casa di Dargomyzskij ora in quella della sorella di Glinka.
Dai resoconti e dalle lettere dei protagonisti emerge l’immagine di un fecondo sodalizio intellettuale: c’è fiducia nelle sorti artistiche della Russia e nei propri mezzi. Ben presto, tuttavia, i più dotati del gruppo, Borodin, Rimskij-Korsakov e Musorgskij maturano scelte diverse e si allontanano a mano a mano che prendono forma gli elementi più individuali del loro stile. Scrive Borodin: “Finché rimanemmo nella condizione di uova sotto la chioccia eravamo più o meno tutti uguali, ma quando i pulcini uscirono dall’uovo e cominciarono a rivestirsi di piume, queste risultarono, ovviamente, diverse. Quando poi ci crebbero le ali ognuno di noi volò là dove lo spingeva la sua natura”.
Borodin, che conduce parallelamente a quella di musicista un’intensa e importante attività di scienziato, nella sua opera principale, il Principe Igor riverserà una vena lirica, lontana dallo stile recitativo del Convitato di pietra (“Lo stile puramente recitativo non mi è mai andato a genio. Io sono attratto dal canto”) senza disdegnare l’uso delle forme operistiche tradizionali.
Rimskij-Korsakov, il più giovane dei cinque, vanta la produzione più regolare: in quasi 40 anni di attività produce 15 opere e molta musica sinfonica. Chiamato a insegnare orchestrazione e composizione al conservatorio di San Pietroburgo,Rimskij-Korsakov si sente in dovere di completare la sua precaria preparazione accademica dedicandosi allo studio del contrappunto (un atteggiamento che gli alienerà le simpatie del gruppo e di Musorgskij in particolare). Sostituito Balakirev alla guida della Scuola di musica gratuita, Rimskij-Korsakov vi introduce le composizioni di Palestrina, Bach e Händel.
Con un misto di affetto e di pedanteria, Rimskij si dedica al completamento delle opere degli altri membri del gruppo: modifica e rielabora l’orchestrazione del Boris e della Chovànscina di Musorgskij e completa il Principe Igor di Borodin. La sua riorchestrazione del Boris – la “meyerbeerizzazione del Boris” come la chiama Stravinskij – destinata a correggerne gli “errori” e le imperizie gli ha guadagnato fino a oggi una fama di professore pedante (ma l’orchestrazione del Boris non piace neppure a Sostakovic). Non va tuttavia dimenticato che se Rimskij-Korsakov non è stato in grado di comprendere le innovative durezze dello stile primitivo di Musorgskij, e se ha certamente rielaborato la partitura secondo il proprio gusto musicale, in un primo tempo senza risparmiarle violenti tagli, pure è grazie alla sua opera divulgatrice che le opere fondamentali di Musorgskij hanno raggiunto il loro primo pubblico. Ed è per il tramite delle algide e perfette strumentazioni di Rimskij-Korsakov e del suo mondo irreale e fiabesco che l’eredità dei Cinque viene tramandata alla nuova scuola russa di Stravinskij e Prokof’ev.
A Modest Musorgskij, il più importante compositore del Potente Gruppo, e dell’intero Ottocento russo, spetta il compito di incarnare con maggior convinzione gli ideali di Stasov e Balakirev.
Figlio della piccola aristocrazia, finanziariamente fiaccata dall’abolizione della servitù della gleba, Musorgskij deve adattarsi a un lavoro d’ufficio in un ministero che mal sopporta, e quindi reagisce con più violenza e sofferenza al progressivo discioglimento del gruppo di Balakirev e all’abbandono di alcuni ideali, che giudica alla stregua di un tradimento. Insieme alla sensazione di isolamento, forte è la sua convinzione della missione dell’arte. Musorgskij, infatti, scrive di se stesso in una breve biografia destinata forse al Musiklexicon di Riemann: “Musorgskij non può essere classificato in alcuno dei gruppi esistenti sia per il carattere delle sue composizioni, sia per i suoi punti di vista musicali. La formula della sua profession de foi artistica va spiegata con la sua concezione di compositore circa i compiti dell’arte: l’arte è un mezzo di comunicazione con il popolo, non un fine che si esaurisce in se stesso”. E forti rimangono in Musorgskij le posizioni estetiche alla base della sua opéra dialogué, il Matrimonio, e già del Convitato di pietra di Dargomyzskij: “La missione della musica come arte è di riprodurre in suoni non solo le sfumature delle emozioni, ma, più di tutto, le sfumature del discorso umano”; e ancora: “I miei personaggi devono parlare sulla scena come parla la gente comune”.
Vicino in questo alle posizioni del realismo letterario e vicino alle posizioni dei movimenti radicali, degli slavofili e del populismo (narodnicestvo), l’antiaccademico Musorgskij crede nella verità come fine ultimo dell’arte, a dispetto, se necessario, della tecnica e delle convenzioni. Fino a che punto le grezze asperità del Boris siano frutto di genialità o di dilettantismo è questione ancora aperta ma oggi di scarsa importanza. Certo la percezione del Boris come opera innovativa in anticipo sui tempi piuttosto che come grandioso affresco disegnato da una mano inesperta è parte saliente della ricezione dell’opera nel resto d’Europa, e specialmente in Francia, da dove si imporrà gradualmente in tutto il mondo.
Se, da una parte, Claude Debussy dichiara “Nel Boris vi è tutto il mio Pelléas” dall’altra descrive Musorgskij come “un curioso essere primitivo che faccia la scoperta della musica a ogni passo tracciato dalla sua emozione”. In questa ambiguità sta la cifra dell’ammirazione e delle modalità con cui la musica di Musorgskij influenza i Francesi.
L’incanto delle armonie modali di Musorgskij e il suo rifiuto totale delle forme tradizionali, percepite come estranee, eserciteranno su Debussy un fascino indubitabile. L’ammirazione è comunque sincera e Maurice Ravel orchestrerà i Quadri di un’esposizione (una versione fino a oggi più popolare dell’originale per pianoforte), con Stravinskij strumenterà la Chovànscina per Diaghilev, e sotto l’influsso di Musorgskij comporrà la sua Heure espagnole mentre per altre vie sono ricchi i collegamenti che conducono dal compositore russo alla musica di Leós Janácek.