Mutilazione
Mutilazione è termine generico che comunemente indica l'asportazione, in seguito a trauma o a intervento chirurgico, di una parte importante del corpo, per lo più di un arto; esso viene tuttavia da alcuni applicato molto più estensivamente anche alle menomazioni puramente funzionali. È in riferimento a questa accezione che si parla, per es., di mutilati e invalidi di guerra.
Nel senso corrente, non tutte le perdite anatomiche vengono considerate mutilazioni: è il caso, per es., dell'asportazione chirurgica di un'appendice ciecale o delle tonsille, delle estrazioni dentarie, o dell'ablazione della ghiandola tiroide, sebbene in quest'ultima evenienza le ripercussioni funzionali siano particolarmente importanti. Per converso, la sostituzione di parti anatomiche con protesi, come pure la supplenza a menomazioni funzionali ottenuta con mezzi farmacologici o di altro tipo, non eliminano la condizione di mutilato del soggetto primitivamente colpito dalla perdita. Nell'ambito di una materia certamente ambigua, ove non sono possibili, da un punto di vista medico-biologico, precise classificazioni, particolare attenzione meritano comunque alcuni tipi di mutilazioni, quali quelle operate per motivi etnici o religiosi, e quelle volontarie, espressione in genere di malattie mentali gravi oppure autoprovocate al fine di ottenere fraudolentemente particolari vantaggi. Tra le mutilazioni imposte per ragioni confessionali, la più nota è la circoncisione (v.) maschile, cioè l'asportazione del prepuzio. Tale pratica, prescritta dalla religione ebraica, è comune anche a numerose altre culture, ove ha carattere rituale, segnando in genere il passaggio dall'infanzia all'età adulta. Essa non ha peraltro conseguenze negative sotto il profilo funzionale, in quanto non altera il piacere sessuale, e ne ha anzi di positive dal punto di vista igienico. Molto diversa è la circoncisione femminile, che è ancor più diffusa e consiste in una serie di mutilazioni che vanno dall'asportazione del prepuzio e persino del glande clitorideo (escissione) alla rimozione delle piccole labbra, fino all'infibulazione o circoncisione faraonica, che comporta anche l'asportazione delle grandi labbra e la chiusura della vulva, con conservazione unicamente di un piccolo orifizio, di dimensioni tali da consentire soltanto la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale, ma da non rendere possibili i rapporti sessuali. Questa mutilazione, considerata una barbara usanza nel mondo occidentale (in cui si va oggi diffondendo, a causa dell'immigrazione), ha radici sociali oltre che religiose, rappresentando un simbolo di stato per chi vi si sottopone e un privilegio per chi la esegue, così da essere favorita nell'ambito stesso della famiglia. In gran parte delle culture africane, essa rappresenta per un'adolescente il mezzo per liberarsi dalla propria 'mascolinità', così come la circoncisione maschile lo è per liberarsi dalla propria 'femminilità', essendo clitoride e prepuzio visti rispettivamente come un pene e una vagina. D'altro canto, essa è anche una pratica che permette il controllo sessuale e ha quindi, in certe culture islamiche, lo stesso significato della copertura del corpo femminile con il velo. A differenza di quella maschile, la circoncisione femminile ha conseguenze importanti sia funzionali sia mediche. Essa non toglie alla donna il desiderio sessuale, ma la priva della possibilità di soddisfarlo, e crea pertanto una situazione di alienazione, compensata peraltro dai vantaggi che comporta in termini di integrazione e acquisizione di una posizione nella società, e forse anche dal ruolo di attrattiva sessuale che esercita. Tra gli inconvenienti, non di rado anche molto gravi, di queste pratiche vanno annoverati gli shock anche mortali, le emorragie, le anemie gravi, le setticemie, gli ascessi, le ulcere, le infezioni croniche degli organi pelvici cui può conseguire infertilità, la dismenorrea, la dispareunia, la formazione di coaguli (che può portare alla raccolta nell'addome di notevoli quantità di sangue, a volte talmente cospicue da simulare una gravidanza), la calcolosi urinaria, danni renali ecc. In alcuni paesi, mutilazioni vengono inflitte a scopo punitivo e deterrente, come per es. il taglio della mano nei colpevoli di furto. Diffusione pressoché universale hanno invece le automutilazioni, intendendosi con tale termine tutte le manovre autolesionistiche, indipendentemente dalle conseguenze sia anatomiche sia funzionali che comportano. Possono essere espressione di gravi malattie mentali come la schizofrenia o le sindromi maniacodepressive (ove l'incidenza può raggiungere l'1%), oppure essere indotte allo scopo di procurarsi in maniera fraudolenta un qualche vantaggio, per lo più in ambito assicurativo o militare. Queste lesioni autoindotte configurano una particolare ipotesi di truffa, consistente nel cagionare a sé stesso un danno fisico personale o nell'aggravare le conseguenze di quello prodotto da un infortunio, al fine di ottenere il premio di un'assicurazione o un più elevato indennizzo, oppure l'esenzione da servizi considerati disagevoli o pericolosi. Vanno infine ricordate alcune mutilazioni o automutilazioni, assai frequenti in alcune società primitive, aventi significato sacrificale o apotropaico, ovvero intenzione ornamentale o estetica. A quest'ultima categoria vanno ricondotte anche alcune pratiche attualmente assai diffuse soprattutto tra i giovani e considerate alla moda e trasgressive, quali il piercing e il tatuaggio (v. decorazione; tatuaggio), non prive di pericoli soprattutto per quanto riguarda la possibilità di trasmissione di gravi infezioni virali, per es. quella da HIV (Human immunodeficiency virus).
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