Ōshima, Nagisa
Regista cinematografico giapponese, nato a Kyoto il 31 marzo 1932. Si è imposto negli anni Sessanta come la maggiore personalità della 'nuova ondata' cinematografica in Giappone, contemporanea alla Nouvelle vague. La sua carriera ha subito lunghe interruzioni, dovute ai difficili rapporti con le strutture produttive del cinema nipponico e, successivamente, alle vicissitudini di una lunga malattia. Malgrado ciò, e benché in Europa i suoi primi film fossero stati visti quasi soltanto nel circuito dei festival, il prestigio di Ō. è andato sempre più aumentando, anche in coincidenza con il successo di pubblico e con gli scandali suscitati da alcuni film coprodotti in Francia e in Gran Bretagna (Ai no korīda, 1976, Ecco l'impero dei sensi; Senjo no merii kurisumasu ‒ Furyō, 1983, Furyo), fino a conquistarsi presso la critica un'autorevolezza pari a quella dei grandi maestri giapponesi, quali Ozu Yasujirō, Mizoguchi Kenji e Kurosawa Akira.
Già durante gli studi liceali iniziò a stendere abbozzi di romanzi e a occuparsi di teatro. Legato agli ambienti della contestazione di sinistra, Ō. entrò nel cinema come aiuto regista, assunto dalla Shōchiku (una delle majors giapponesi); tuttavia il suo rapporto con le strutture della produzione commerciale si qualificò subito nel segno del conflitto, proprio come nel caso dei giovani registi della Nouvelle vague, cui è stato spesso paragonato. Dopo un lungo tirocinio, riuscì nel 1959 a dirigere il suo primo lungometraggio, Ai to kibō no machi (Il quartiere dell'amore e della speranza), che provocò contrasti con i dirigenti della Shōchiku, soprattutto per il mancato lieto fine. Il film descrive le ferite che la lotta di classe, rappresentata dal rapporto tra un ragazzo povero, venditore di piccioni, e una ragazza ricca, produce nel cuore degli uomini. La conclusione è tutt'altro che consolatoria: il piccione attorno al quale si sviluppa la trama viene ucciso dalla ragazza, simboleggiando non solo l'impossibilità di un'intesa, ma anche l'incombere di quell'impulso distruttivo che sarebbe ritornato in molti film del regista, a partire già dal secondo, girato sempre per la Shōchiku, Seishun zankoku monogatari (1960, Racconto crudele della giovinezza). È una storia di sesso e violenza di ambiente giovanile: i due protagonisti, ancora un ragazzo e una ragazza, ricattano gli anziani automobilisti che lei riesce ad adescare, ma entrambi moriranno, lui picchiato a morte da una banda di teppisti, lei travolta casualmente da un'auto. Taiyō no hakaba (Il cimitero del sole), girato sempre nel 1960, si svolge nei bassifondi di Osaka e mette in scena le imprese violente di una banda di ladruncoli, tra le cui attività vi è quella di creare ambulatori clandestini in cui poveri e disoccupati vanno a vendere il loro sangue.
Il successo inaspettato di questi film, specie presso il pubblico giovanile, incoraggiò comunque la Shōchiku, all'inizio restia, a far dirigere film analoghi a giovani registi, in una ventata di rinnovamento che però, di fronte ai risultati commerciali deludenti, sarebbe durata solo pochi mesi. Ancora nel 1960, tuttavia, Ō. poté dirigere Nihon no yoru to kiri (Notte e nebbia del Giappone) in relativa autonomia: si tratta di un'opera politica nel senso pieno del termine, che risente delle violente polemiche seguite alla ratifica del trattato di sicurezza nippo-americano. Il film risulta imperniato su una cerimonia, il matrimonio tra due ex militanti del movimento studentesco, nel corso della quale diversi invitati intervengono con testimonianze sulle vicende della lotta politica nel Giappone contemporaneo. Ma la complessa struttura a flashback non attirò il consenso del pubblico; al quarto giorno di programmazione, infatti, il film fu ritirato dalla Shōchiku, prendendo a pretesto l'assassinio, avvenuto in quei giorni, del segretario del Partito socialista giapponese da parte di uno studente di destra: tra la major e Ō. si arrivò inevitabilmente alla rottura.Il regista fondò allora una propria casa di produzione indipendente, la Sōzōsha, anche se inizialmente dovette appoggiarsi ad altre società. Nel 1961 girò Shiiku (L'addomesticamento), che narra la storia, ambientata durante la Seconda guerra mondiale, di un pilota di colore americano prigioniero degli abitanti di un villaggio sperduto e diventato oggetto di desideri, paure e pulsioni diverse, fino alla sua uccisione. Successivamente dovette adattarsi a dirigere per la Tōei un film in costume, Amakusa Shirō Tokisada (1962), su una rivolta contadina nel Settecento che cercò peraltro di collegare all'attualità politica. In quel periodo girò anche alcuni documentari per la televisione. Solo nel 1965 Ō. poté tornare al lungometraggio, con un film interamente prodotto dalla Sōzōsha, Etsuraku (Il godimento), storia di un uomo che ha venduto la sua esistenza per denaro, cui seguì nello stesso anno il cortometraggio Yunbogi no nikki (Diario di Yunbogi), struggente ritratto di un ragazzino sud-coreano realizzato attraverso fotografie e brani di diario. In Hakuchū no tōrima (1966, Il demone in pieno giorno) Ō. tornò invece a investigare il tema della coazione irresistibile al crimine, incarnata da un personaggio a un tempo violentatore, assassino e martire. Seguirono: Ninja bugheichō (1967, Il manuale dell'arte marziale ninja), ispirato a un noto fumetto giapponese, Nihon shunka kō (1967, Sulle canzoni sconce giapponesi) e Muri shinjū ‒ Nihon no natsu (1967, Suicidio a due forzato ‒ Estate del Giappone). Nel 1968 apparvero Kōshikei (L'impiccagione), in cui un giovane coreano condannato a morte sopravvive alla prima esecuzione e perde la memoria, e per essere sottoposto a una seconda esecuzione deve prima riacquistare coscienza di sé e dei propri delitti, e Kaette kita yopparai (Il ritorno degli ubriachi); nel 1969 fu la volta di Shōnen (Il bambino), la storia di una famiglia (padre, madre, figlio) che si guadagna da vivere simulando falsi incidenti stradali.
Il 1971 fu l'anno di due tra i più grandi film di Ō.: Tōkyō sensō sengo hiwa ‒ Eiga de isho o nokoshite shinda otoko no monogatari (Storia segreta del dopoguerra dopo la guerra di Tokyo ‒ Storia di un uomo morto dopo aver lasciato come testamento un film), la cui trama verte attorno a un film amatoriale girato da un cineasta militante che sembra non mostrare altro che anonimi paesaggi di Tokyo, i quali tuttavia si rivelano luoghi costitutivi della vita quotidiana del popolo, e Gishiki (La cerimonia), rivisitazione della storia del Giappone attraverso le vicende di una grande famiglia, guidata dalla figura imponente e terribile di un patriarca tirannico. Quest'ultimo è un potente affresco di cerimoniali, in cui si confondono sensualità disperata e sensazioni di morte, sogni frustrati e impotenza esistenziale. In quello stesso anno la Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro dedicò a Ō. una ricca personale, consacrandone co-sì la fama anche in Europa. Ma la situazione produttiva del cinema giapponese andava sempre peggiorando e, dopo Natsu no imōto (1972, Sorellina d'estate), Ō. fu costretto a chiudere la Sōzōsha. Per quattro anni poté soltanto dedicarsi alla televisione e curare un'antologia dei suoi scritti (écrits 1956-1978. Dissolution et jaillisement, 1980), finché dalla Francia non giunse la proposta di dirigere e coprodurre con A. Daumann Ai no korīda. Il film era basato sulla storia vera, accaduta nel 1936, di una donna che aveva strangolato il suo amante nel momento dell'orgasmo e lo aveva mutilato dei genitali. Ebbe un notevole successo legato allo scandalo delle scene che mostrano, senza alcun compiacimento, rapporti sessuali veri tra i due protagonisti, inducendo a vedervi la rappresentazione di un erotismo ispirato a G. Bataille, come adesione alla vita fino alla morte. Analoga formula produttiva, ricalcata fino all'assonanza nel titolo, fu seguita per Ai no bōrei (1978; L'impero della passione), che non ebbe però il successo commerciale del film precedente, in cui due amanti si accordano per uccidere il marito di lei e sono perseguitati dal fantasma del morto. L'ossessione erotica nasce dal folklore giapponese, nell'ambientazione naturale di uno sperduto villaggio di contadini; tutto si confonde continuamente con il sogno.I problemi finanziari diventarono sempre più condizionanti, e imposero a Ō. altri cinque anni di silenzio, fino a quando una produzione anglo-giapponese gli permise di girare Senjo no merii kurisumasu ‒ Furyō, nuovo grande successo di pubblico, che si avvaleva della presenza della rockstar David Bowie e di Kitano Takeshi. Oltre al confronto tra due culture, americana e giapponese, il vero soggetto del film è l'attrazione che il maggiore Celliers (Bowie) esercita sul suo collega giapponese, di cui è prigioniero in un campo di concentramento. Il maggiore in realtà seduce il carceriere, ma questi, che non può accettare ciò, neppure di fronte a sé stesso, sarà costretto a metterlo a morte. Dopo tre anni poté girare Max mon amour (1986; Max amore mio), una coproduzione francese basata su una sceneggiatura buñueliana di Jean-Claude Carrière, forse non del tutto congeniale alla sua sensibilità, storia di una problematica attrazione tra una signora della buona borghesia francese e uno scimpanzé. Problemi di salute hanno poi imposto una nuova, lunga sospensione della sua attività registica, fino a Gohatto, noto anche come Taboo (Tabù ‒ Gohatto), girato nel 1999, ancora con Kitano. La bellezza di una giovane recluta, oggetto di desiderio omosessuale nella comunità di guerrieri che lo accoglie, è il tarlo che disintegra l'ethos dei samurai, proprio come accadeva all'ufficiale giapponese di fronte al maggiore americano in Senjo no merii kurisumasu ‒ Furyō. Come sempre in Ō., gli spettri di eros ed ethos si danno un fatale appuntamento sulla scena della rappresentazione, attirando la vendetta del terzo spettro, che è quello della morte.
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