Mutamento di sesso e divorzio “automatico”
Con la sentenza n. 170 dell’11.6.2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. 14.4.1982, n. 164, e dell’art. 31, co. 6, del d.lgs. 1.9.2011, n. 150 nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento automatico del matrimonio, consenta comunque, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra
forma di convivenza registrata.
La Corte di cassazione, chiamata a decidere un noto caso che ha occupato la stampa e la televisione, sollecitando l’attenzione della dottrina1, con ordinanza del 6.6.2013 ha sollevato la questione di compatibilità con i principi della Costituzione relativamente ad una delle questioni più delicate connesse alla «rettificazione di attribuzione di sesso», disciplinata dalla l. 14.4.1982, n. 164. A distanza di oltre trenta anni dalla prima decisione in questa materia2, il giudice delle leggi è stato così chiamato a stabilire la legittimità costituzionale delle norme che, in base all’interpretazione seguita dalla giurisprudenza3, determinano lo scioglimento «automatico» del matrimonio della persona transessuale, la quale, avendo ottenuto la rettificazione dell’attribuzione di sesso, sarebbe altrimenti coniugata con persona dello stesso sesso.
La Corte costituzionale, d’altra parte, pochi anni dopo l’entrata in vigore della legge, aveva dichiarato che, in base all’art. 4, della legge n. 164/1982, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio conseguono alla sentenza che abbia disposto la rettificazione di attribuzione di sesso4. Tuttavia, come rilevato in sede di primo commento alla nuova disciplina5, la soluzione non era apparsa convincente sotto diversi profili.
Anzitutto, disciplinando la nuova ipotesi di scioglimento del matrimonio, la legge italiana si era discostata da altre regolamentazioni, già entrate in vigore in alcuni paesi europei, che consideravano l’assenza del vincolo matrimoniale un presupposto per ottenere la modifica del sesso, richiedendo così implicitamente il preventivo scioglimento del matrimonio, con le abituali forme di garanzia e di tutela di tutti i soggetti coinvolti6. Nel nostro paese, viceversa, resta privo di ogni tutela il coniuge dell’interessato.
Tra l’interesse della persona transessuale a non affrontare un procedimento preventivo, evitando quindi l’attesa legata alla relativa sentenza, nonché il rischio di un giudizio negativo e di conseguenza la preclusione della rettificazione, e quello del coniuge di non «subire» lo scioglimento del matrimonio, il legislatore italiano ha quindi privilegiato il primo. In tal modo, tra l’altro, non si è tenuto conto del fatto che numerosi aspetti collegati allo scioglimento del matrimonio – mantenimento del coniuge, provvedimenti riguardanti i figli, ecc. – devono necessariamente costituire oggetto di un giudizio successivo.
Dal punto di vista sistematico, inoltre, lo scioglimento «automatico» del matrimonio ha determinato perplessità, essendosi configurata una violazione del principio secondo cui lo scioglimento del matrimonio non consegue in nessun caso direttamente alla decisione di uno soltanto dei coniugi.
Peraltro, come esattamente ricordato nella suddetta ordinanza di rinvio, l’attenzione della dottrina si era inizialmente concentrata sul problema più avvertito dagli interessati, cioè il diritto del soggetto al quale è stata riconosciuta la nuova identità di genere di contrarre matrimonio con una persona di sesso diverso da quello ottenuto a seguito del percorso di autodeterminazione e della pronuncia giudiziale.
Negli anni ottanta del secolo scorso, il mantenimento del rapporto coniugale non era segnalato tra le aspirazioni degli interessati e, comunque, il permanere del matrimonio tra persone (divenute) dello stesso sesso era considerato inammissibile in un momento storico in cui neanche gli ordinamenti giuridici più liberali ammettevano il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Pertanto, nelle leggi entrate in vigore in quasi tutti i paesi europei variava soltanto il momento prescelto per lo scioglimento del matrimonio: prima di instaurare il procedimento per l’attribuzione di sesso, e quindi presupposto per ottenerla, oppure effetto della sentenza di rettificazione di sesso.
Ben presto, tuttavia, sono sorti dubbi di legittimità costituzionale e di conformità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e il «costringimento» al divorzio non ha resistito al vaglio delle Corti costituzionali di alcuni paesi europei e della Corte europea dei diritti dell’uomo, è stato quindi eliminato dai più antichi testi normativi o non è stato previsto in quelli più recenti7.
Alla luce della evoluzione brevemente descritta, appaiono invero inadeguati i due successivi interventi del legislatore italiano nella materia in esame: precisamente, quello attuato con una norma introdotta nella novella sul divorzio del 1987, che prevede il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso come presupposto per ottenere lo scioglimento del matrimonio8 e quello molto recente che, probabilmente per superare alcune incertezze emerse nella giurisprudenza di merito, ha ribadito che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso «determina lo scioglimento del matrimonio» della persona transessuale (art. 31, d.lgs. 1.9.2011, n. 150)9.
La norma introdotta nel 1987, ad avviso di alcuni Autori, non aveva abrogato quella dell’art. 4 della legge del 1982, che – come detto – stabilisce lo scioglimento del matrimonio quale effetto della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso10. Altrimenti, a seguito della nuova attribuzione di sesso di uno dei coniugi, avrebbe dovuto ammettersi l’esistenza di un matrimonio tra persone (divenute) dello stesso sesso, fino al momento della – eventuale – pronuncia di scioglimento, situazione generalmente ritenuta contrastante con i principi dell’ordinamento giuridico italiano, che non ammette il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
In definitiva, l’intervento del legislatore del 1987 non aveva offerto una soluzione chiara e lineare, e l’interpretazione preferibile, la cui esattezza – come ricordato – è stata confermata dal legislatore nel 2011, era sembrata quella secondo cui lo scioglimento del matrimonio è determinato dalla sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, come prescritto dalla legge del 1982, mentre il procedimento previsto dalla legge in materia di divorzio, modificata nel 1987, può essere successivamente instaurato dalla persona transessuale o dal suo ex coniuge al fine di ottenere una sentenza che disciplini gli aspetti connessi al divorzio11.
Pertanto, come conferma il caso sottoposto alla Corte di cassazione, la legge vigente pone l’interessato – e di conseguenza il suo coniuge – di fronte alla scelta di sacrificare il matrimonio, pur se entrambi i coniugi intendono proseguire il rapporto, oppure di sacrificare l’aspirazione al mutamento di sesso, nonostante il relativo diritto sia riconosciuto dall’ordinamento giuridico italiano. Come abbiamo di recente segnalato, il problema, quindi, deve essere più correttamente posto nei termini della legittimità di imporre il sacrificio di un diritto – quello alla vita matrimoniale – tutelato dalla Costituzione italiana e dalla CEDU12.
L’ordinanza della Corte di cassazione ha confermato il segnalato dubbio di legittimità costituzionale, non considerando corretta la decisione della Corte d’appello di Bologna, impugnata dal ricorrente, secondo cui il permanere del vincolo matrimoniale «significherebbe mantenere un rapporto privo del presupposto suo legittimo più indispensabile: la diversità sessuale dei coniugi», ed accogliendo quindi il suggerimento13 di investire, in questa occasione, la Corte costituzionale della questione relativa alla legittimità costituzionale del divorzio «automatico» della persona transessuale.
La decisione del giudice delle leggi non si è fatta attendere. La sentenza n. 170/2014, ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 2 e 4, l. n. 164/1982, non tuttavia con riferimento all’art. 29 Cost. – invocato dal Collegio rimettente – poiché «la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente (cui conferisce tutela il citato art. 29 Cost.) è quella stessa definita dal codice civile del 1942, che “stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del 2010)”».
Parimenti non pertinente è sembrato alla Corte costituzionale il riferimento agli artt. 8 (sul diritto al rispetto della vita familiare) e 12 (sul diritto di sposarsi e di fondare una famiglia) della CEDU, così come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; ed insussistente il contrasto delle norme citate con l’art. 24 Cost., non potendosi ipotizzare alcun vulnus sul piano della difesa non essendo configurabile – ad avviso della Corte – un diritto della coppia, non più eterosessuale, al permanere del vincolo matrimoniale, come pure con l’art. 3 Cost., poiché la diversità della fattispecie giustifica una diversa disciplina dello scioglimento del matrimonio. Pertinente è apparso invece il riferimento alla norma dell’art. 2 Cost., ritenendo la Corte che nella nozione di formazione sociale «è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia» (sentenza 15.4.2010, n. 138).
La Corte ha quindi tracciato una linea di continuità con la precedente sentenza in tema di unioni omosessuali, ribadendo la legittimità di un «riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri», e quindi di una disciplina di carattere generale, ma escludendo «una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio». Di conseguenza, la Corte esclude una «pronuncia manipolativa, che sostituisca il divorzio automatico con un divorzio a domanda, poiché ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29 Cost.».
La Corte costituzionale conclude, quindi, nel senso che è compito del legislatore, da svolgere «con sollecitudine», quello di «introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione, su tal piano di assoluta indeterminatezza». Pertanto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4, l.164/1982 (e dell’art. 6, d.lgs. n. 150/2011, che ha sostituito il suddetto art. 4 ribadendone sostanzialmente il contenuto) con riferimento all’art. 2 Cost. «nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore».
La scelta di fondo compiuta dalla Corte costituzionale, è pertanto quella di invitare il legislatore a predisporre una disciplina delle unioni delle persone omosessuali, da applicare anche al caso delle persone transessuali unite in matrimonio a seguito dello scioglimento automatico del vincolo matrimoniale, effetto del mutamento di sesso di uno dei coniugi.
La decisione – nonostante la correttezza dell’impianto logico-sistematico – determina perplessità sia perché, come è stato osservato, alla dichiarazione di incostituzionalità non consegue alcun effetto rispetto al caso da decidere e quindi alcuna tutela degli interessati14, sia perché può dubitarsi che la vicenda umana e relazionale dei coniugi a seguito del mutamento di sesso di uno di essi sia equiparabile alla fattispecie delle persone omosessuali. È possibile infatti che la persona transessuale, a seguito del mutamento di sesso, intenda avere un rapporto di tipo omosessuale con il coniuge,ma è altresì possibile che la persona transessuale intenda avere rapporti con persone di sesso diverso (dal proprio e di quello del coniuge) e comunque non desideri sciogliere il vincolo matrimoniale. In altri termini è concettualmente errata l’equiparazione del rapporto tra i due coniugi, di cui uno ha mutato sesso, con quello di due persone omosessuali.
La Corte costituzionale italiana richiama la corrispondente decisione del Bundesverfassungsgericht15.
Tuttavia, al contrario di quanto avviene a seguito della sentenza della Corte costituzionale, secondo la sentenza tedesca il matrimonio sopravvive al mutamento di sesso di uno dei coniugi, e il Bundesverfassungsgericht ha motivato la propria decisione in modo pragmatico, osservando che si tratta di pochi casi e soprattutto sottolineando che la fattispecie in esame è diversa da quella di due persone dello stesso sesso che intendono unirsi in matrimonio (non consentito).
Anche in Germania, alla dichiarazione di incostituzionalità si è accompagnato l’invito al legislatore a prevedere una disciplina specifica, e tale intervento finora è mancato, ma in ogni caso il diritto tedesco vigente consente alla persona transessuale il permanere del vincolo matrimoniale nonostante il mutamento di sesso.
A ben vedere, in definitiva, due «inviti al legislatore », ma in un caso (quello italiano) con sentenza di accoglimento che pur avendo accertato il contrasto con una norma della Costituzione (art. 2) non incide sul diritto vigente; nell’altro (quello tedesco) con sentenza di accoglimento che ha effettivamente eliminato il contrasto, con pieno rispetto degli interessi (dei coniugi) tutelati dall’ordinamento giuridico.
In attesa di una legge sulle convivenze registrate, che secondo l’auspicio della Corte costituzionale dovrebbe servire anche a soddisfare le esigenze delle persone transessuali a seguito dello scioglimento del matrimonio, possono svolgersi alcune ulteriori considerazioni.
La Corte costituzionale ha (opportunamente) preso in esame l’evoluzione della problematica in altri paesi europei e in particolare le decisioni di altre Corti costituzionali. La conclusione a cui perviene, secondo cui le norme sullo scioglimento automatico sono costituzionalmente illegittime,ma soltanto perché non prevedono la possibilità di mantenere un rapporto di coppia giuridicamente regolato da una normativa sulla convivenza (omosessuale) registrata, sembra a prima vista aver preso a modello l’ordinamento tedesco in cui – come è stato già ricordato – è stata disciplinata la convivenza di persone dello stesso sesso con il Lebenspartnerschaftsgesetz del 16 febbraio 200116.
Tuttavia, le soluzioni sono in realtà ben diverse, poiché se la Corte costituzionale tedesca avesse adottato lo stesso procedimento logico seguito dalla Corte costituzionale italiana – che più volte richiama la convivenza (o il matrimonio) tra persone omosessuali – si sarebbe limitata a far riferimento alla suddetta legge sulla convivenza registrata delle persone omosessuali, dichiarandone l’applicabilità alle coppie transessuali a seguito dello scioglimento del matrimonio.
Ma così non è stato. La Corte costituzionale tedesca, infatti, ha invitato il legislatore ad intervenire, pertanto considerando (esattamente) la fattispecie in esame non equiparabile a quella delle persone omosessuali17. Inoltre, ciò che è più importante, ha inciso sulla fattispecie concreta consentendo comunque, in attesa dell’intervento del legislatore (che finora non c’è stato) il mantenimento del vincolo matrimoniale.
In ogni caso, conviene altresì suggerire al legislatore italiano di modificare la legge sulla rettificazione di attribuzione di sesso, inserendo una norma che preveda la possibilità di cambiare soltanto il nome, secondo il modello della legge tedesca (cd. kleine Lösung), poiché la «piccola soluzione» consentirebbe alla persona transessuale di soddisfare almeno una parte delle sue esigenze (es. documento di identità) senza la necessità di sciogliere il vincolo matrimoniale eventualmente esistente, come per molti anni è avvenuto nell’esperienza tedesca.
In attesa dei suddetti interventi legislativi, alla persona transessuale unita in matrimonio, che avverte la necessità di sottoporsi all’intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali,ma che non desidera lo scioglimento del matrimonio, potrebbe consigliarsi di fare eseguire l’intervento medico-chirurgico – che, tra l’altro, a seguito dell’abrogazione dell’art. 3 della l. n. 164/1982 (art. 34, d.lgs. n. 150/2011), non deve essere più autorizzato dal Tribunale – senza agire in giudizio per ottenere la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, dalla quale conseguirebbe lo scioglimento «automatico » del matrimonio.
Soluzione parziale e insoddisfacente, certo, poiché l’interessato non potrebbe cambiare il nome né l’indicazione del sesso nei documenti, ma che almeno lascia all’interessato la scelta di quale interesse sacrificare.
1 Patti, S., Il divorzio della persona transessuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2012, 163 ss.
2 C. cost., 1.8.1979, n. 98.
3 Con riguardo al caso sottoposto alla Corte di cassazione, App. Bologna, decr. 18.5.2011, in Fam. pers. e succ., 2011, 629 ss.
4 C. cost., 24.5.1985, n. 161. Per un commento, v. Patti, S.-Will, M.R., in Mutamento di sesso e tutela della persona, Padova, 1986, 138 ss.
5 Patti, S.-Will,M.R., La «rettificazione di attribuzione di sesso»: prime considerazioni, in Riv. dir. civ., 1982, II, 729 ss., 745 s.
6 Così la legge svedese del 1972, art. 3 e la legge tedesca del 1980, § 8, n. 2.
7 V. Patti, S., Il divorzio della persona transessuale, cit., 163 ss.
8 Cfr. art. 7, l. 6.3.1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina di casi di scioglimento del matrimonio), che hamodificato l’art. 3, co. 4, l. 1.12.1970, n. 898, al quale è stata aggiunta la lettera g), cosicché può proporsi domanda di divorzio quando «è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della l. 14.4.1982, n. 164».
9 La precedente formulazione (art. 4., l. n. 164/1982) adoperava il termine «provoca» invece di «determina».
10 Cfr., tra gli altri, Bianca, C.M., Diritto civile, 2, La famiglia, le successioni, Milano, 1989, 31 ss.; Patti, S., Verità e stato giuridico della persona, in Riv. dir. civ., 1988, I, 245 ss.; Id., Transessualismo, in Dig., IV, sez. civ., XIX, Torino, 1999, 427.
11 Bianca, C.M., Diritto, cit., 31 ss.; Patti, S., Verità e stato giuridico della persona, cit., 245 ss.
12 Cfr. Patti, S., Il divorzio della persona transessuale, cit., 174.
13 Cfr. Patti, S., Il divorzio della persona transessuale, cit., 176.
14 Balestra, L., Editoriale, in www.giustiziacivile.com., 2014, 1 ss.
15 BVerfG, 27.5.2008, in NJW, 2008, 3117 ss.
16 In argomento, v.Wasmuth, J., La convivenza registrata tra persone dello stesso sesso in Germania e l’orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale tedesca, in Familia, 2003, 503 ss. Per la traduzione in lingua italiana v. Caricato, C., Legge sulla cessazione della discriminazione delle unioni omosessuali: convivenze, in Familia, 2009, 59 ss.
17 Salvo il caso in cui la persona transessuale (che ha mutato sesso) e il coniuge desiderino una convivenza di tipo omosessuale: così nel caso deciso da BVerfG, 11.1.2011, in NJW, 2011, 909 ss. Si noti che in questa occasione la Corte costituzionale tedesca ha dichiarato incostituzionale la norma del Transsexuellengesetz che prevedeva la necessità dell’intervento chirurgico.