muto
Propriamente chi è " privo di favella " per difetto di natura: Dentro da l'uomo possono essere due difetti e impedi[men]ti: l'uno da la parte del corpo, l'altro da la parte de l'anima. Da la parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte... sì come sono sordi e muti e loro simili (Cv I I 3). Così, in una sorta d'implicita comparazione, a proposito delle molte gioie care e belle che si trovano in cielo: chi non s'impenna sì che là sù voli, / dal muto aspetti quindi le novelle (Pd X 75), chi con la virtù non sa innalzarsi a gustarle direttamente non creda che altri possa descriverle: sarebbe come se ne (quindi) attendesse notizia da un muto.
Con valore di sostantivo neutro e leggero scarto di significato, in Pg XIII 76 Ben sapev'ei [Virgilio] che volea dir lo muto: Virgilio sapeva bene che cosa volesse dire " il silenzio " di D., quale taciuto desiderio esprimesse, " però ch'elli per entro li pensieri guardava col senno " (Ottimo).
Negli altri casi è usato come aggettivo (anche in funzione predicativa), e sempre col senso di " silenzioso ", " che non parla ", o per vergogna (Quali fanciulli, vergognando, muti / con li occhi a terra stannosi, Pg XXXI 64) o perché distratto da altro pensiero (s' i' fui, dianzi, a la risposta muto, / fate i saper che 'l fei perché pensava / già ne l'error che m'avete soluto, If X 112), oppure perché invaso da intensi sentimenti (Certo tra esso e 'l gaudio mi facea / libito non udire e starmi muto, Pd XXXI 42).
Il prolungato silenzio del conte Ugolino e dei suoi (lo dì e l'altro stemmo tutti muti, If XXXIII 65) nasce invece da più complesse ragioni. Nota il Tommaseo: " Due dì stanno tutti muti, non solo per la rinchiusa ambascia alla quale ogni sfogo sarebbe poco, non solo per non si angosciare a vicenda, ma perché la fame li ha mezzo sepolti in quel suo letargo ch'è tra l'obblivione e il sentimento, tra la morte e la vita "; ma in genere i commentatori puntano essenzialmente su motivi psicologici. Così il Porena: " il silenzio disperato di chi non potrebbe dir cosa che non accrescesse il terrore e l'orrore. Questo silenzio è forse la manifestazione più tragica di quella tremenda tragedia ".
Due volte è riferito a ‛ lingua ': al saluto di Beatrice ogne lingua deven tremando muta (Vn XXVI 5 3), si fa m. per il tremore; modulo tipico, con qualche variazione, dello stilnovismo (cfr. G. Cavalcanti Chi è questa che ven 3-4 " parlare / null'omo pote, ma ciascun sospira? ") ma, con tutta probabilità, di origine mistica: " Quanno iubel se scalda, / si fa l'omo cantare, / e la lengua barbaglia / e non sa che parlare " (Iacopone O iubelo del core 3-6).
All'opposto, dinanzi alla fama di magnificenza che promana da Cangrande, gli stessi nemici non... potran tener le lingue mute (Pd XVII 87), non potranno fare a meno di esprimere lodi, di parlare con lodi.
Per un trasferimento dell'aggettivo al campo linguistico riguardante sensazioni visive, il loco d'ogne luce muto (If V 28) vale luogo " privato " di ogni luce, sulla stessa linea figurativa di là dove 'l sol tace (I 60) e lo fioco lume (III 75), così come l'uso di ‛ silenzio ' per indicare ‛ assenza ' era un " traslato di buona tradizione classica " (Pagliaro, Ulisse 40).
Infine, a proposito delle facoltà vegetative e sensitive superstiti nell'anima dopo la separazione dal corpo (l'altre potenze tutte quante mute, Pg XXV 82), vale per chiara metafora " inerti ", " puramente potenziali ".