NADALINO da Murano
NADALINO (Natalino) da Murano. – Non si conoscono la data di nascita e il patronimico di questo pittore, probabilmente nativo di Murano e attivo a Venezia tra il quarto e il sesto decennio del XVI secolo.
La sua personalità è di difficile e problematica definizione, a causa della mancanza di opere firmate e della scarsa affidabilità delle informazioni trasmesse dalle fonti. Fatta eccezione per una breve ma significativa citazione contenuta in coda alla biografia di Battista Franco nelle Vite di Giorgio Vasari (1568), le maggiori notizie in nostro possesso dipendono in buona misura dal profilo stilato da Carlo Ridolfi nelle sue Maraviglie dell’arte (1648). Si tratta tuttavia di una testimonianza scarsamente affidabile, compromessa dalla prospettiva 'pan-tizianesca' dominante nella critica di primo Seicento e da un palese spirito aneddotico, sintomo della difficoltà a reperire notizie sull’artista già a breve tempo dalla sua scomparsa.
Stando a Ridolfi, la sua formazione avvenne all’interno della bottega di Tiziano Vecellio, del quale Nadalino «riuscì uno dei più eccellenti discepoli» (1648, I, p. 222). In seguito, una volta terminato l’apprendistato nell’atelier del cadorino, Nadalino si sarebbe dedicato prevalentemente alla realizzazione di piccole opere a carattere devozionale che «portava a vendere ai bottegai di Venetia» (ibid.), nonché all’elaborazione di ritratti e composizioni con figure mitologiche e personificazioni, che attirarono presto l’attenzione di importanti collezionisti.
Ridolfi ricorda infatti la presenza di dipinti di Nadalino nelle collezioni di Bartolomeo della Nave, del cavalier Gussoni e di Domenico Ruzzini. Suoi quadri erano registrati anche nelle raccolte del mercante fiammingo Giovanni van Veerle che, tra le altre cose, possedeva una Vergine annunciata «colorita su la via di Tiziano» (ibid.). Altre due opere probabilmente riconducibili a noti prototipi tizianeschi si trovavano pure nelle gallerie del procuratore Angelo Morosini (una Nuda al bagno) e nel ridotto di palazzo Contarini a S. Samuele (una Ninfa e satiro). Nonostante le precise referenze collezionistiche fornite da Ridolfi, nessuna di queste opere può essere rintracciata con certezza. L’unico generoso tentativo svolto in tal senso si deve a Detlev von Hadeln (1913), che ha proposto di assegnare a Nadalino un Ritratto di collezionista (Firenze, Uffizi, inv. P609), oggi però identificato come Ritratto di Raffaele Grassi di Sebastiano Florigerio, e un perduto Ritratto femminile (Germania, coll. privata; ripr. in von Hadeln, 1913, p. 167, fig. 4), che palesa tuttavia referenti stilistici estranei alla cultura figurativa tizianesca.
Un’ulteriore testimonianza dell’attenzione riservata da Ridolfi a Nadalino è offerta da un disegno molto danneggiato raffigurante Ninfe e cupidi, proveniente dall’album assemblato dallo stesso biografo ora conservato a Oxford (Christ Church Picture Gallery, n. R1859), e recante un’iscrizione apocrifa «Nadalino da Murano», che tuttavia si tende ormai ad attribuire ad artista nordico della fine del XVI secolo (Shaw, 1976). Altre opere grafiche di generico ambito tizianesco sono state assegnate a Nadalino anche da Hans ed Erica Tietze (1970), per lo più sulla base di annotazioni non sempre attendibili di antichi inventari.
Tra le opere a destinazione pubblica menzionate dalle fonti antiche, un posto di rilievo spetta alla pala con la Vergine col Bambino, i ss. Sebastiano e Rocco e il donatore Bonetto Sarcinelli, realizzata per l’altare della famiglia Sarcinelli nella cattedrale di Ceneda (odierna Vittorio Veneto, Treviso).
Sull’attribuzione a Nadalino, prospettata per primo da Ridolfi, sono state tuttavia avanzate numerose perplessità. Di recente, sulla scorta di alcune trascrizioni ottocentesche di documenti perduti, è stato proposto in alternativa il nome di Girolamo Dente, tra i principali allievi di Tiziano Vecellio, con una datazione compresa entro la fine del quarto decennio del Cinquecento (Fossaluzza, 1982). Questa ipotesi è stata generalmente accettata con minime riserve dalla critica, che ha comunque evidenziato la necessità di ulteriori approfondimenti contestuali (Tagliaferro, 2009).
In precedenza, sulla base del confronto stilistico con l’opera cenedese, erano state assegnate a Nadalino anche la pala con S. Marco in trono e i ss. Rocco e Sebastiano di Corbolone (Venezia), che oggi però si tende per lo più ad attribuire a Bonifacio Veronese (Lucco, 1978), e una Madonna col Bambino e santi della chiesa di S. Maria nell’Isola di Mezzo in Croazia (Gamulin, 1959-60), la quale tuttavia sembra appartenere a un generico contesto palmesco (Palma il Vecchio).
Contrasta invece con la ricostruzione ridolfiana la breve notizia, fornita da Vasari (1568), della presenza nel cantiere di S. Sebastiano di un «Natalino pittore vinitiano» (la cui identificazione col pittore muranese non ha mai registrato palesi dissensi), che risulterebbe il responsabile del completamento dei teleri parietali della sacrestia principiati, secondo lo storiografo aretino, da Jacopo Tintoretto. La serie, stilisticamente piuttosto eterogenea, è composta da otto dipinti con episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento, eseguiti tra il 1551 e il 1555 sotto la supervisione di Bernardo Torlioni, priore dei gerolamini.
Il ciclo tuttora costituisce uno degli insiemi più interessanti e meno indagati della pittura veneziana della metà del Cinquecento, attribuito a vari pittori veneziani o veronesi operanti nel solco della tradizione bonifacesca (Bonifacio de’ Pitati). Secondo von Hadeln (1913), la mano di Nadalino potrebbe riconoscersi nell’Adorazione dei pastori, forse l’opera più originale dell’intera serie, nella quale sono ravvisabili caratteri morfologici di ascendenza savoldesca, amalgamati in una composizione complessivamente attardata rispetto alle tendenze stilistiche emergenti nel resto del ciclo. Più di recente Enrico Maria Dal Pozzolo, sulla base di un’attenta rilettura del passo vasariano, ha proposto in via congetturale di attribuire a Nadalino anche i tre teleri di fattura abbastanza omogenea posti sulla parete sinistra, raffiguranti il Sacrificio di Isacco, il Battesimo di Cristo e l’Orazione nell’orto, segnalando peraltro l’esistenza di una versione di quest’ultimo soggetto in collezione privata che presenta qualche affinità con l’esemplare di S. Sebastiano. Le forti divergenze qualitative dell’insieme rendono tuttavia difficile un pronunciamento univoco in tema di attribuzioni. A ogni modo, per quanto non risolutiva, la perentoria citazione vasariana sembra argomento di un certo peso per ipotizzare la presenza di Nadalino in questo cantiere, e per orientare la sua pratica artistica verso un orizzonte bonifacesco o tintorettiano.
Tra le opere attribuite a Nadalino, solo Antonio Maria Zanetti (1733 e 1771) ricorda la lunetta con Dio padre tra Cristo redentore e la Vergine nella chiesa di S. Salvador.
Sorprendentemente trascurata da tutta la letteratura, anche a causa della sfavorevole collocazione a più di 5 metri da terra, la tela fa parte del coronamento decorativo del terzo altare del transetto sinistro, patrocinato dalla famiglia di mercanti Pizzoni 'dalla seda' (su cui v. Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, ms. P.D. 4/IV: G. Tassini, Cittadini veneziani, c. 95r), il cui stemma è riconoscibile nella cornice marmorea e nell’iscrizione sulla lastra sepolcrale posta davanti all'altare (trascritta, con la data 1520 [recte: 1524], da E.A. Cicogna, Corpus delle iscrizioni di Venezia e delle isole della laguna veneta, Venezia 2001, II, p. 1473, n. 41). In origine sull’altare si trovava una pala con i Ss. Lorenzo, Giacomo e Maddalena (gli ultimi due eponimi dei committenti), firmata e datata da Girolamo da Treviso il Giovane nel 1531, sostituita nel 1729 da una tela di Girolamo Brusaferro e ora collocata nel presbiterio in cattivo stato di conservazione. È verosimile ritenere che la lunetta sia stata eseguita in concomitanza con la pala dell’altare, allo scopo di completarne l’iconografia attraverso la raffigurazione di una originale Deesis. Per quanto difficile da giudicare, l’opera esprime valori cromatici e formali di alta qualità, con forti contrasti timbrici e ampi panneggi che richiamano alcune prove dello stesso Girolamo da Treviso, al quale in definitiva il telero sembra più plausibilmente attribuibile.
All’interno del convento di S. Salvador, Zanetti (1733, p. 187) menzionava la presenza di alcuni affreschi di Nadalino raffiguranti la Fede, il Redentore, l’Annunciata e Santi nel soffitto e nelle mezzelune dell’antirefettorio, che però risultano scomparsi. Secondo Mancini (1988), è tuttavia probabile che questi affreschi fossero stati realizzati contemporaneamente alla decorazione tuttora esistente del refettorio, attribuita su base stilistica al mantovano Fermo Ghisoni con una datazione orientativa alla metà degli anni Quaranta.
Non si conoscono il luogo e la data di morte di Nadalino, che secondo Ridolfi morì «giovinetto». Un provvisorio termine ultimo potrebbe essere costituito dal 1558, anno che si poteva ancora distinguere in una Maddalena firmata dal pittore e vista da Luigi Lanzi (1795-96) in una collezione privata di Udine, ma che da tempo risulta irreperibile.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, p. 591; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte ovvero Le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato (1648), a cura di D. von Hadeln, I, Berlin 1924, pp. 222-224; A.M. Zanetti il Giovane, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia, Venezia 1733, pp. 185, 187; Id., Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia, 1771, p. 239; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia… (1795-96), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 99; D. von Hadeln, N. da M., in Zeitschrift für bildende Kunst, n.s., XXIV (1913), pp. 163-167; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Venezia 1929, pp. 390, 407; G. Gamulin, Contributi al Cinquecento, in Arte veneta, XIII-XIV (1959-60), p. 89; R. Pallucchini, Tiziano, I, Firenze 1969, p. 221; H. Tietze - E. Tietze-Conrat, The drawings of the Venetian painters in the 15th and 16th century, New York 1970, p. 192; J.B. Shaw, Drawings by old masters at Christ Church, Oxford, I, Oxford 1976, p. 403; M. Roy Fisher, Titian’s assistants during the later years, New-York-London, 1977, pp. 136 s.; M. Lucco, Bonifacio de’Pitati…, in Proposte di restauro. Dipinti del primo Cinquecento nel Veneto, Castelfranco 1978, pp. 59-62; G. Fossaluzza, Per Ludovico Fiumicelli, Giovan Pietro Meloni e Girolamo Denti, in Arte veneta, XXXVI (1982), pp. 131-144; V. Mancini, Il convento di S. Salvador, in Progetto S. Salvador…, a cura di F. Caputo, Venezia 1988, pp. 185 s.; E.M. Dal Pozzolo, La «bottega di Tiziano»: sistema solare e buco nero, in Studi tizianeschi, IV (2006), pp. 74 s.; G. Tagliaferro et al., Le botteghe di Tiziano, Firenze 2009, pp. 31, 89, 165, 182, 357; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 352.