nanofarmaco
s. m. Farmaco prodotto con l’impiego di nanoparticelle capaci di raggiungere le cellule tumorali.
• La prima applicazione clinica delle nanotecnologie è stata, dunque, la terapia antitumorale. «Sì, e della dozzina di classi di “nanofarmaci” attualmente in vasto uso clinico, la quasi totalità viene usata in oncologia. […] Negli Usa l’investimento sui nanofarmaci è ormai quasi equivalente a quello sui farmaci convenzionali o quelli biotecnologici» (Mauro Ferrari intervistato da Alessandra Turchetti, Avvenire, 4 luglio 2013, p. 17) • se i nanorobot sono al momento solo sulla carta e nella nostra immaginazione, in tema di nanofarmaci, si sta già lavorando alla terza generazione, cioè a nanoparticelle che lavorano in maniera collaborativa, i cosiddetti sistemi a multistadio. [...] «Entro dieci anni i nanofarmaci saranno la norma, non l’eccezione. Basti pensare che il nab-paclitaxel, nanofarmaco approvato nel 2005 negli Usa, è già un block buster e uno dei 20 farmaci più usati in oncologia» precisa [Mauro] Ferrari. (Francesca Cerati, Sole 24 Ore, 20 aprile 2014, p. 10, Nòva24) • Agendo in ambienti delle dimensioni del miliardesimo di metro, indirizziamo verso organi e tessuti biomolecole dalle strutture diverse, alcune delle quali costituite da nanovescicole: lì si inglobano i nanofarmaci, di cui controlliamo concentrazione, rilascio e permanenza. (Nicla Panciera, Secolo XIX, 4 gennaio 2017, p. 33, Xte Società).
- Composto dal confisso nano- aggiunto al s. m. farmaco.
- Già attestato nella Stampa del 10 settembre 2003, Tuttoscienze, p. 1 (Luigi Grassia).