NĀGĀRJUNAKONDA
Soltanto la sommità della «collina di Nāgārjuna», posta lungo il basso corso del fiume Krishna (Andhra Pradesh, India), rimane oggi della vallata che portava lo stesso nome, negli anni '60 completamente sommersa dalle acque di una grande diga. Su di essa si trovano ora, accanto a un museo, alcuni monumenti smontati dalla loro posizione originaria e ricomposti secondo un progetto che fu imitato anche altrove (in Egitto): il sito megalitico 44, i ghāṭ (sistemazione a gradini sul fiume per il bagno rituale), l'anfiteatro e alcuni monumenti buddhisti, tra cui lo stūpa maggiore e più antico.
I resti della valle di N. vennero segnalati negli anni '20 e parzialmente scavati da A. H. Longhurst tra il 1927 e il 1931 e da T. N. Ramachandran nel 1938. Lo scavo sistematico di tutti i siti (c.a 130) fu condotto, in vista dell'allagamento dell'intera area, tra il 1954 e il 1960. Esso fu, per quanto possibile, completo, ma il passare del tempo ha messo impietosamente in luce tutti i limiti di quell'operazione. Lo scavo ebbe comunque il merito di rivelare una seqùenza che andava dal Paleolitico Inferiore all'epoca medievale, per nulla affatto limitata dunque ai soli primi secoli della nostra èra come si era a lungo creduto. I diversi siti, distribuiti su un'area di 23 km2, documentano un percorso storico che è stato suddiviso in sette grandi periodi: Paleolitico Inferiore, Paleolitico Medio, Mesolitico, Neolitico, Megalitico, età storica antica e medievale.
Un'industria acheuleana avanzata è attestata dal sito 129, stratificato, e ancor più dal sito 128: oltre a lame ottenute da ciottoli di quarzite senza lavorazione del nucleo, sono documentati altri strumenti da taglio assimilabili tipologicamente alla «Madras handaxe industry». I primi nuclei lavorati sono attestati soltanto nel primo periodo post-acheuleano. Anche gli strumenti del Mesolitico rivelano che la popolazione della valle continuava a essere di cacciatori e raccoglitori. I microliti appartengono a due tradizioni distinte; nettamente .geometrica la prima (sito 53), non geometrica la seconda. L'uso della ceramica resta sconosciuto, e parimenti l'addomesticamento degli animali. Come altrove in India, non è documentato alcun tipo di abitazione.
Prima della metà del III millennio si assiste al passaggio al periodo neolitico, attestato da cinque siti, il più antico dei quali è il n. 45. La ceramica più antica, lavorata a mano (ciotole, urne, grandi vasi), per lo più priva di ingubbiatura, è bruno-rossastra, con molti inclusi, ed è associata a una persistente industria microlitica non geometrica. Il sito 46, di tutti il più tardo (c.a 1500 a.C.), mostra abitazioni in legno e ripari parzialmente o interamente sotterranei, ed è caratterizzato dal prevalere di una ceramica grigia lucidata. Quest'ultima fase del Neolitico non si evolve dalle precedenti, a loro volta indipendenti l'una dall'altra. Caratteristiche di tutti i siti e tutte le fasi del Neolitico (tranne il sito 45) sono le buche di varia forma e dimensione, le cui funzioni non sono state stabilite con certezza (abitazioni, scarichi o granai). Di grande interesse sono i cimiteri, specie il n. 68, che nella fase più antica documenta sepolture a inumazione, e in quella più recente soprattutto inumazioni secondarie seguenti a scarnificazione.
Come in altre località del bacino della Krishna (p.es. Vīrapuram, v.), vi è un lungo intervallo (c.a 1000 anni) tra l'ultima fase del Neolitico e il periodo megalitico. Le tombe che lo caratterizzano, già notate da Longhurst, vennero anch'esse indagate, sia pure non completamente, negli anni '50. Il gruppo più importante, formato da diciotto circoli in pietra, costituisce il sito 63. Delle tredici tombe scavate, dodici presentano sepolture in fossa, e una sola in cista. In quest'ultima furono rinvenuti quattro teschi e altre ossa insieme con alcuni oggetti in ferro. All'esterno furono osservati, quale corredo primario posto su un piano di terra battuta, sette vasi ceramici, altri oggetti in ferro (tra cui stili e lame di coltello), ossa di animali e un pestello in pietra.
Tra gli oggetti del corredo secondario, rinvenuto a un livello superiore, si segnalano due teschi umani, una lancia in ferro e un gruppo di vasi nella tipica ceramica rossa e rossa e nera che trovano riscontri tipologici in altri siti megalitici del Deccan, da Brahmagiri a Maski a Yeleśwaram (v.). La presenza di molte ossa animali in associazione con le tombe (specie la n. XII dello stesso sito) ha fatto pensare a complessi rituali comprendenti sacrifici cruenti. La diversità delle sepolture, che s'accompagna a quella dei corredi, ha fatto ipotizzare la compresenza di gruppi sociali diversi che vivevano insieme pacificamente, ma si tratta di un'ipotesi semplicistica e fondata su un numero limitato di informazioni. La cronologia inizialmente suggerita, che indicava nel 750 a.C. circa l'inizio delle deposizioni in fossa e nel 650 l'uso delle ciste, è stata poi notevolmente abbassata (sui problemi di datazione dei siti megalitici del Deccan, v. monumento funerario: India).
La fama di N. è legata soprattutto alla produzione monumentale e iconografica promossa dalla dinastia degli Ikṣvāku, che si sostituì localmente ai Sātavāhana nel secondo quarto del II sec. d.C. La loro capitale Vijayapurī o «Città della Vittoria» (toponimo comunissimo in tutta l'India tardo-antica e medievale), comprendente una cittadella costruita presso la riva destra della Krishna, era al centro del complesso sistema insediativo della valle, che contava alcuni dei templi brahmanici più antichi dell'India e numerose aree sacre buddhiste. Le evidenze monumentali, iconografiche, epigrafiche e numismatiche, insieme con quelle della «cultura materiale» s'intrecciano così riccamente a N., completandosi a vicenda, da stabilire una microstoria regionale quale non è altrove possibile delineare, e tale da assumere valore paradigmatico. Si può applicarvi con chiarezza il modello storiografico, che sembra valido per tutta l'India antica e altomedievale, secondo il quale a un periodo di egemonia politica del brahmanesimo ortodosso, rappresentato nel Deccan dai Sātavāhana, se ne oppone un altro (quello degli Ikṣvāku) fondato sulla doppia politica di appoggio agli ambienti scivaiti e alle comunità buddhiste. La reazione ortodossa (qui, a partire dal IV sec., quella dei Pallava) porterà in seguito alla consociazione dei primi e alla distruzione dei secondi. Conosciamo i nomi dei quattro sovrani Ikṣvāku, Vāśiṣṭhiputra Cāṁtamūla, Māṭharīputra Vīrapuruṣadatta, Vāśiṣṭhiputra Ehuvala Cāṁtamūla e Vāśiṣṭhiputra Rudrapuruṣadatta, tutti scivaiti, e legati alla committenza della maggior parte dei templi sulla riva del fiume. La protezione della comunità buddhista era delegata alle rappresentanti femminili della casa regnante, come p.es. a Cāṁtaśrī, sorella del primo Cāṁtamūla, a cui si deve la costruzione dello stūpa del sito 1. Che gli Ikṣvāku rappresentassero la politica antibrahmanica è indicato anche dalle loro alleanze matrimoniali con un altro lignaggio antibrahmanico, quello śaka.
Coerentemente con questo quadro, nell'impadronirsi della valle di N. approfittando di un momento di debolezza degli Ikṣvāku, Vāśiṣṭhiputra Vasuṣeṇa degli Ābhīra di Nāsik (i cui titoli denotano la devozione visnuita), fece costruire nel 278 d.C. il Tempio di Viṣṇu Aṣṭabhujasvāmin («il Signore dalle otto braccia»), sul quale - per la sua eccezionalità - conviene soffermarsi ancor prima di esaminare gli altri monumenti. Questo tempio consisteva di due santuari, oblungo il primo e rettangolare absidato l'altro, ciascuno preceduto da un maṇḍapa; una sala ipostila si trovava sul retro. Un'iscrizione ricorda come un'immagine lignea del dio a otto braccia si trovasse su un piedistallo in pietra. E, questa, la documentazione più antica di tutta l'India di una simüe forma di Viṣṇu. In relazione a essa (e, pensiamo agli Ābhīra) va ricordata l'immagine, davvero unica, venuta alla luce a Koṇḍamotu tra N. e Guntur, pure databile alla fine del III sec., che rappresenta un proto-Narasimha accompagnato dai pañcavīra o «cinque eroi».
Gli altri templi, di cui restano le fondazioni o tracce, erano, come si è detto, tutti scivaiti, e sorgevano tutti lungo la riva del fiume a O della cittadella di Vijayapurī. In pianta rispondono a modelli diversi: alcuni sono costituiti da un unico santuario, di forma oblunga - come quello di Kārttikeya del sito 34, absidata come il Tempio di Śiva Puṣpabhadrasvāmin innalzato nello stesso sito nel quattordicesimo anno di regno di Ehuvala dall'erede al trono e associato a una vasca rituale - o quadrata, come un secondo tempio dedicato a Kārttikeya (sito 82). Altri templi sono formati da più santuarî, di solito absidati o rettangolari preceduti da portico. Sta a sé il grande tempio di Sarvadeva (sito 99), fatto costruire dal comandante Eliśrī nell'undicesimo anno di Ehuvala e denominato nelle iscrizioni prāsāda, «tempio-palazzo» (cioè monumentale, con un piano superiore) e non, come gli altri, devakula.
I templi, serviti da monumentali ghāṭ, si trovavano dunque nei pressi della cittadella. Questa inglobava le due alture di Cinnakuṇḍellagutta a Ν e di Peddakuṇḍellagutta a S ed era racchiusa da mura in argilla parzialmente rafforzate, in un secondo tempo, da tratti in mattoni cotti. Due le porte, a O e a E. Non è stato possibile identificare il palazzo degli Ikṣvāku, ma del complesso palaziale faceva certamente parte un edificio destinato ai bagni (sito 93), erroneamente noto come sito dell’aśvamedha (l'ortodosso sacrificio reale del cavallo). Le opere idrauliche erano numerose: oltre a pozzi, a cisterne pavimentate e a una vasca a forma di tartaruga, fu portata alla luce una monumentale piscina a gradini di pianta quadrata originariamente sormontata da una struttura lignea distrutta da un incendio. L'abitato si trovava fuori della cittadella,a E, e rispondeva a un modello urbano a griglia in cui stretti vicoli intersecavano una via centrale più larga (7,5 m) e altre strade (larghe 4,5 m). Le abitazioni, di pietrame legato con malta e più raramente di mattoni, erano spesso composte da ambienti disposti su un unico asse parallelo alla strada, preceduti da un portico in comune; un altro modello abitativo vedeva gli ambienti aprirsi attorno a un maṇḍapa centrale. Il sito 58 si rivelò come l'abitazione-bottega di un orafo, con stampi e crogioli. I numerosi rinvenimenti, tra cui quelli ceramici (segnaliamo le grandi giare rinvenute in ogni insula) e numismatici (monete di piombo degli Ikṣvāku), sono ancora in corso di studio, e non è a tutt'oggi possibile valutare appieno i risultati dello scavo.
All'estremità E della valle, a ridosso delle colline sorgeva l'edificio più singolare di N., unico in tutta l'India: un piccolo anfiteatro. È di forma rettangolare e misura 16,46 x 13,72 m; la struttura in mattoni rivestita con lastre di pietra aveva almeno sedici gradinate e poteva alloggiare un migliaio di persone. È ipotizzabile che servisse per rappresentazioni musicali o drammatiche, e forse anche per gare sportive, ma non possediamo fonti al riguardo. Nonostante la sua forma e le sue dimensioni è probabile la sua derivazione da modelli classici. Tra le strutture civili della valle si notano diverse opere idrauliche, bagni pubblici e padiglioni di sosta. Un rilievo tutto particolare hanno i 7 pilastri commemorativi eretti in ricordo di defunti di rango non soltanto dai sovrani e dalla nobiltà ma anche da commercianti e religiosi. Se ne conoscono ben ventidue, iscritti e scolpiti con scene che illustrano le gesta del defunto. Il più antico, presso il sito 9, risale ai primi anni di regno di Vīrapuruṣadatta e ricorda la morte di Cāṁtamūla. Ben dieci sorgevano tra il sito 9 e il sito 61, eretti tutti in memoria di funzionarî militari e civili: il più importante, dedicato al capitano Cāṁtapūla, è decorato con un elefante e un personaggio che lo cavalca. Uno dei tre pilastri del sito 37, profusamente scolpiti, conserva la scena di battaglia più complessa: un cavaliere armato attacca due fanti in un campo di battaglia ingombro di soldati caduti. L'ultimo dei pilastri noti rappresenta la toletta della principessa śaka Vaṁabhatta, madre di Rudrapuruṣadatta.
L’epoca in cui i monumenti di N. vennero per la prima volta scoperti e gli interessi degli studiosi che se ne occuparono allora e in seguito hanno portato a considerare N. un sito buddhista. È così solo in parte, come si è visto, ma è pur vero che N. offre del buddhismo tardo-antico uno spaccato particolarmente significativo. Il nome stesso di N. rimanda a Nāgārjuna, il celebre logico e santo buddhista che secondo la tradizione qui visse nel I-II sec. d.C. A N. è possibile mettere in relazione le quattro scuole che vi sono documentate con monumenti tra loro diversi e pratiche devozionali particolari. Le aree sacre erano concentrate nel centro della valle, a E dell'abitato, e molte di esse - tutte quelle databili - vennero fondate tra il sedicesimo e il diciottesimo anno di Vīrapuruṣadatta. Erano costituite ciascuna da uno stūpa principale, da un caityagṛha o da Buddhagṛha (cappelle absidate contenenti o uno stūpa o un'immagine del Buddha) e da un monastero. In taluni casi, come nei siti 2 e 4, vi erano entrambe le cappelle, poste di fronte l'una all'altra tra lo stüpa principale e il monastero. Va notato che mentre gli stūpa posti all'interno dei caityagṛha erano tutti forniti di tamburo, i grandi stüpa di ciascuna area sacra rimasero sempre fedeli al modello arcaico di stūpa a emisfera. Le differenze tra di essi si colgono dal tipo di nucleo e dalla presenza o dalla mancanza degli āyaka (basamenti posti ai punti cardinali). Nella maggior parte dei casi questi stüpa, quasi tutti in mattoni, sono del tipo «Ruota della Legge», costruiti cioè con raggi in solida muratura che uniscono la circonferenza esterna del monumento al suo centro (gli spazi di risulta erano riempiti a sacco). Una particolare variante di questo tipo di costruzione, che ha anche motivazioni economiche e statiche, è data dagli stūpa al cui interno è un elemento in muratura a forma di svastika. Si tratta probabilmente di un simbolo assiale, e si può ricordare che stūpa antichi come quelli di Bhārhut e di Pauni (v.) formano in pianta, insieme con i portali ai punti cardinali, per l'appunto degli svastika. Altri stūpa ancora avevano nuclei compatti. Tipica della maggior parte di questi monumenti è la presenza degli āyaka, su cui poggiavano cinque colonne simboleggianti episodi emblematici della vita del Buddha. Si tratta di una caratteristica nota anche da altri siti del paese āndhra, da Amarāvatī in particolare, ma non sconosciuta nel Nord del subcontinente (a Vaiśālī). Delle aree monastiche ricordiamo quella con lo stūpa più antico. È il mahācaitya (sito 1) fatto costruire dalla sorella di Vāśiṣṭhiputra, Cāṁtaśrī, il più grande di N., del tipo «Ruota della Legge» e con āyaka, destinato a contenere reliquie. Accanto a esso sorgevano un caityagṛha e un monastero degli Apara-mahāvinaseliya (una suddivisione dei Mahāsāṁghika), predominanti a N. su tutte le altre scuole.
Il capitolo più importante della N. buddhista è la copiosa, celebre produzione scultorea, che si richiama a quella di Amarāvatī. È stata suddivisa in due grandi gruppi. Il primo e più antico comprende la produzione attribuibile all'epoca di Māṭharīputra Vīrapuruṣadatta, formata da lastre scolpite in rilievo basso con i simboli aniconici del Buddha (stūpa, ruote della legge, orme del Buddha, colonne fiammeggianti, ecc.). Il secondo gruppo comprende immagini stanti dell'Illuminato (una delle quali alta 3 m) avvolto nelle vesti monastiche che lasciano scoperta la spalla destra, e numerose scene tratte dalla vita del Buddha e dai jātaka (sue vite precedenti). Sono frequenti le rappresentazioni di mithuna o coppie amorose, che talora appaiono inframmezzate - come in un lungo fregio datato al ventiquattresimo anno di Ehuvala - alle stesse scene con episodi della vita del Buddha. Spesso colte in atteggiamenti intimi, sono connesse a una simbologia, di cui non conosciamo l'applicazione in ambito buddhista, che affonda le proprie radici nell'India vedica. Si segnalano anche figure in abito centroasiatico, che di certo rimandano ai legami esistenti tra gli Ikṣvāku e gli Śaka o Kṣatrapa dell'India occidentale. La scultura di N., vivace e nervosa, che raggiunge a volte esiti molto alti, aspetta ancora uno studio completo e convincente.
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