CLEMENTI, Muzio
Figlio di Niccolò, orafo e cesellatore di argenti, e di Maddalena Kaiser, nacque a Roma il 23 genn. 1752: fu battezzato in S. Lorenzo in Damaso il giorno successivo con i nomi di Muzio, Filippo, Vincenzo, Francesco e Saverio. Poiché mostrava precoci attitudini per la musica, all'età di sei anni il padre lo affidò ad un parente, Antonio Boroni il quale aveva da poco tempo terminato gli studi al conservatorio della Pietà dei Turchini a Napoli. L'anno seguente il C. continuò gli studi con l'organista G. Cordicelli e, successivamente, per il contrappunto con G. Carpani, maestro di cappella della chiesa del Gesù, e per il canto con l'abate G. Santarelli. I suoi progressi furono molto rapidi e l'ambiente romano, che divorava musica teatrale e liturgica, conservando tuttavia un sotterraneo interesse per la musica da camera, scoprì presto il giovane clavicembalista che divenne il beniamino delle sale e dei salotti dell'aristocrazia. Dedicatosi assai presto alla composizione, ad undici anni avrebbe scritto già una messa a quattro voci, a dodici compose un oratorio - Martirio de' gloriosi santi Giuliano e Celso - eseguito in un oratorio filippino. Il 2 novembre 1764, superato l'esame di ammissione, entrò quale organista nella Congregazione di S. Cecilia, due anni dopo venne nominato organista della basilica di S. Lorenzo in Damaso. Fu durante l'anno 1766 che un viaggiatore inglese, Peter Beckford, ebbe l'occasione di sentirlo suonare il clavicembalo in una casa patrizia romana. Intuendone le grandi possibilità, il Beckford convinse la famiglia ad affidargli il ragazzo per portarlo con se in Inghilterra. Fra il facoltoso inglese e il padre del C. venne stipulato un vero e proprio contratto, che, se non aveva i termini di un acquisto - come asserirà più tardi lo stesso Beckford -, certo doveva essere almeno un "noleggio". Esistono tre contratti relativi a questo singolare "acquisto-noleggio", i cui originali, conservati presso case private a Londra e nel Dorset, non sono di pubblico dominio (cfr. Plantinga). Si sa comunque che il Beckford fece dei pagamenti trimestrali a Niccolò Clementi a partire dall'8 sett. 1766 e che tale accordo sarebbe durato fino al ventunesimo compleanno del C., cioè fino al gennaio del 1773. Non è documentata la data esatta dell'arrivo in Inghilterra del C., che, per il suo incarico di organista della basilica di S. Lorenzo in Damaso, venne pagato fino a tutto il mese di agosto del 1766: da questo momento, secondo quanto si legge in un documento conservato presso la basilica, datato 14 sett. 1766, venne assunto un altro organista "Essendo andato in Inghilterra il S.r Muzio" (Roma, Acta Capit. Basil. S. Laurentii in Damaso, vol. B, ad annum, f. 236v). È certo però che il Beckford tornò in Inghilterra solo alla fine del 1766 o all'inizio del 1767, dopo essere stato a Napoli e poi di nuovo, ma solo di passaggio, a Roma. Un'altra testimonianza viene ad accrescere le incertezze su questo breve periodo della vita del Clementi. Nell'aprile del 1785, infatti, venne rilasciato dal cardinale vicario di Roma un certificato di stato libero - evidentemente su richiesta dello stesso C. che intendeva sposarsi - in cui è attestato che il C. visse sempre in Roma dalla nascita fino al mese di giugno del 1767. Incerta rimane quindi la data precisa del suo arrivo nella proprietà di Steepleton Iwerne nel Dorset, dove rimarrà effettivamente sette anni come stabiliva il contratto. Durante questo periodo il C. studiò intensamente pianoforte e composizione senza alcun insegnante, ma certo assorbendo le influenze che soprattutto da parte italiana esercitavano un notevole peso nell'ambiente musicale inglese. Tra l'altro nella residenza di Steepleton si trovava una raccolta di strumenti musicali, fra cui, oltre al cembalo, anche un fortepiano. Pare risalga intorno al 1770 la composizione delle prime sonate per pianoforte, fra cui quelle che, nel 1779, verranno pubblicate a Londra come Op. 2. Il successo di queste sonate fu immediato ed aiutò il C. nell'inserimento nel mondo culturale e artistico inglese.
Poco chiari sono i motivi della partenza dal Dorset del C., il quale, secondo dicerie diffuse alcuni anni più tardi, decisamente negate dal C., sarebbe stato allontanato indipendentemente dalla scadenza del contratto per aver intrattenuto rapporti galanti con Louisa Rivers, futura moglie di Beckford, anch'essa valente pianista. Nel 1773 lasciò Steepleton per trasferirsi a Londra, dove qualche anno dopo fu scritturato dal King's Theatre in Haymarket come maestro al cembalo. Nella capitale inglese non tardò a farsi un nome come insegnante e pianista: il primo concerto di cui si ha notizia è del 3 apr. 1775 e vi presero parte, oltre al C., l'oboista John Parke e il violoncellista Giacomo Cervetto. Nel 1180, anche su consiglio del sopranista Gaspare Pacchierotti, decise di farsi conoscere come esecutore al di qua della Manica ed intraprese una tournée che ebbe inizio nell'estate a Parigi, dove suonò con notevole successo alla corte di Luigi XVI. Proseguì per Strasburgo, dove si trattenne diversi mesi dando lezioni e concerti; il 21 nov. 1781 arrivò a Monaco di Baviera e un mese dopo (il 19 dicembre) era a Vienna. Qui ebbe luogo, il 24 dic. 1781, la celebre gara di esecuzione pianistica fra il C. e Mozart alla corte dell'imperatore Giuseppe II.
Di questo incontro riferisce lo stesso Mozart in una lettera al padre (16 genn. 1782): "Veniamo a Clementi. È questi un bravo cembalista, e con ciò è detto tutto. Ha molta speditezza nella mano destra, i suoi passaggi favoriti sono le terze. Per il resto, non ha un briciolo di gusto e di sentimento: un puro virtuoso". In una lettera successiva (7 giugno 1783) Mozart ritorna a parlare del C. riferendosi ad una sua sonata: "Chiunque suona o ascolta questa composizione capisce di persona che essa non ha nessun significato... Clementi è un ciarlattano, come del resto tutti gli stranieri [italiani]... Ciò che egli eseguisce in maniera veramente impeccabile sono i passaggi di terza; ma ha studiato a Londra giornate e nottate intere. All'infuori di questo egli non ha nulla, assolutamente nulla: nemmeno il minimo sentore del gusto e quanto al sentimento, ancora meno...". Meno ingeneroso fu il C. verso il suo competitore: "Fino a quel momento non avevo udito nessuno suonare con tanto spirito e tanta grazia. Mi sorpresero soprattutto un adagio e parecchie delle sue variazioni, per le quali il tema era stato scelto dall'imperatore, e che noi dovevamo eseguire in maniera tale che mentre l'uno variava l'altro accompagnava, e viceversa" (Mozart, Autobiografia..., p. 289).
La sosta a Vienna non era stata programmata dal C., il quale inizialmente aveva pensato di recarsi, dopo Parigi, a Berlino e a Bordeaux. Poi, su consiglio di alcuni amici, si recò a Vienna per poter avere l'opportunità di fare la conoscenza del granduca di Russia, il futuro zar Paolo I. Che il C. desse concerti a Vienna, come scrive Mozart in una lettera, non è documentato. Il 19 maggio 1782 il C., dopo, aver affidato all'editore Artaria le ultime tre sonate Op. 7, iniziò il viaggio di ritorno attraverso Lione, dove dette un concerto il 29 maggio, e Zurigo. A Lione impartì lezioni alla giovane figlia di un banchiere, Marie-Victoire Imbert Colomès, e se ne innamorò. Dopo uno scambio epistolare e una domanda di matrimonio respinta, due anni dopo (maggio 1784) tornò da Londra a Lione, dove "rapì" la fanciulla e fuggì con lei. Ma il padre li raggiunse sulla via per Berna e l'avventura ebbe termine. A Berna il C. rimase alcuni mesi, poi, all'inizio del 1785, fu forse a Roma: l'11 febbraio era morta la madre. Alla fine di maggio tornò a Londra da dove non si mosse fino al 1802.
Favorito anche dall'esperienza acquisita sul continente il C. consolidò il suo prestigio ed allargò la sua attività. Affrontò la composizione per orchestra e fece eseguire sue sinfonie agli Hanover Square Great Professional Concerts; intensificò l'attività didattica - nel 1790 vennero pubblicati a Londra i Preludi ed esercizi -: i suoi allievi B. A. Bertini e J. Field vennero presentati al pubblico (nel 1783 fu suo allievo assiduo anche J. B. Cramer). Nel 1798 iniziò l'attività editoriale associandosi a J. Longman e, successivamente, a W. F. Collard e altri. In società con Collard, inoltre, aprì una fabbrica per la costruzione e la vendita di pianoforti. Nel 1802 intraprese un nuovo viaggio sul continente, dividendo il suo tempo tra la attività concertistica e didattica e quella commerciale legata alla sua esperienza di costruttore ed editore. Nell'estate del 1802, con l'allievo Field, fu ospite a Parigi di I. J. Pleyel, pianista ed editore, poi fu a Vienna presso l'editore D. Artaria, e di qui a Pietroburgo. In Russia si trattenne diversi mesi: impartì lezioni di pianoforte all'aristocrazia, partecipò come solista alle serate del club inglese, aprì depositi di vendita dei suoi pianoforti, affidandoli a Field, il quale prese stabile dimora in Russia. Con Field visitò Riga, Königsberg, Danzica. Nell'estate 1803 fu a Berlino, dove impartì alcune lezioni al giovane G. Meyerbeer e accolse come discepolo Ludwig Berger; fu poi a Dresda, dove conobbe l'editore G. C. Härtel e dette lezioni ad August Alexander Klengel. Ripreso il viaggio, attraverso Praga, giunse a Vienna, dove dette lezioni a F. Kalkbrenner. A Vienna si fermò dalla fine del 1803 alla primavera del 1804: qui, ricercando in archivi e biblioteche, raccolse composizioni vocali e strumentali sconosciute, materiale che poi pubblicherà nei quattro volumi della Selection of Pratical Harmony e nei cinque della Vocal Harmony. Dopo essere stato a Lipsia, dove prese accordi con la casa editrice Breitkopf & Härtel per la pubblicazione delle sue Oeuvres complettes, ritornò a Berlino per sposare (18 sett. 1804) Carolina Lehmann, conosciuta l'anno precedente, figlia di Johann Georg Gottfried Lehmann, maestro di cappella di S. Nicola e direttore del coro alla Königl. Oper di Berlino. Carolina, buona musicista, faceva parte di un cenacolo di artisti e intellettuali che comprendeva, tra gli altri, il poeta Adalbert von Chamisso. Con la moglie fu in Italia, fermandosi a Roma e a Napoli: nel febbraio del 1805 erano di nuovo a Berlino. Il matrimonio ebbe breve durata perché la moglie morì pochi giorni dopo aver dato alla luce (8 ag. 1806) il figlio Carlo: questi rimarrà ucciso intorno al 1830, a Londra, maneggiando una pistola.
Agl'inizi del 1806 il C. tornò a Pietroburgo in compagnia degli allievi Berger e Klengel. L'anno seguente, a Vienna, lo raggiunse la notizia che un incendio a Londra aveva parzialmente distrutto la sua fabbrica di pianoforti. Dovette poi recarsi a Roma dove la morte del fratello Gaetano (21 sett. 1806) aveva lasciato aperti problemi di successione. Tra l'inverno 1807 e la primavera 1808 fu a Milano, dove fece la conoscenza di Bonifacio Asioli. Nell'autunno era di nuovo a Vienna, dove la difficile situazione finanziaria aggravata dalle guerre napoleoniche lo costrinse a riprendere le lezioni di pianoforte. In questo periodo ebbe tra gli allievi Ignaz Moscheles e Carl Czerny. Finalmente, ristabilita la pace fra Austria e Francia, poté ritornare in Inghilterra nell'estate del 1810.
Iniziò l'ultimo periodo della sua esistenza, ricco di fervore creativo e di serena attività. Il 6 luglio 1811 sposò Emma Gisborne, da cui ebbe quattro figli: Vincenzo, Cecilia Susanna, Carolina e Giovanni. Appartengono a quest'epoca i due Capricci op. 47, le tre Sonate op. 50 (dedicate a L. Cherubini) e i cento studi del Gradus ad Parnassum. Nel 1814 ebbe la nomina a membro dell'Accademia di Stoccolma, in sostituzione di A. Grétry, morto l'anno precedente. Compì ancora qualche viaggio sul continente: nel 1817 a Parigi e a Francoforte sul Meno, nel 1820 di nuovo a Parigi, nel 1821 a Monaco, nel 1822 a Lipsia. Nel 1828 prese congedo dall'attività artistica suonando per l'ultima volta il cembalo in un concerto della Philharmonic Society, alla cui fondazione aveva partecipato nel 1813. Si ritirò a vivere in campagna: prima nella residenza estiva di Elstree, poi a Elm Lodge nel vasto possedimento di Evesham nel Worcestershire. Qui, dopo breve malattia, morì il 10 marzo 1832. I funerali ebbero luogo a Londra e fu seppellito nel chiostro della abbazia di Westminster.
Ancora oggi trascurata in sede concertistica e non adeguatamente rivalutata storicamente, la personalità del C. è senz'altro degna di figurare sullo stesso piano dei maggiori compositori di ogni epoca. Ha nuociuto forse al C. l'essere contemporaneo di Haydn, Mozart e Beethoven e quasi una sorta di timore reverenziale verso questi tre grandi, che ha fatto apparire "minori" musicisti quali Boccherini, ha spesso impedito e comunque ritardato la giusta rivalutazione della personalità artistica del maestro romano.
La produzione del C. va considerata quale tipica espressione del periodo classico, al di là del secondo stile galante anteriore al romanticismo giusto anello di congiunzione ideale fra il Settecento illuministico e l'Ottocento rivoluzionario.
Probabilmente il C. non fu ignaro di questa sua posizione storica, essendo egli vissuto abbastanza a lungo ed avendo viaggiato per tutta l'Europa in un arco di tempo in cui si passò dall'assolutismo alle rivoluzioni, dalla Restaurazione ai primi moti liberali: tutti momenti che egli visse in proprio, dall'iniziale sudditanza a Steepleton alla libera attività di concertista, editore di musica e costruttore di pianoforti. In tutto questo agitarsi di ideologie, di pensieri e di rivolgimenti sociali - basti solo pensare alla Rivoluzione francese ed alle guerre napoleoniche - il C. mantenne sempre una linearità, una costante invidiabile di coerenza musicale dall'inizio alla fine: tanto grande e tanto forte la sua chiarezza da riuscire a non soccombere sotto gli influssi della cultura illuministica o dei nuovi fermenti romantici.
Come pianista e come compositore di sonate per pianoforte, il C. fu del tutto autodidatta. Gli insegnanti che ebbe da ragazzo a Roma lo prepararono in maniera perfetta nella conoscenza di tutti i segreti della musica - sappiamo quale fosse la serietà della scuola romana del Sei e Settecento -; ma il vero C. nacque in Inghilterra fra i quattordici e i diciotto anni di età. Non risulta che a Steepleton Iwerne, nella proprietà di Peter Beckford, il C. avesse a disposizione alcun insegnante. Ha del miracoloso come egli da solo abbia intuito i mezzi del nuovo strumento - il fortepiano - e come sia riuscito a comporre indiscutibilmente per esso (nonostante le varie lezioni "per clavicembalo o fortepiano"), e ad "inventare" per sé e per gli altri una tecnica per questo strumento. A differenza di molti altri clavicembalisti-compositori che solo in parte intuirono le possibilità del nuovo strumento - schiera di compositori che va da G. B. Platti a C. P. E. Bach -, il C. ne comprese in pieno sia le possibilità armoniche ed espressive sia le difficoltà tecniche derivanti dal diverso tipo di meccanica e consapevolmente creò il nuovo linguaggio pianistico.
La Sonata in do maggiore dell'Op. 2 - composta intorno ai diciotto anni di età - rivela come il C. abbia avuto fin dall'inizio il completo dominio della forma, intuendo come le più ampie sonorità del pianoforte rispetto al clavicembalo richiedessero una adeguata scrittura musicale, problema che il C. risolse con la dilatazione della tastiera (questa sonata richiede infatti una estensione di sei ottave), con passaggi di bravura, con passi di note doppie, cioè terze, seste e ottave. Il progressivo abbandono dei settecenteschi abbellimenti - ad eccezione del trillo, nell'esecuzione del quale il C. eccelleva particolarmente - lo costrinse e gli offrì l'occasione di abbandonarsi a lunghe sequenze di scale ascendenti e discendenti. Questo tipo di pianismo virtuosistico sarà la costante della produzione clementina, la sua caratteristica e non il suo limite, ché, dove volle, non ne abusò riuscendo ugualmente a creare atmosfere pregne di musicalità: tipicamente clementini sono quei passi lenti in cui con poche note riesce a rendere denso il tessuto armonico.
Nelle successive sonate il C. si preoccupò di consolidare l'unità della forma-sonata creando un'unica matrice in cui vengono fusi i due temi; ma nel C. le opposizioni dei temi non assumono mai urgenza drammatica né si presentano contrapposti violentemente: la dialettica del dualismo tematico è nelle diverse funzioni attribuite ai due temi nel sostenerla e nella diversa e opposta configurazione del clima sonoro. Questo espediente di far derivare i due temi della forma-sonata da un'unica matrice il C. lo riprese da Haydn, evitando però di confondere i due temi ma lasciando ad ognuno di essi la propria caratteristica richiesta dalle distinte funzioni.
Nelle sonate dell'Op. 12 sono facilmente riscontrabili anticipazioni beethoveniane di stile e di scrittura. Ma il beethovenismo ante litteram del C. non è dovuto, come rileva R. Allorto, ad una sorta di intuizione che anticipa manifestazioni estetiche posteriori, ma piuttosto alla intuizione delle risorse sonore del pianoforte, alla tendenza dell'esecutore a vagliare tutte le zone della tastiera e a trasferirsi rapidamente da un'estremità all'altra di essa, quasi volendo imitare i cambiamenti di timbro dell'orchestra e gareggiando con i complessi strumentali più vasti e vari per formazione timbrica.
Dopo le sonate Op. 14 (la n. 3, densa di valori drammatici, raggiunge alte estrinsecazioni d'arte) il C. entrò in un periodo di crisi compositiva, per quanto riguarda il pianoforte, per dedicarsi alle composizioni sinfoniche. Le sonate che sono tra l'Op. 14 e l'Op. 23 infatti sono libere da impegni intellettuali e, spesso accompagnate da violino, flauto o violoncello, manifestano i loro limiti nella destinazione a dilettanti o ad allievi di pianoforte. Con le tre sonate Op. 23 si ripresentano nel C. quelle preoccupazioni strutturali che già anni prima lo avevano indirizzato a trovare una cellula unitaria per i due temi della forma-sonata. Poi, dopo la pubblicazione delle sonate Op. 25 - la n. 5 era la prediletta di Beethoven - si ha un nuovo interesse del C. per la creazione sinfonica, cui certo non fu estranea la visita di Haydn a Londra e l'esecuzione delle sue sinfonie. Di questo stesso periodo è l'interesse didattico del C.: nascono i metodi per lo studio strumentale e le "sonatine". Intanto la scrittura pianistica si va integrande con gli apporti della polifonia e del contrappunto, i cui mezzi espressivi sono adottati con sempre maggiore disinvoltura sino a culminare nella sonata n. 1 dell'Op. 40, dove il terzo tempo (un Allegro che è un vero e proprio Scherzo di stampo beethoveniano) si presenta come un rigoroso canone all'ottava: per moto retto nella prima parte, per moto contrario nella seconda che modula al relativo modo minore. Questo procedimento, più che da un ritorno del C. alla polifonia cinquecentesca, deriva da un nuovo fermento la cui origine è da ricercarsi nella vivacità spirituale, nella sua volontà di ampliare le possibilità espressive del pianoforte. Ormai lontano il mondo dello stile galante, "la tendenza orchestrale che le sonate clementine erano venute via via sviluppando, porta l'autore a riammettere sullo strumento a tastiera quella discorde contesa del rilancio imitativo, del gioco fra voci di uguale autorevolezza che l'estetica del Settecento aveva condannato e che la pratica musicale preclassica e la classica di Haydn e Mozart aveva confinato fra le austerità dotte della musica sacra" (Allorto). Le tre sonate Op. 40, che raccolgono trent'anni di ricerche attraverso le quali la scrittura pianistica ha compiuto progressi enormi, sono tra le creazioni più alte del C. per sapienza strumentale e ricchezza espressiva.
Poi, per oltre quindici anni, il C. non pubblicò più sonate per pianoforte, assorbito dai viaggi, dalle vicende familiari, dalle composizioni sinfoniche e dalla preparazione dei cento studi del Gradus. Nel 1821 apparvero i due Capricci in forma di sonata Op. 47, che costituiscono la sintesi del pianismo clementino giunto alla sua ultima fase. In essi sono avvertibili non solo l'influsso di quello stile beethoveniano che il C. stesso aveva contribuito a formare, ma anche prodromi di atteggiamenti propri della scrittura romantica che saranno in Schubert e in Schumann. Le tre sonate Op. 50, dedicate a L. Cherubini, rivelano un ulteriore progresso per quanto riguarda l'armonia, concentrata e densa, pregna di irrequietezza modulante; in una soprattutto, la cosiddetta Didone abbandonata, raggiunse, degno canto del cigno, i più alti vertici della sua arte.
Profondo conoscitore della meccanica del nuovo strumento, costruttore egli stesso, il C. fu il creatore di una tecnica che sarà da quel momento in poi la base necessaria per chiunque, compositore od esecutore, si avvicinerà al pianoforte. Non è inutile ricordare che suoi allievi furono J. B. Cramer, I. Moscheles, B. A. Bertini, C. Czerny, compositori a loro volta di studi, esercizi e metodi per il pianoforte. Suo allievo fu anche quel Francesco Lanza che introdusse in Napoli la scuola del Clementi.
Nel 1801 Pleyel pubblicò a Parigi Méthode pour le Piano-Forte conténant les éléments de la Musique et les Leçons préliminaires sur le doigté,accompagnées d'exemples,et suivies de 50Leçons doigtées,par les compositeurs les plus célèbres,tels que Haydn,Mozart,Haendel,Corelli,Rameau etc. L'opera, che ebbe larghissima diffusione, fu stampata nello stesso anno a Londra e l'anno successivo ancora a Parigi con il titolo Introduction à l'art de toucher le piano,contenents les premiers éléments de la musique,les notions nécessaires du doigter expliquées par des exemples et 50leçons servants à l'exercise du doigter dans les tons majeur et mineur les plvs usités d'après les meilleurs compositeurs des differents temps,précedès decourts préludes,composés par l'Auteur; apparve poi a Vienna, Offenbach, Lipsia. La prima edizione italiana, traduzione della quinta edizione francese di Parigi, fu pubblicata a Bologna intorno al 1830. Nell'"Avvertimento dell'autore", premesso all'opera, il C. manifestò la consapevolezza della sua posizione storica nell'evoluzione del nuovo strumento: "mio scopo si è quello d'indicare alle persone che si dedicano all'insegnamento del medesimo la miglior strada da seguirsi, onde renderne lo studio più facile e più gradevole ai loro allievi". Egli stesso quindi si considerò insegnante degli insegnanti. L'opera può considerarsi divisa in due parti: la prima teorica, la seconda, molto più estesa, pratica. Nella prima parte, oltre a tutte le nozioni fondamentali di teoria - tra l'altro per il C. era un fatto acquisito l'estensione della tastiera di sei ottave e mezza -, l'autore prescrive quale debba essere la corretta posizione del corpo e delle mani, distingue il "legato" dallo "staccato" ("Questa opposizione dello Staccato al Legato forma un contrasto che produce il più grande effetto. La giusta applicazione di questo precetto non può essere addimostrata con esempi: il gusto ed il sentimento l'inspirano"), fornisce utili consigli come quello di studiare a mani separate ed adagio, dà notevole rilievo all'importanza della diteggiatura ed alla necessaria padronanza delle scale in tutte le tonalità, maggiori e minori. La seconda parte comprende esercizi-formule per ambedue le mani, brevi brani originali o trascrizioni di vari autori - i più rappresentati sono Haydn, Mozart, Corelli, Haendel, ma vi sono anche composizioni di Beethoven, Paisiello, Martini, Scarlatti, Bach, Paradisi ecc. -, e i ventiquattro preludi ed esercizi che erano già stati pubblicati a Londra nel 1790. Al termine della lezione cinquantatreesima, - una breve Aria russa di sedici battute - vi è la seguente indicazione: "L'Allievo può da questo punto esercitarsi sopra le sonatine di Clementi op. 36". Il C. fu l'inventore della sonatina, composizione a carattere didattico che mantiene la forma e i caratteri generali della sonata, pur entro dimensioni ridotte e con una sensibile semplificazione delle difficoltà tecniche. Nelle sei sonatine Op. 36, tutte in tre tempi tranne l'ultima in due, vengono tra l'altro affrontati alcuni problemi di diteggiatura, dell'uso del legato e dello staccato, delle contrapposizioni di diversi livelli di sonorità.
Particolare interesse riveste per il C. il problema della diteggiatura, mentre dell'uso dello staccato e del legato si è già detto come il C. ne desse ampie spiegazioni nel suo Méthode. Quanto al problema del tocco, pur se il C. non ne parla, è chiaro che le sonatine offrono all'allievo l'opportunità di affrontare ben presto problemi di stile. Ma oltre a questi intendimenti chiaramente didattici, c'è da dire che l'invenzione melodica nelle sonatine è sempre fresca e viva, mai lasciando spazio al puro tecnicismo o a vuoti di fantasia. Altresì sono raggiunti momenti di intensa riflessione, sorretti da un tessuto armonico scarno nella scrittura e pur denso nell'effetto, nell'Unpoco adagio della sonatina n. 3 e nell'Andantecon espressione della n. 4.
I cento studi del Gradus ad Parnassum costituiscono l'impegno più ambizioso del Clementi. Divisi in tre volumi (I, nn. 1-27; II, nn. 28-50; III, nn. 51-100) pubblicati fra il 1816 e il 1827, raccolgono tutte le esperienze tecniche, compositive e di stile che il C. si era andato formando nell'arco di circa cinquanta anni di attività di pianista, compositore e costruttore di pianoforti. Tutte le difficoltà tecniche - terze, seste, ottave, scale, arpeggi, articolazione, rotazione del polso, diteggiatura ecc. - sono in essi rappresentate e costituiscono a tutt'oggi il bagaglio virtuosistico di ogni pianista. Particolarmente significativo dal punto di vista tecnico è il fatto che tre dei quattro studi (nn. 1, 10, 27 e 55) dedicati dal C. al problema delle note ribattute nascono quando ancora non era stato inventato - (lo sarà solo nel 1823 ad opera del francese S. Erard) - il doppio scappamento, che avrebbe reso me-no ostica la loro esecuzione. L'interesse del C. per la polifonia è manifesto nel Gradus, in cui nove fughe (nn. 13, 25, 40, 43, 45, 54, 57, 69 e 74), due fugati (nn. 18 e 90), sei canoni (nn. 26, 33, 63, 67, 75, 84) ed altri studi, come i nn. 29 e 52, con caratteristiche del genere polifonico, ne sono eloquente testimonianza. Numerosi sono i brani precedentemente pubblicati dal C. e inseriti nel Gradus più o meno modificati: il n. 69 è la sonata n. 5 (una fuga) tratta da Cinque sonate per pianoforte o clavicembalo e Un duo per due pianoforti Op. 1 (Parigi 1780-81); le tre fughe nn. 57, 40 e 25 sono rispettivamente la prima, seconda e terza fuga pubblicate insieme con tre sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di violino Op. 5 (Parigi 1780-81); le tre fughe nn. 45, 13 e 74 sono rispettivamente la prima, seconda e terza fuga pubblicate insieme con un duo e due sonate per pianoforte e clavicembalo con accompagnamento di violino Op. 6 (Parigi 1780-81); il n. 14 è l'adagio del primo del tre duetti Op. 14 (Londra 1786).
Rispetto alle raccolte piùfamose di studi per pianoforte, laddove quelli di Cramer e di Czerny hanno importanza quasi esclusivamente per l'insegnamento e quelli di Chopin esulano dal ristretto campo della didattica, i cento studi del Gradus riescono a creare un connubio fra l'insegnante e l'artista, proprio grazie a quelle qualità della personalità del C., che sono l'equilibrio, la lucidità, la padronanza della ragione sugli impulsi del sentimento.La recente ricostruzione, con relativa stampa ed incisione discografica, di quattro sinfonie del C. ha gettato nuova luce sulla complessità e sull'importanza della figura del maestro romano. Note sono le peripezie cui furono sottoposti gli autografi delle composizioni sinfoniche del Clementi.
La sua seconda moglie, Emma Gisborne, lasciò gli autografi ad una delle figlie, la quale a sua volta li lasciò al figlio rev. P. Clementi Smith, in seguito rettore di St. Andrew by the Wardrobe in Londra. Questi vendette tutto il fondo in suo possesso al musicologo W. H. Cummings, rivelandogli che due grandi pacchi, contenenti principalmente partiture e parti, nonché lo sconosciuto oratorio in lingua inglese Daniel, erano stati erroneamente gettati tra i rifiuti da una ragazza che lavorava nella sua casa. Così si spiega la parziale mutilazione di queste musiche e la quasi totale scomparsa delle parti nonostante le numerose esecuzioni avvenute. Il fondo appartenente al Cummings fu venduto dopo la sua morte (1917) all'asta della casa Sotheby di Londra ed acquistato da C. Engel per conto della Library of Congress di Washington. Un'altra parte degli autografi delle composizioni sinfoniche del C. è alla British Library di Londra.
Sappiamo che il C. pubblicò solo due sinfonie, come Op. 18, nel 1787. Sappiamo altresì che egli stesso diresse numerose esecuzioni di altre sue sinfonie - a Londra, Parigi, Monaco, Lipsia -, ma che queste non furono mai pubblicate, anche se, almeno per una di esse, vi giunse assai vicino. Certo il confronto con i lavori sinfonici dei suoi grandi contemporanei lo costrinse continuamente a "maturare, limare, pensare, rifare, aggiungere" (P. Spada), senza mai giungere alla piena soddisfazione di se stesso.
Le sinfonie sono di stampo ottocentesco e il loro taglio le pone, sia per l'ampiezza che raggiunge sempre venticinque-trenta minuti di durata e li supera anzi nella Terza sinfonia, sia per il tessuto strumentale, di una "opulenta sontuosità" sostenuta dall'uso costante del trio dei tromboni, nell'ambito della concezione beethoveniana e schubertiana. Esse stanno a dimostrare come il musicista, senza che ne restasse scalfita la intima essenza della sua natura, fosse sempre sensibile a tutti gli stimoli culturali del tempo. Ovviamente sopravvivono alcuni elementi "conservatori" del C., come l'adozione del minuetto al posto dello scherzo beethoveniano. Il primo tempo è sempre costruito in forma-sonata, modello caro al C. fin dai suoi primi lavori, ma è da sottolineare il fatto che - in maniera chiara nella Prima sinfonia - il C. accoglie la differenziazione tra le due idee principali, i cosidetti temi maschile e femminile. Da ricordare infine la sorta di omaggio che il C. volle offrire a quella che fu la sua seconda patria con la Terza sinfonia, "Great National Symphony", che prende il titolo dal secondo movimento, Andante un poco mosso, dove è usato come base tematica il God Save the King.
Il C. pubblicò (a Londra, salvo altra diversa indicazione): Sei sonate per clavicembalo o pianoforte Op. 1 (J. Welcker, 1771); Cinque sonate per pianoforte o clavicembalo e Un duo per due pianoforti Op. 1 (Parigi, A. Bailleux 1780-1781); Sei sonate per pianoforte o clavicembalo - di cui tre con accompagnamento di flauto o violino, Op. 2 (J. Welcker, 1779); Tre duetti per pianoforte a quattro mani e Tre sonate con accompagnamento di flauto e violino Op. 3 (J. Welcker, 1779); Sei sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di violino o flautoOp. 4 (Clementi presso Welcker, 1780); Tre sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di violino e Tre fughe per clavicembalo Op. 5 (Parigi, A. Bailleux, 1780-1781); Un duo e due sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di violino e Tre fughe per clavicembalo Op. 6 (Parigi, A. Bailleux, 1780-1781); Tre sonate per clavicembalo o pianoforteOp. 7 (Vienna, Artaria, 1782); Tre sonate per pianoforte o clavicembalo Op. 8 (Lione, Castaud, 1784); Tre sonate per clavicembalo o pianoforte Op. 9 (Vienna, Artaria, 1783); Tre sonate per clavicembalo o pianoforte Op. 10 (Vienna, C. Torricella, 1783); Una sonata per pianoforte e Una toccata per clavicembalo o pianoforte Op. 11 (J. Kerpen, 1784); Quattro sonate per pianoforte e Un duetto per due pianoforti Op. 12 (J. Preston, 1784); Sei sonate per pianoforte - di cui tre con accompagnamento di violino o flauto - Op. 13 (Clementi, 1785); Tre duetti per pianoforte a quattro mani Op. 14 (Clementi, 1786); Tre sonate per pianoforte con accompagnamento di violino Op. 15 (Clementi, 1786); La Chasse per clavicembalo o pianoforte Op. 16 (Longman & Broderip, 1787); Capriccio per clavicembalo o pianoforte Op. 17 (Longman & Broderip, 1787); Due sinfonie Op. 18 (Longman & Broderip, 1787); Musical Characteristics, collezione di preludi e cadenze per clavicembalo o pianoforte (composti nello stile di Haydn, Kozeluch, Mozart, Sterkel, Vanhal e dell'autore) Op. 19 (Longman & Broderip, 1787); Sonata per pianoforte o clavicembalo Op. 20 (Longman & Broderip, 1787); Tre sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di flauto e violoncello Op. 21 (Longman & Broderip, 1788); Tre sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di flauto e violoncello Op. 22 (J. Dale, 1788); Tre sonate per pianoforte oclavicembalo Op. 23 (Longman & Broderip, 1790); Due sonate per pianoforte Op. 24 (S. Storace, 1788-1789, in Storace's Harpsichord Collection); Sei sonate per pianoforte Op. 25 (J. Dale, 1790); Sonata per pianoforteo clavicembalo Op. 26 (Clementi presso Preston & Son, 1791); Tre sonate per pianoforteo clavicembalo con accompagnamento di violino e violoncello Op. 27 (Longman & Broderip, 1791); Tre sonate per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di violino e violoncello Op. 28 (Preston & Son, 1792); Tresonate per pianoforte con accompagnamento diviolino e violoncello Op. 29 (J. Dale, 1793); Sonata per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di violino Op. 30 (J. Dale, 1794); Sonata per pianoforte o clavicembalo con accompagnamento di flauto Op. 31 (J. Dale, 1794); Tre sonate per pianoforte con accompagnamento di flauto e violoncello Op. 32 (Preston & Son, 1793); Tre sonate per pianoforte Op. 33 (Longman & Broderip, 1794); Due sonate e Due capricci per pianoforte Op. 34 (Clementi presso Gray, 1795); Tre sonate per pianoforte con accompagnamento di violino e violoncello Op. 35 (Preston & Son, 1796); Sei sonatine per pianoforte Op. 36 (Longman & Broderip, 1797); Tre sonate per pianoforte Op. 37 (Id., 1798); Dodici valzer per pianoforte con accompagnamento di tamburino e triangolo Op. 38 (Id., 1798); Dodici valzer per pianoforte con accompagnamento di tamburino e triangolo Op. 39 (Longman, Clementi & C., 1800); Tre sonate per pianoforte Op. 40 (Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, 1802); Sonata per clavicembalo o pianoforte Op. 41 (Vienna, Artaria, 1804); Introduction to the Art of playing on the Piano Forte Op. 42 (Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, 1801); Appendix to the Fifth Edition of Clementi's Introduction to the Art of playing on the Piano Forte Op. 43 (id., 1811); Gradus ad Parnassum or the Art of playing on the Piano forte Op. 44 (Clementi, Banger, Collard, Davis, & Collard, I, 1817; II, 1819; III, 1826); Sonata per pianoforte Op. 46 (Clementi, & C., 1820); Due capricci per pianoforte Op. 47 (Clementi, Collard, Davis & Collard, 1821); Fantasia con variazioni sull'aria "Al Chiaro di luna" per pianoforte Op. 48 (Clementi & C., 1821); 12 Monferrine per pianoforte Op. 49 (Clementi & C., 1821); Tre sonate per pianoforte Op. 50 (Clementi, & C., 1821).
Le composizioni pubblicate senza numero d'opera sono: l'oratorio Martirio de' gloriosi santi Giuliano e Celso (Roma 1764, libretto di A. Galli; la musica è perduta); The Black Joke, con ventuno variazioni per pianoforte o clavicembalo (J. Welcker, 1777); Sonata in fa maggiore per pianoforte o clavicembalo (1789-1790) circa, nella collezione Corri); Due canzonette per clavicembalo o pianoforte (Vienna, Artaria, 1792); Cinque variazioni su un minuetto composto da Collick (Longman & Broderip, 1793); Sonata in do maggiore per pianoforte con accompagnamento di flauto e violoncello (Longam & Broderip, 1794); Selection of Practical Harmony,for the Organ or Piano Forte; containing Voluntaries,Fugues,Canons & other Ingenious Pieces,by the Eminent Composers, 4voll. (Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, I, 1808; II, 1802; III, 1811; IV, 1815: contiene brani di P. Agostini, J. G. Albrechtsberger, C. P. E. Bach, J. C. Bach, J. C. F. Bach, J. E. Bach, J. S. Bach, W. F. Bach, C. Caresana, J. E. Eberlin, C. F. Fasch, G. Frescobaldi, G. F. Händel, F. J. Haydn, J. P. Kirnberger, F. W. Marpurg, G. B. Martini, W. A. Mozart, G. A. Perti, N. Porpora, A. Scarlatti, D. Scarlatti, G. P. Telemann, F. Turini, J. Umstatt); Vocal Harmony: Being a Collection of Gless,Madrigals,Elegies,Quartets,Canzonets, 5 voll. (Clementi, Banger, Hyde, Collard & Davis, 1806-1808); Rondò per clavicembalo o fortepiano (Vienna, Artaria, 1802); Batti Batti per pianoforte, dall'opera Don Giovanni di Mozart, in Operatic Airs (Clementi, Collard, Davis & Collard, 1820); Canon ad diapason, in Apollo's Gift (Clementi & Cramer, 1830).
Ricordiamo inoltre le edizioni moderne. Mentre si è in attesa di una edizione definitiva dell'opera completa del C. o almeno di tutte le sue composizioni pianistiche, negli ultimi anni sono state pubblicate: Sinfoniein re maggiore e in si bem. maggiore Op. 44 (pubblicate dal C. come Op. 18), revisione di R. Fasano, Milano 1959 e 1961, in Anticamusica strumentale italiana; Sonata in labem. maggiore (1765), a cura di P. Spada, ibid. 1972; Tre pezzi per pianoforte a 4 mani (dai Duettini), a cura di P. Spada, ibid. 1972; Sei monferrine, a cura di P. Spada, ibid. 1972; Sei arie russe e tarantella, a cura di P. Spada, ibid. 1972; Concerto in do maggiore per pianoforte e orchestra, revisione di R. Fasano, in Antica musica strumentale italiana, Milano 1966; Nonetto in mibemolle maggiore,per flauto,oboe,clarinetto,fagotto,corno,violino,viola,violoncello,contrabbasso, revisione di P. Spada, in OrpheusItalicus, ibid. 1975; Opere sinfoniche complete: quattro sinfonie, Minuetto pastorale,Ouverture in do maggiore e in re maggiore, a cura di P. Spada, ibid. 1975-1978; 18 Monferrine per pianoforte, a cura di R. Allorto, in Maestri italiani della tastiera, ibid. 1978. L'editore Forni di Bologna ha curato la ristampa anastatica (1974) del Metodo completo pelpiano-forte e della Selection of Pratical Harmony,for the Organ or Piano-Forte. In edizione moderna sono altresì reperibili i cento studi del Gradus, i Preludi ed esercizi e circa una trentina di sonate per pianoforte.
Manoscritti autografi del C. sono conser vati presso le biblioteche di: Basilea (Koch Collection); Berlino Est (Deutsche Staatsbibliothek); Londra (British Library); Parigi (Bibliothèque nationale; Bibliothèque Polonaise); Stanford (Memorial Library of Music; Stanford University Libraries); Stoccolma (Stiftelsen Musikkulturens Främjande); Yale (University Music Library); Washington (Library of Congress).
Fonti e Bibl.: I rapporti del C. con le maggiori figure a lui coeve comporterebbero una sterminata elencazione di opere riguardanti Mozart, Haydn, Beethoven, Cherubini, Cramer, Czerny, Moscheles, Field, ecc. Riportiamo pertanto solo i lavori dedicati direttamente al C. e quelli in cui si fanno riferimenti di particolare importanza. Per una più ampia bibliografia si vedano i testi di G. C. Paribeni, R. Allorto, A. Tyson, L. Plantinga. Notizie in Allgemeine Musikal. Zeitung, I (1799), pp. 74, 86, 400, 519; III (1801), p. 621; V (1803), pp. 196, 578; VI (1804), p. 791; VII (1805), pp. 254, 473, 765; IX (1807), p. 787; X (1808), p. 206; XI (1809), p. 795; XV (1813), p. 19; XVII (1815), pp. 76, 311; XIX (1817), pp. 149, 150, 461, 775, 870; XX (1818), p. 201; XXI (1819), p. 753; XXIII (1821), pp. 12, 17, 22, 261, 285; XXIV (1822), pp. 72, 316, 629, 660, 773; XXV (1823), p. 564; XXVI (1824), p. 831; XXIX (1827), pp. 385, 401; XXX (1828), pp. 95, 194, 328; XXXI (1829), p. 467; XXXIV (1832), pp. 219, 653; notizie in Gazz. mus. di Milano, XXVII (1872), 22, p. 186; XXVIII (1873), 39, p. 312. Cfr. inoltre G. Baini, Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Roma 1828, II, p. 76; C. Ferrari, M. C., in La Gazz. musicale di Milano, XIII (1855), 6, pp. 44 s.; 7, pp. 51 ss.; G. Froio, M. C., la sua vita,le sue opere e sua influenza sul progresso dell'arte, Milano 1878; L. A. 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