GORDIMER, Nadine
Scrittrice sudafricana, nata a Springs (Gauteng) il 20 novembre 1923 e morta a Johannesburg il 13 luglio 2014. Premio Nobel nel 1991, G. è stata insignita dei più prestigiosi premi letterari, ha ricevuto onorificenze da istituzioni culturali di tutto il mondo e riconoscimenti presso numerosi atenei internazionali.
Figlia della piccola borghesia ebrea di immigrazione europea in Sudafrica (il padre era lituano, la madre inglese),
G. ricevette un’istruzione sommaria e frammentata. Esposta alla consapevolezza del privilegio legato al colore della pelle sin dall’infanzia e adolescenza nella cittadina natale ad alta presenza di operai neri impiegati nelle ricche miniere dell’East Rand, G. rafforzò la percezione dell’ingiustizia della discriminazione razziale iniziando a frequentare i corsi universitari a Witwatersrand e una volta trasferitasi stabilmente a Johannesburg (1948). La produzione complessiva di G. comprende quindici romanzi, circa venti raccolte di racconti e cinque raccolte di saggi a partire dal 1949, anno in cui uscì la sua prima raccolta di racconti, Face to face. I suoi romanzi hanno ripercorso contraddizioni e distorsioni cui è sottoposto chi vive sotto un regime come quello dell’apartheid (1948-94). The lying days (1953) racconta, in chiave parzialmente autobiografica, la presa di coscienza del pregiudizio etnico; A world of strangers (1958; trad. it. Un mondo di stranieri, 1961) trasla la sua stessa presa di coscienza su un inglese disinteressato alla politica che ne viene travolto al suo arrivo in Sudafrica; The late bourgeois world (1966; trad. it. Il mondo tardoborghese, 1989) si sofferma sullo scollamento tra motivazioni private e motivazioni collettive della rivoluzione; The conservationist (1974; trad. it. Il conservatore, 1987), che le valse il Booker prize, sottolinea la pregnanza del discorso razziale in Sudafrica attraverso una metafora sul ‘radicamento’ dei neri nella terra rappresentato da un cadavere rinvenuto nel suolo di una fattoria di proprietà di un bianco conservatore; Burger’s daughter (1979; trad. it. La figlia di Burger, 1979), la cui censura portò i riflettori internazionali su G., si ispira alla storia vera dell’avvocato comunista Bram Fisher, arrestato sotto il regime dell’apartheid, mentre July’s people (1981; trad. it. Luglio, 1984) prefigura l’apocalittica fine del regime con rovesciamenti di ruoli che aprono a significative sorprese; in My son’s story (1990; trad. it. Storia di mio figlio, 1991) emerge nuovamente l’ineludibilità dell’impegno politico in Sudafrica e il suo drammatico intreccio con le vicende private dei protagonisti.
A partire dalla fine dell’apartheid la narrativa di G. non ha perso la sua aderenza alle vicende politiche del Paese, legate ora alla rinascita sudafricana, come in None to accompany me (1994; trad. it. Nessuno al mio fianco, 1994), sulla difficile realtà della transizione, o come in The house gun (1998; trad. it. Un’arma in casa, 1998), che in modo più obliquo allude alla perseveranza della violenza nel Paese anche a regime archiviato. Nelle opere più recenti, pur ambientate in Sudafrica, G. immette tematiche di rilevanza globale come la migrazione e i conflitti culturali con l’islam in The pickup (2001; trad. it. L’aggancio, 2002), o ecologia e sostenibilità in Get a life (2005; trad. it. Sveglia!, 2006), mentre nel suo ultimo romanzo, No time like the present (2012; trad. it. Ora o mai più, 2012), è tornata a scandagliare lo spessore esistenziale di ex combattenti, abituati ad alti ideali, rischi ed emozioni forti, alla prova della quotidianità. Con maggiore libertà e di temi e di tecniche narrative, le raccolte di racconti hanno consacrato G. maestra del genere breve, come attesta la selezione in Life times: stories 1952-2007 (2014; trad. it. Racconti di una vita, 2014). Il rapporto a doppia maglia con la storia del proprio Paese, nei racconti e nei romanzi, non si separa mai in G. dall’attento controllo della scrittura, esposta alle più svariate possibilità offerte dalla tradizione del romanzo dell’Ottocento europeo, soprattutto russo, così come dai maestri del modernismo tedesco e inglese da cui G. non fece mai mistero di aver preso le mosse. A testimonianza della costante accortezza critica della scrittrice e della sua consapevolezza letteraria, politica e storica, rimangono i suoi saggi, tra cui The essential gesture (1988; trad. it. Vivere nell’interregno, 1990), Writing and being (1995; trad. it. Scrivere ed essere. Lezioni di poetica, 1996) e Living in hope and history (1999; trad. it. Vivere nella speranza e nella storia, 1999).
Bibliografia: Conversations with Nadine Gordimer, ed. N. Topping Bazin, M. Dallman, Jackson-London 1990; S. Clingman, The novels of Nadine Gordimer. History from the inside, London 1986, nuova ed. 1993; D. Head, Nadine Gordimer, Cambridge 1994; K. Wagner, Rereading Nadine Gordimer. Text and subtext in the novels, Bloomington-Indianapolis 1994; Nadine Gordimer’s Burger’s daughter. A casebook, ed. J. Newman, Oxford 2003; R.S. Roberts, No cold kitchen, Johannesburg 2005; T. Zulli, Nadine Gordimer. Strategie narrative di una transizione politica, Napoli 2005; Nadine Gordimer’s July’s people, ed. B. Nicholls, London 2011.