Nanook of the North
(GB 1920-1921, 1922, Nanouk o Nanuk l'eschimese, bianco e nero, 76m a 16 fps); regia: Robert J. Flaherty; produzione: Robert J. Flaherty per Revillon Frères; sceneggiatura: Robert J. Flaherty; fotografia: Robert J. Flaherty; montaggio: Charles Gelb.
Durante l'estate Nanook e la sua famiglia, appartenenti alla tribù Itivimuit, raggiungono in kayak la stazione commerciale dei bianchi a Hopewell Sound, nella regione artica di Northern Ungava, dove egli vende pelli di volpe e di orso polare e si diverte con il grammofono dell'uomo bianco. La famiglia di Nanook rimane bloccata sulla costa a causa dei ghiacci alla deriva, ma, grazie alla sua abilità, egli riesce comunque a sfamarla pescando un salmone. Nanook si unisce poi ad altri cacciatori che si dirigono in kayak verso un'isola lontana a caccia di trichechi. Dopo una terribile lotta, Nanook viene aiutato dagli altri a trascinare a riva il tricheco che ha arpionato; una parte della carne dell'animale viene immediatamente consumata dai cacciatori prima del loro ritorno all'accampamento. Arriva l'inverno, con le sue bufere di neve. Nanook va a caccia di foche su un terreno difficile, ma riesce a catturare soltanto una volpe artica. Si decide quindi a trasferire l'accampamento in un altro luogo; mentre i suoi figli giocano, nel giro di un'ora Nanook costruisce un igloo con tanto di finestra per far passare la luce. Poi insegna al minore dei suoi figli come scoccare una freccia dall'arco per colpire un orso di neve. Al mattino la famiglia si prepara a partire nuovamente a caccia di foche. Dopo aver trovato nel ghiaccio un foro praticato da una foca per respirare, Nanook vi introduce l'arpione; gli altri lo aiutano a recuperare la foca catturata, che viene subito scuoiata e consumata. È quasi buio; la famiglia è lontana dall'accampamento e il viaggio di ritorno viene ulteriormente ostacolato da una zuffa scoppiata tra i cani della muta; la famiglia è quindi costretta a rifugiarsi in un igloo abbandonato. La muta di cani trascorre la notte all'aperto, in balia della violenta bufera di neve; dentro l'igloo, Nanook e la sua famiglia dormono insieme protetti dalle pelli degli animali.
"È una storia limpida, grande e potente quanto Robinson Crusoe", dichiarava entusiasta il poeta e critico cinematografico Carl Sandburg ai lettori del "Chicago daily news" il 9 settembre 1922; "ed è misteriosa, minacciosa e avvincente quanto The Treasure Island". Paragonando Nanook of the North a due dei più popolari romanzi di avventure del mondo, Sandburg cercava di includere una nuova esperienza cinematografica nell'ambito delle effettive conoscenze dei suoi lettori. E riconosceva pure, anche se involontariamente, una delle caratteristiche del film di Robert J. Flaherty che ha costantemente dato vita alla discussione sui mezzi, i fini e lo scopo morale del genere cinematografico che Nanook of the North sembra aver fondato: il documentario. Lo scopo dichiarato di Flaherty nel puntare la cinepresa sul grande cacciatore Nanook, la sua famiglia e la sua tribù, era quello di cogliere lo spirito di un popolo osservandolo nella sua vita quotidiana. Ma si trattava comunque di una vita quotidiana adattata alle aspettative di un'opera di fiction, come indica il sottotitolo originale del film: "A story of life and love in the actual Arctic". Dunque un film costruito intorno alla figura di un eroico protagonista (che come al solito ci viene presentato in un sorridente primo piano). La vita quotidiana assume la forma narrativa del racconto e vi sono momenti in cui, chiaramente, le esigenze pratiche prevalgono sull'autenticità. Per riprendere gli interni nel ristretto spazio dell'igloo, la cinepresa di Flaherty doveva operare dall'esterno attraverso un'ampia fessura praticata sulle pareti della costruzione, per cui il respiro dei personaggi risulta visibile. La foca faticosamente trascinata sul ghiaccio è palesemente già morta. Altre scene appaiono costruite principalmente a vantaggio della cinepresa, come quella in cui Nanook scopre il grammofono alla stazione commerciale dei bianchi e, cercando di capire da dove provenga la musica, morde il disco in gommalacca. Ma, a dire il vero, Flaherty non sostenne mai di essere un etnografo; per lui l'autenticità dei mezzi contava assai meno di quella degli effetti. Nel suo articolo di memorie Robert Flaherty Talking, egli scrive: "Il mio desiderio di realizzare Nanook of the North derivava da ciò che provavo nei confronti di questo popolo, dall'ammirazione che avevo per loro; volevo raccontare agli altri quel che sapevo di loro".
Flaherty era soprattutto un narratore: in questo consiste l'essenza della sua arte. Ma era pure un esploratore; Nanook of the North vide la luce dalle ceneri di materiali filmati nel corso di spedizioni di ricerca nel Canada settentrionale che Flaherty aveva intrapreso negli anni Dieci per conto dell'industriale Sir William Mackenzie. Grazie al sostegno della Revillon Frères, una ditta di commercianti di pellicce, Flaherty ritornò poi negli stessi territori nel 1920 allo scopo di documentare la vita del popolo Inuit con un film incentrato sulla figura di Nanook, un celebre cacciatore del luogo. Oltre alle cineprese, egli aveva con sé tutta l'attrezzatura necessaria per sviluppare, stampare e proiettare il film. Le riprese durarono un intero anno, mentre il montaggio avvenne nell'inverno tra il 1921 e il 1922. Come contrappunto alla cruda bellezza delle immagini furono aggiunte poetiche didascalie ("The wail of the wind… the brass ball of sun a mockery in the sky"). Infine, distribuito dalla Pathé, il film venne presentato in America nel giugno 1922, ottenendo un notevole successo che si ripeté nel resto del mondo.
Poco dopo l'uscita del film, Flaherty venne a sapere che Nanook era morto di denutrizione durante una spedizione di caccia al cervo. Ma il film che ne celebrava la vita continuò il suo percorso, raggiungendo un pubblico "più numeroso dei ciottoli che formano la spiaggia su cui viveva Nanook", come disse lo stesso Flaherty in occasione di una nuova uscita del film. Nel 1947 Herbert Edwards ne montò una versione abbreviata con musica e commento aggiunti. Nel frattempo il cinema documentario aveva elaborato stili e scopi sociali che si discostavano notevolmente dall'acritica narrazione romantica privilegiata da Flaherty. Eppure, nonostante tutti i suoi compromessi, Nanook of the North è incentrato su uno dei punti di forza del cinema documentario: l'uso della macchina da presa come strumento di scoperta. Nella sequenza più nota del film, quella della costruzione dell'igloo, assistiamo affascinati a questo processo e, quando Nanook inizia a intagliare un blocco di ghiaccio, il suo scopo (quello di ricavare una finestra) non è immediatamente chiaro. Insieme alla macchina da presa scopriamo la sua ingenuità, così come ammiriamo la sua forza quando egli lotta con trichechi e foche. Le discussioni sullo stile, lo scopo e l'autenticità di questo film continueranno; ma, in qualità di documento umano, Nanook of the North possiede tempra e bellezza più che sufficienti per sopravvivere.
Interpreti: Nanook, Nyla, Alleegoo, Cunayou, Rainbow, Comock.
C. Sandburg, Nanook of the North, in "Chicago daily news", September 9, 1922, poi in Carl Sandburg at the movies, Metuchen (NJ)-London 1985.
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Nanuk: l'esquimese del cinema, a cura di A. Audisio e R. Mantovani, Torino 1998.