NanotecnologiaParte introduttiva
di Roberto Cingolani
Il termine indica l'insieme delle metodologie di manipolazione e studio della materia sulla scala del nanometro (1 nm=10−9 m). Questa è la scala di dimensione tipica delle molecole o di piccoli gruppi di atomi (nei cristalli tipicamente si allineano 2-3 atomi per nanometro), per cui il termine nanotecnologia è indicativo anche di tecnologie su scala atomica e molecolare.
Il primo riferimento alla n. risale al seminario tenuto dal fisico R. P. Feynman all'American Physical Society nel 1959 intitolato There's plenty of room at the bottom. Feynman suggerì un modo per manipolare atomi e molecole sviluppando una serie di macchine utensili in scala uno a dieci analoghe a quelle che si trovano in ogni negozio di meccanica. Questi piccoli strumenti sarebbero stati utilizzati per sviluppare e controllare la generazione successiva di utensili in scala uno a cento, e così via. Mano a mano che la dimensione diventava minore, sarebbe stato necessario ridisegnare alcuni utensili a causa della circostanza che il rapporto tra le varie forze sarebbe cambiato. Per es. la gravità sarebbe diventata meno importante mentre la tensione superficiale e le forze di Van der Waals sarebbero diventate più rilevanti. Il termine nanotecnologia fu utilizzato per primo da K.E. Drexel nel 1986 in Engines of creation: the coming era of nanotechnology, lavoro nel quale egli introdusse l'auto-replicazione, mimata dai sistemi viventi, come un'importante caratteristica specifica delle nanotecnologie. Le cellule costruiscono copie di loro stesse per riprodursi e i robot molecolari progettati dall'uomo potrebbero fare la stessa cosa. Robot assemblatori, potrebbero quindi costruire oggetti più specializzati che sarebbero direttamente utili agli esseri umani. I fattori necessari per questi processi di produzione sarebbero primari: atomi, energia, codici di assemblaggio (il software) e il tempo.
Il progresso delle n. è stato molto rapido, e nella sua fase iniziale è stato guidato dalla crescita delle tecnologie di alta integrazione per l'elettronica. Grazie al costante affinamento delle metodologie litografiche, l'industria elettronica è stata in grado negli ultimi trent'anni di raddoppiare ogni 18 mesi il numero di elementi circuitali contenuti in un circuito integrato, consentendo così il continuo miglioramento di prestazioni dei chip a parità di costo e di consumo energetico. Allo stato attuale le principali multinazionali dell'elettronica hanno raggiunto standard di produzione di massa con risoluzioni dell'ordine di 250-180 nm, e si prevede un ulteriore aumento costante della risoluzione dei processi litografici a 150-130 nm, e in futuro, anche sotto 100 nm. Ciò significa che un chip di 1 cm2 potrà contenere decine di milioni di elementi circuitali che consentiranno elevatissime capacità di calcolo e velocità. Questi valori rappresentano il limite delle tecnologie di integrazione su scala industriale, mentre, a livello sperimentale, si raggiungono risoluzioni litografiche migliori di 10 nm, che di fatto consentono la manipolazione di pochi atomi. L'insieme delle tecnologie litografiche definisce il cosiddetto approccio top-down delle n., basato sulla riduzione delle dimensioni di un cristallo (prevalentemente silicio, nel caso dell'industria elettronica) da macroscopiche a microscopiche ed eventualmente nanometriche.
La rincorsa alla miniaturizzazione, pur consentendo di ottenere chip sempre più potenti e strutture sempre più piccole, tende tuttavia al raggiungimento del limite quantistico della materia. Tale limite corrisponde alla situazione in cui la dimensione del singolo elemento circuitale diviene comparabile alla lunghezza d'onda di De Broglie dell'elettrone (o più semplicemente comparabile allo spazio che probabilisticamente la funzione d'onda dell'elettrone occupa nel dispositivo). In tal caso il sistema non funziona più secondo le leggi dell'elettromagnetismo classico e le normali grandezze associate alla corrente, alla resistenza e alla tensione non possono più essere considerate significative. Dal punto di vista fisico, il raggiungimento del limite quantistico della materia implica che il sistema su cui si opera è costituito da poche centinaia o migliaia di atomi, e quindi è di fatto comparabile alla dimensione di molte molecole organiche e biologiche, indipendentemente dal fatto che sia stato ottenuto per riduzione di un sistema macroscopico o per sintesi chimica diretta.
Il raggiungimento di questo limite è di fatto recente, come conseguentemente la necessità di affrontare il problema delle n. con la sintesi diretta di sistemi nanometrici per assemblaggio di atomi e molecole. Tale approccio, comunemente chiamato bottom-up, è ispirato alle tecnologie biologiche e chimiche, mentre quello top-down è prettamente di derivazione fisico-ingegneristica.
Dall'incrocio delle metodologie bottom-up e top-down è emerso un crescente interesse verso concetti e architetture completamente innovative per la sintesi di materiali e strutture nuove con caratteristiche progettate a priori.
Si parte dalla constatazione che la composizione atomica e molecolare di sistemi molto complessi quali i sistemi viventi è basata su alcuni componenti fondamentali, quali ossigeno, idrogeno, azoto, carbonio, calcio, zolfo, fosforo, ferro e magnesio, che a seconda del loro stato di assemblaggio creano le diverse varietà di sistemi viventi esistenti in natura. La principale differenza fra i diversi sistemi e le loro funzionalità, non sta tanto nella composizione quanto nella differente architettura di combinazione dei loro elementi costituenti. Le n. studiano tali sistemi confrontandoli con analoghi sistemi artificiali e inorganici al fine di comprendere e di imitare i processi naturali di organizzazione degli atomi e delle molecole sulla scala del miliardesimo di metro in modo funzionale, ordinato e controllato al fine di ottenere determinate proprietà macroscopiche. Per es., l'idea di creare degli specchi basati sulla modulazione periodica dell'indice di rifrazione per applicazioni alle telecomunicazioni ottiche (photonic band gap) è stata ispirata dalla struttura periodica dei pigmenti delle ali delle farfalle, che ne determinano il colore riflesso per diffrazione. Le photonic band gap sono infatti realizzate inserendo un reticolo di spazi vuoti in una matrice solida, in modo da avere una variazione periodica dell'indice di rifrazione che può essere sfruttata per guidare e deflettere la luce, come avviene con gli specchi e con le fibre ottiche. I nuovi materiali autopulenti, idonei a sfruttare il controllo della idrofobicità della superficie, copiano invece la morfologia microscopica delle superfici della pianta del loto (effetto loto), caratterizzata da una rugosità nanometrica a corto raggio sovrapposta a una rugosità micrometrica su aree maggiori, che determinano una diversa bagnabilità rispetto alle superfici non modulate. Il controllo delle idrofobicità e idrofilicità dei materiali, indotto dalla nanostrutturazione della superficie, ha importanti applicazioni anche in ambito biomedicale e biologico. Analogamente, la superficie adesiva delle zampe del geco presenta microspatole ad altissima densità (circa 480.000 a cm2) che aderiscono a qualsiasi superficie mediante forze di Van der Waals. Tale caratteristica consente al geco di camminare a testa in giù e di arrampicarsi su qualsiasi superficie senza cambiare la cinetica dei suoi passi. Teoricamente se tutte le microspatole aderissero perfettamente alla superficie, un geco potrebbe continuare a camminare sul soffitto anche se pesasse circa 40 kg. La morfologia del tessuto del geco viene quindi replicata nel tentativo di realizzare materiali che consentano all'uomo di camminare e arrampicarsi in verticale (effetto geco). Questi esempi mostrano chiaramente come l'approccio trasversale delle n. stia di fatto unificando concetti biologici con concetti chimico-fisici, per poter controllare e ingegnerizzare la materia su scala nanometrica. Per questo motivo la n. è divenuta una disciplina profondamente interdisciplinare, sia come approccio scientifico a problemi fondamentali, sia come metodo di risoluzione di problemi applicativi. L'insieme di concetti, architetture materiali e processi sviluppati con metodi top-down e bottom-up abilitano numerose applicazioni in settori diversi della tecnologia.
La ricerca di base
Le n. hanno contribuito alla ricerca di base aprendo importanti settori di indagine sulle proprietà quantistiche della materia organica e inorganica, che hanno a loro volta ispirato sia la creazione di nuovi sistemi sperimentali di misura sia di nuovi metodi e modelli di calcolo. L'insieme di questi studi mira a descrivere il comportamento della materia sulla scala del nanometro, e i possibili effetti su scala macroscopica delle proprietà su scala atomico-molecolare, con un forte incremento dell'interdisciplinarietà delle scienze fisiche, matematiche, naturali e dell'ingegneria. Certamente l'aspetto fondamentale che più ha caratterizzato le n. negli ultimi decenni è stato quello del confinamento quantistico degli elettroni in regioni di spazio infinitamente piccole. Alla base di tutti i sistemi a nanoscala vi è infatti il concetto che riducendo progressivamente la dimensione di un solido sino alla scala dei nanometri, le funzioni d'onda elettroniche vengono progressivamente confinate sino ad assumere caratteristiche di tipo atomico. Questo è quello che avviene, per es., quando la dimensione fisica di un cristallo di semiconduttore viene ridotta a qualche decina di nanometri come nel caso dei quantum dot: le bande di stati elettronici del semiconduttore scompaiono e vengono progressivamente rimpiazzate da stati elettronici discreti, con un forte incremento dell'energia di quantizzazione indotto dalla riduzione di dimensione. Si ottengono in questo caso dei veri e propri atomi artificiali che possono essere progettati e realizzati con energie elettroniche ben controllate a seconda delle applicazioni di interesse (elettronica, fotonica, materiali compositi). Tali effetti, dimostrati sperimentalmente grazie all'avvento delle tecnologie di fabbricazione epitassiale dei semiconduttori negli anni Ottanta e Novanta del 20° secolo (epitassia da fasci molecolari ed epitassia da fase vapore metallorganica), sono ampiamente sfruttati per progettare nuovi materiali e dispositivi, e rappresentano una delle più straordinarie evidenze dei principi di base della meccanica quantistica. Storicamente, un altro campo di studio che ha catalizzato l'interesse sulle n. è quello delle nanostrutture di carbonio. Le nanostrutture basate sull'elemento carbonio vengono denominate diamantoidi e assumono forme e caratteristiche uniche, come nel caso dei nanotubi di carbonio o dei cluster sferici di carbonio (C60). Oltre a rappresentare interessantissimi sistemi prototipali per lo studio delle proprietà quantistiche della materia sulla scala del nanometro, i nanotubi di carbonio hanno anche interessanti proprietà di conduzione elettrica e resistenza meccanica. Per es., opportunamente raggruppati in numerose unità (tipicamente 50.000) essi potrebbero essere impiegati per la costruzione di cavi sottilissimi del diametro pari a un capello e 100 volte più resistenti di un cavo d'acciaio delle stesse dimensioni.Applicazioni delle nanotecnologie
di Roberto Cingolani
Nanoparticlelle e tecnologie molecolari
Un settore molto ampio di indagine delle n. riguarda la sintesi e l'utilizzo di strutture molecolari e atomiche ingegnerizzate. Si parte dal presupposto che qualsiasi struttura chimicamente stabile è ingegnerizzabile e può essere sintetizzata in laboratorio: una molecola può quindi essere scomposta e i suoi componenti possono essere riuniti in un'altra molecola. È possibile pertanto sfruttare la capacità di interagire, muoversi e reagire all'ambiente esterno di alcune molecole, per assemblare dei motori in grado di funzionare per un dato periodo di tempo con una quantità d'energia infinitesima. Allo stesso modo è possibile aggregare delle molecole in un dispositivo in grado di captare delle informazioni e trasmetterle con dissipazione di potenza estremamente piccola. L'esistenza in natura di oltre un milione di molecole organiche permette di fatto un numero pressoché infinito di possibili combinazioni di composti. In generale si considerano due tipologie di molecole, distinte principalmente per la loro dimensione: i polimeri, costituiti da lunghe catene di gruppi chimici che arrivano a dimensioni delle centinaia di nanometri, e gli oligomeri, costituiti da piccole catene di pochi gruppi con dimensione complessiva dell'ordine di qualche nanometro. Le caratteristiche chimico-fisiche di queste molecole possono essere variate con un alto livello di controllo inserendo gruppi chimici specifici in posizioni determinate lungo le catene, in modo da poterne variare la conducibilità elettrica, le caratteristiche meccaniche e le proprietà chimiche macroscopiche. L'ingegnerizzazione dei polimeri, per es., ha consentito in tempi recenti di ottenere delle plastiche che emettono luce, per la realizzazione di LED (Light Emitting Devices) completamente organici, ma anche di realizzare materiali conduttori per l'elettronica e materiali con caratteristiche di elasticità e resilienza superficiale controllate. Le applicazioni dei polimeri ai dispositivi emettitori di luce (OLED, Organic Light Emitting Devices) è certamente uno dei settori in maggior crescita nel campo delle n. organiche. Il concetto fondamentale è quello di sfruttare speciali molecole che hanno un comportamento uguale a quello dei semiconduttori per realizzare dei diodi composti da film di specie molecolari diverse. Il diodo organico può essere realizzato con tecniche molto semplici quali, per es., lo spin-coating o l'evaporazione, e può essere deposto su qualsiasi substrato (plastica, vetro ecc.) consentendo grande flessibilità di utilizzo ed economia rispetto a equivalenti sistemi basati su semiconduttori inorganici (LED). Il colore della luce e le caratteristiche fisiche (vale a dire efficienza, luminanza ecc.) degli OLED possono essere controllate e variate mediante l'ingegnerizzazione del polimero in fase di sintesi, e danno quindi una grande flessibilità in fase di progetto.
Dispositivi simili cominciano a essere disponibili anche con gli oligomeri, per quanto essi necessitino di tecniche di fabbricazione più complesse. In generale la disponibilità di molecole piccole ha anche importanti applicazioni nella diagnostica biomedicale e farmaceutica.
Un'estensione del concetto di n. molecolare è rappresentata dai cluster di atomi (nanoparticelle) che hanno dimensioni e caratteristiche fisico-chimiche comparabili a quelle delle molecole naturali, e che vengono anche generalmente chiamati molecole artificiali. Come già accennato, i cluster di carbonio sono stati i primi e più studiati esempi di questa classe di nanomateriali. I cluster C60 sono composti da 60 atomi di carbonio disposti sulla superficie di una struttura sferica simile a un pallone da calcio, mentre i nanotubi di carbonio sono composti da celle esagonali di atomi di carbonio disposti intorno a un asse di un cilindro (formando dei tubi del diametro di circa 2 nm e di lunghezza infinita rispetto al diametro). Tali strutture vantano molteplici proprietà e applicazioni, fra cui conduzione elettrica di tipo p o n, emissione di luce e, opportunamente inseriti in matrici amorfe, vengono impiegati per realizzare strutture rinforzate quali fibre di carbonio e materiali compositi.
Il progresso delle metodologie di sintesi ha portato allo sviluppo di altre tipologie di nanoparticelle, non necessariamente composte da carbonio, e di forma e dimensioni completamente ingegnerizzate. Una delle metodologie più usate è quella della precipitazione colloidale, in cui le nanoparticelle vengono formate per precipitazione da una soluzione satura di composti precursori, in specifiche condizioni di temperatura e in presenza di molecole tensioattive che controllano e limitano il processo di aggregazione delle nanoparticelle. La combinazione e il controllo di questi parametri permette di fabbricare nanoparticelle di semiconduttori, ossidi e metalli, con forme sferiche, cilindriche o diramate, e con dimensioni controllabili da pochi a qualche centinaio di nanometri. Le applicazioni di queste nanoparticelle spaziano dalle tecnologie nel settore atutomobilistico alla medicina. Nanoparticelle di ossidi metallici e titanio, possono efficacemente essere usate per realizzare nuovi sistemi per la catalisi, mentre l'introduzione di nanoparticelle metalliche o di ossidi in matrici diverse permette il controllo delle proprietà fisico-chimiche delle superfici, come la bagnabilità o la capacità di autopulirsi di alcuni materiali in presenza di radiazione solare (self-cleaning surfaces), o la variazione delle caratteristiche di durezza, conducibilità termica ed elettrica di semiconduttori, metalli e isolanti.
Nell'ambito delle applicazioni biomedicali, nanoparticelle opportunamente funzionalizzate consentono di marcare cellule e specie biologiche in maniera selettiva, rivelandone la presenza mediante emissione di fluorescenza. Altresì, nanoparticelle costituite da metalli e ossidi biocompatibili, possono essere impiegate per trasportare dosi molto piccole di specifici medicinali direttamente sui siti di insorgenza di determinate malattie (infezioni, infiammazioni, neoplasie) grazie al meccanismo di riconoscimento biochimico garantito da specifici recettori attaccati a una delle due parti della nanoparticella. Tali tecnologie, comunemente indicate con il termine di intelligent drug delivery, possono inoltre avvantaggiarsi delle proprietà magnetiche di queste particelle che permettono simultaneamente di aumentare il contrasto e la selettività in fase di imaging diagnostico con tecniche di tipo risonanza magnetica.
Tecnologia dell'informazione ed elettronica
Un settore che ha visto fra i primi le ricadute delle n. nel quotidiano è quello dell'elettronica. L'incremento costante dell'integrazione circuitale nei chip ha permesso la crescita formidabile dei computer, della telefonia cellulare e in generale di tutte le tecnologie oramai di uso comune nella società dell'informazione. Si stanno contestualmente studiando anche principi nuovi, quali l'informazione quantistica, basata su una codifica dell'informazione non elettronica ma per l'appunto quantistica, o i dispositivi molecolari completamente plastici per applicazioni all'elettronica di consumo di bassissimo costo.
Un'altra area di grande interesse riguarda lo sviluppo di nuove tecnologie adibite alla fabbricazione di dispositivi ottici per le telecomunicazioni ultraveloci. Si ritiene che queste tecnologie siano le uniche in grado di abilitare il trasferimento dei dati a velocità dell'ordine dei terabit/s, ritenuti indispensabili per comunicare attraverso Internet ad altissima velocità, telelavoro da casa, commercio interattivo in rete, televisione interattiva, cure mediche on-line, istruzione in rete ecc. Un'ulteriore linea di sviluppo è rappresentata dai nuovi dispositivi elettronici e fotonici di dimensione nanometrica, che consentono di elaborare segnali sotto forma del passaggio di un singolo elettrone, o di emettere segnali luminosi costituti da pochi (virtualmente singoli) fotoni. Questo riduce drasticamente le potenze elettriche di alimentazione e le soglie di corrente di funzionamento rendendo attuabile la costruzione di reti e sistemi complessi costituti da moltissimi elementi. Infine sono da menzionare le ricerche nel settore dei materiali polimerici e delle molecole organiche per lo viluppo di sorgenti di luce (LED e laser) di tipo completamente plastico. Tali strutture, oltre ad avere formidabili vantaggi di tipo strutturale (sono flessibili e ultrapiatte) hanno anche elevatissime efficienze luminose e costi molto inferiori ai corrispondenti dispositivi inorganici e sono i naturali candidati per le prossime generazioni di display e televisori ultrapiatti, di schermi avvolgibili per giornali e libri elettronici anche di tipo tascabile (il cosiddetto libro universale, un display plastico ultrapiatto e tascabile che collegato wireless alla rete Internet permette di leggere i giornali e qualsiasi libro in rete).
Applicazioni aerospaziali/veicoli
In questo settore le n. hanno un forte impatto, sia in termini di nuovi materiali sia di miglioramento delle caratteristiche dei mezzi aerospaziali. Dal punto di vista strutturale si cerca di migliorare le caratteristiche meccaniche (durezza, elasticità) dei materiali senza alterarne il peso specifico, mediante inclusione di nanoparticelle e fibre speciali (nanocementazione), per ottenere mezzi a basso consumo e ad alta resistenza meccanica. È inoltre di grande rilievo la tecnologia dei coatings ad altissima resistenza termica e meccanica, per la protezione superficiale di parti dei motori soggette a forte usura. Si è inoltre sviluppata la tecnologia delle fibre di carbonio o metalliche in matrici vetrose e plastiche per nuovi materiali ultraleggeri, ad alta resistenza e con ottime caratteristiche di lavorabilità.
Sempre nel settore aerospaziale e degli autoveicoli, hanno assunto crescente importanza i nuovi sensori di accelerazione, velocità, sensori giroscopici ecc. che sono integrati in complessi sistemi di controllo del mezzo, e che garantiscono risposte veloci e altamente affidabili anche nelle condizioni di utilizzo più gravose. Esiste inoltre un ampio settore di ricerca militare orientato allo sviluppo dei veicoli microaerei (MAV, Micro Air Vehicle). Tali dispositivi sono dei piccoli robot-spia lunghi qualche centimetro in grado di volare per svariate decine di minuti e di raggiungere una velocità dell'ordine di 70 km/h. Lo scopo di questi dispositivi è evidentemente quello di fornire una ricognizione aerea fotografica di siti pericolosi o irraggiungibili all'uomo (vedute aeree di campi e basi, interni di edifici impenetrabili ecc.). Lo scopo delle n. in questo settore è quello di miniaturizzare ulteriormente questi microvelivoli, riducendoli al livello di un insetto, e di sviluppare la modalità di operazione in sciami, con capacità non solo di ricognizione ma anche, ove necessario, di attacco e difesa.
Ambiente ed energia
Il settore ambiente ed energia è un altro campo di grande rilevanza per le nanotecnologie. Le tecnologie di maggior impatto in questo settore riguardano i processi di catalisi, la purificazione e il trattamento dei materiali basati su nanosistemi, le nuove metodologie di packaging e conservazione di alimenti, e i nuovi materiali per la produzione fotovoltaica di energia. In generale la maggior parte di queste tecnologie fa uso di materiali innovativi e membrane con porosità sulla scala dei nanometri per catalisi ad alta efficienza in applicazioni farmaceutiche, biologiche e alimentari. Sono inoltre in fase di sviluppo nuovi materiali environment-friendly, fra cui gomme per pneumatici, filtri, liquidi di raffreddamento e lubrificanti, polveri decontaminanti che fanno uso di nanoparticelle incluse nella matrice per variare alcune proprietà macroscopiche (per es. la riduzione dell'attrito nel caso dei pneumatici mediante inclusione di nanoparticelle di ossidi nel battistrada). Infine sono da menzionare le nuove celle solari a base polimerica, che pur avendo efficienze non molto elevate (dell'ordine del 3-4%) hanno costi di realizzazione molto ridotti.
di Fabio Beltram
Le n. biomediche soddisfano una particolare esigenza in campo biologico o medico utilizzando materiali e sistemi le cui proprietà peculiari sono determinate da specifiche porzioni di dimensione nanometrica. Questo è un ambito di applicazione del tutto naturale per la n., dal momento che i sistemi biologici sono composti da elementi la cui dimensione caratteristica è proprio il nanometro (nm): la dimensione tipica di una proteina va infatti da uno a qualche decina di nm; lo spessore delle membrane cellulari è di 5-10 nm. Notevole è la rilevanza della n. per l'analisi in vivo, in ambito diagnostico e terapeutico. Questa scelta è suggerita dal fatto che le principali caratteristiche dei sistemi nanostrutturati, ovvero a bassa invasività, estrema compattezza e multifunzionalità, sono particolarmente adatte alla realizzazione di sistemi e dispositivi ideali per intervenire in vivo su cellule, tessuti o organismi completi. Termini spesso considerati intercambiabili con n. biomedica sono nanobiotecnologia e bionanotecnologia. È necessario tracciare un confine tra la n. biomedica e la biotecnologia, la farmacologia, la stessa chimica organica. La definizione operativa data sopra rende queste ultime tre discipline progressivamente più lontane dal campo di interesse. Le biotecnologie si sono sviluppate in un contesto culturale e disciplinare diverso, ma hanno fornito i primi sistemi con le caratteristiche tipiche dei prodotti delle n. biomediche. Può essere utile considerare le biotecnologie come una sottofamiglia delle n. adatta ad affrontare alcune delle problematiche proprie delle n. biomediche. La farmacologia e, ancor più, la chimica organica, benché intrinsecamente coinvolgano modifiche su scala molecolare, e quindi nanometrica o subnanometrica, riguardano sistemi più semplici e privi della multifunzionalità e programmabilità caratteristiche dei sistemi ottenibili con la nanobiotecnologia. Nell'ambito della n. biologica vanno inclusi anche sistemi macroscopici, quando le loro proprietà qualificanti siano essenzialmente determinate da loro caratteristiche (forma, composizione) definite su scala nanometrica. È paradigmatico il caso del lab-on-a-chip, un microsistema che integra le funzioni di un intero laboratorio di analisi. La complessa struttura interna di questi dispositivi, che può comprendere componenti micro/nanofluidici, sensori, indicatori, rende questi sistemi nettamente distinti da un nanomateriale (il prodotto tipico della chimica organica), ma li dota di una straordinaria sensibilità e multifunzionalità. Taluni dei prodotti della nanobiotecnologia sono descritti come nanorobot. Questo termine può efficacemente identificare strutture di dimensioni nanometriche che, per la loro particolare conformazione, sono dotate di domini capaci di riconoscimento molecolare (biosensori) e che a seguito del riconoscimento possono cambiare conformazione (nanoattuatori) e attivarsi chimicamente, per es. esponendo un dominio con azione farmacologica, oppure inviare un segnale rivelabile su scala macroscopica per consentire una diagnosi a livello molecolare.
I metodi delle nanotecnologie biomediche
La varietà dei metodi a disposizione della n. è altissima e deriva dal fatto che questa disciplina ha assorbito, combinato e potenziato le metodologie più avanzate della fisica, della biologia, della chimica e dell'ingegneria (Springer handbook of nanotechnology 2004). È quindi forse sorprendente che da questa eterogeneità emerga una profonda unitarietà di approcci e di visione. Tuttavia, considerando due elementi tipici del mondo della biologia e di quello della fisica, una proteina e un nanoaggregato di materiale semiconduttore, questi non sono significativamente diversi sulla scala del nanometro. L'analisi strutturale e funzionale e la modifica a livello molecolare possono procedere secondo schemi affini per entrambi. Di conseguenza, i metodi sviluppati dall'industria elettronica alla fine del 20° sec. si trasferiscono in modo del tutto naturale all'ambito biologico: questo processo è molto fecondo e porta a una nuova capacità di disegno e programmazione dei sistemi biologici con un impatto senza precedenti e genera una forte esigenza di multi- e interdisciplinarità nell'affrontare le sfide della n. biomedica. Resta traccia della diversa origine delle tecnologie nella distinzione tra metodi detti top-down e bottom-up. Tendiamo ad assegnare un'origine rispettivamente fisico-ingegneristica e biologico-chimica alle due tecnologie, ma la situazione è più complessa e i due metodi spesso sono utilizzati congiuntamente. La produzione di proteine, per es., normalmente prevede la sintesi a partire da precursori a più basso peso molecolare attraverso polimerizzazione (un processo quindi tipicamente bottom-up), ma spesso vengono così prodotti solo dei nuovi precursori dai quali le molecole desiderate sono ottenute per clivaggio chimico o enzimatico (metodo top-down).
Sensori e nanoattuatori
Un esplicito obiettivo della nanobiotecnologia è la rivelazione della singola molecola, in cellule vive e perfino in organismi completi. Corollario di questo obiettivo è la rivelazione delle interazioni molecolari a livello di singolo evento. La disponibilità di metodologie che consentono questa sensibilità estrema in ambito biomedico ha implicazioni straordinarie, come verrà evidenziato nelle prossime sezioni. Possiamo individuare essenzialmente due aree di sviluppo: il riconoscimento molecolare programmato e la produzione di segnali intensi, rivelabili su scala macroscopica all'esterno del sistema biologico studiato e associabili in modo univoco all'evento molecolare di interesse. Un esempio paradigmatico è la verifica dello stato di attivazione di un gene in una cellula. Questo può essere effettuato attraverso la rivelazione della presenza nella cellula stessa della proteina codificata dal gene. Non sono però disponibili metodi che permettano di visualizzare direttamente una proteina in una cellula vivente. Un approccio molto attraente consiste nel fornire alla cellula l'informazione genetica perché possa produrre essa stessa la specie di interesse già dotata di un'opportuna 'etichetta' fluorescente (si parla di marcatori fluorescenti o fluorofori). Questo richiede la manipolazione del patrimonio genetico della cellula studiata con l'inserzione di un nuovo segmento di DNA codificante per la proteina fluorescente adiacente al gene di interesse. L'espressione del nuovo gene produce così la sintesi di una proteina chimerica che consiste nella proteina codificata dal gene fusa al fluoroforo scelto. Anche un singolo fluoroforo sufficientemente brillante può, a seguito di stimolazione ottica alla frequenza opportuna, rispondere con un segnale ottico a frequenza diversa (fluorescenza) rivelabile dall'esterno con metodi esclusivamente ottici e del tutto non invasivi. La presenza del segnale si correla direttamente con la presenza della proteina codificata e mostra lo stato di attivazione del gene. Non solo lo stato di attivazione del gene diventa 'visibile', ma la proteina prodotta può essere seguita in tempo reale nella cellula vivente per stabilirne la localizzazione e, come vedremo, la dinamica e le interazioni. Esiste una vasta classe di proteine fluorescenti derivate dalla proteina verde fluorescente (GFP) isolata nella medusa Aequorea victoria (Green fluorescent proteins, 1999). Questa proteina eterologa possiede alcune straordinarie proprietà: può essere prodotta con le sue proprietà di fluorescenza intatte anche in cellule diverse da quelle dell'organismo originario (in particolare anche in cellule di mammifero), possiede un'elevatissima brillantezza, quando è fusa come etichetta fluorescente alla molecola di interesse raramente ne altera la funzionalità. La GFP e le sue mutanti (e altre proteine omologhe) sono uno strumento di indagine potentissimo per la biologia molecolare e hanno aperto la strada allo studio dell'espressione genica, della localizzazione cellulare, del trasporto intracellulare e intercellulare a livello di singola molecola con l'utilizzo di un semplice microscopio a fluorescenza. Questo strumento consente di eccitare otticamente il campione biologico con la radiazione desiderata (scelta in base alle caratteristiche di assorbimento del fluoroforo utilizzato), visualizzando al tempo stesso la radiazione emessa e la sua localizzazione spaziale nelle cellule. La n. mette a disposizione mezzi per il progetto e la produzione di GFP con le caratteristiche ottiche desiderate, ma anche marcatori molto diversi dalla GFP. Un esempio rilevante sono i nanocristalli fluorescenti. Questi aggregati di materiale semiconduttore o metallico derivano le loro proprietà (in particolare frequenza di eccitazione e frequenza di emissione) dalla loro dimensione. Taglie diverse determinano infatti stati elettronici diversi nei nanocristalli attraverso il fenomeno fisico del confinamento quantistico, con conseguenti diverse proprietà ottiche (Alivisatos 2004; Michalet, Pinaud, Bentolila et al. 2005). Aggregati più piccoli assorbono ed emettono radiazione a frequenze più elevate e la n. consente di ottenere con altissima regolarità famiglie di nanoaggregati con le dimensioni desiderate (da alcune centinaia ad alcune decine di migliaia di atomi per nanocristallo), mettendo a disposizione fluorofori attivi su tutto lo spettro visibile. Rispetto alle proteine fluorescenti, questi fluorofori offrono una brillantezza maggiore e una migliore stabilità a prolungati periodi di eccitazione, ma devono tipicamente essere introdotti dall'esterno, non essendo sintetizzabili dalla cellula. Spesso poi sono necessari processi aggiuntivi per garantire la biocompatibilità e la funzionalizzazione con le specie biologiche opportune. La disponibilità di fluorofori eccitabili individualmente e con risposta ottica distinta è molto utile. È infatti possibile seguire più specie contemporaneamente, ma, forse ancora più significativamente, è possibile controllare, a livello di singolo evento, le interazioni molecolari. La possibilità di verificare con un microscopio ottico (la cui risoluzione è sostanzialmente legata alla lunghezza d'onda utilizzata, quindi di poco migliore del micron) la posizione relativa di oggetti nanometrici come quelli di interesse biologico non deve essere data per scontata. La colocalizzazione del segnale di due fluorofori indica soltanto che due oggetti nanometrici si trovano contemporaneamente in una regione caratterizzata da una lunghezza dell'ordine del micron. Questo non implica che le specie marcate dai due fluorofori stiano interagendo sulla scala loro propria, il nanometro. L'utilizzo di coppie di fluorofori opportuni rende questa verifica possibile e porta la risoluzione del microscopio al limite del nanometro. Questo risultato straordinario è basato sul trasferimento risonante di energia di fluorescenza (FRET, Fluorescence Resanance Energy Transfer) e richiede l'utilizzo di coppie di fluorofori complementari (accettori e donatori), tali cioè che le energie di assorbimento dell'accettore siano sovrapposte con le energie tipiche di emissione del donatore (Selvin 2000). Quando i due fluorofori si trovano a distanze dell'ordine del nanometro l'eccitazione del donatore è seguita dall'emissione dell'accettore; se le distanze sono invece superiori, si registra l'emissione del donatore. Se consideriamo l'esempio di due mutanti della GFP, l'uno che assorbe nell'ultravioletto ed emette nel blu (BFP) e uno, come la GFP capostipite, che assorbe nel blu ed emette nel verde, fusi a due proteine di cui si voglia esaminare la possibilità e le condizioni nelle quali eventualmente interagiscano, l'eccitazione nell'ultravioletto porterà a un segnale blu in assenza di interazione, e a un segnale verde in presenza di interazione. Con un semplice microscopio ottico è così possibile visualizzare in vivo e in tempo reale il verificarsi di eventi sulla scala del nanometro. Questo schema è anche alla base della realizzazione di molecole sensore. Sono stati realizzati i primi sistemi costituiti da donatore e accettore legati da una porzione molecolare flessibile che può assumere diverse configurazioni a seconda della presenza nell'ambiente di determinate specie (per es., ioni o altre proteine). Sotto eccitazione del donatore, in presenza dell'analita da rivelare, il complesso assume una configurazione che avvicina donatore e accettore sulla scala necessaria per il FRET e dall'esterno il sistema risulta mutare di colorazione (nell'esempio precedente, dal blu al verde). Questi elementi sensibili sono stati chiamati camaleonti e offrono uno straordinario potenziale come strumenti diagnostici (Gaits, Hahn 2003; Sato, Ozawa, Inukai et al. 2002). In molti casi non è possibile o desiderabile modificare il campione biologico studiato e il marcatore fluorescente deve essere introdotto dall'esterno e dotato della capacità di riconoscere la presenza della molecola ricercata. Come per le molecole camaleonte descritte sopra, questo richiede la realizzazione di sistemi più complessi ed essenzialmente una funzionalizzazione del marcatore con un dominio altamente specifico, capace di legare selettivamente la specie di interesse. Il riconoscimento molecolare è una sfida molto complessa. Anche quando sono disponibili informazioni strutturali dettagliate sulla specie ricercata - e per molti casi di interesse non è così - un approccio che consenta di disegnare la specie complementare che rende possibile la coniugazione selettiva non è comunque disponibile. In molti casi questo è ricollegabile all'incapacità di predire con simulazioni al calcolatore la conformazione spaziale di una proteina dalla conoscenza della sua sequenza aminoacidica. Il grande sforzo di ricerca in questa direzione a livello internazionale giustifica un certo ottimismo sul fatto che questo obiettivo sarà accessibile nei prossimi anni. Questo disegno razionale delle molecole è uno degli obiettivi primari della nanobiotecnologia biomedica con ricadute importantissime anche sul progetto di farmaci (drug design) e attualmente richiede la combinazione di tecniche di modellizzazione al calcolatore e l'analisi sperimentale di vastissime classi di composti affini (decine o centinaia di migliaia) con cicli di prova dispendiosi dal punto di vista economico e dei tempi necessari per l'individuazione della molecola con le caratteristiche ricercate. Spesso il successo di una strategia di rivelazione molecolare richiede un ulteriore difficile passo: la modifica strutturale della nanostruttura a seguito del riconoscimento molecolare. Il camaleonte è un esempio di questa tipologia in cui al riconoscimento segue la generazione di un segnale rivelabile dall'esterno: una situazione di interesse in ambito diagnostico. In altri casi il cambio di configurazione può avere lo scopo di esporre domini chimicamente attivi che possono esercitare una funzione farmacologica: il farmaco sarà così attivo solo nei siti desiderati, riducendo gli effetti collaterali della terapia. Non sono disponibili ancora schemi costruttivi affidabili a livello molecolare paragonabili ai collaudati metodi della n. in ambito non biomedico. Anche in questo caso la dimensione dello sforzo di ricerca e sviluppo è di tale intensità da far prevedere che questi sistemi saranno tra i primi prodotti della n. biomedica a vasta diffusione.
Applicazioni in diagnostica
La possibilità di rivelare la presenza di una singola molecola in un campione biologico o in un organismo completo apre scenari diagnostici straordinari. Possiamo distinguere due linee di sviluppo: da una parte i sistemi che permettono l'analisi di campioni biologici in modo automatico, con altissima sensibilità e con limitata o nulla preparazione del campione stesso prima dell'analisi, dall'altra l'analisi sull'organismo intero. Il sistema caratteristico per la prima tipologia è il già nominato lab-on-a-chip, un dispositivo complesso che riproduce l'intera funzionalità di un laboratorio di analisi su un supporto solido di dimensioni molto contenute e di facile utilizzo, al punto da non richiedere l'intervento di personale specializzato. Si possono immaginare questi sistemi come lo sviluppo dei semplici dispositivi oggi disponibili, per es. per misurare il tasso glicemico. I lab-on-a-chip consentiranno l'autodiagnosi di complesse patologie grazie alla loro capacità di analizzare i campioni senza bisogno di trattamenti complessi e richiedendo volumi di materiale biologico estremamente contenuti grazie all'elevata sensibilità. Le componenti tipiche di un lab-on-a-chip sono elementi micro- e nanofluidici per la manipolazione del campione biologico e dei reagenti in modo automatizzato, diverse regioni di analisi dove sensori opportuni rivelano la presenza di una particolare specie, elementi che trattano il campione per prepararlo ai diversi passi di analisi (trattamenti in temperatura, miscelazioni). Questo tipo di analisi veloce e automatizzata è di particolare interesse non solo perché consente al paziente la sua effettuazione in modo completamente autonomo, ma anche per il personale specializzato in particolari condizioni, quando la rapidità di risposta è importante. Un esempio tipico è l'analisi di un campione biologico durante un intervento chirurgico per guidare le successive scelte operatorie. La seconda tipologia fa riferimento all'utilizzo dei sistemi nanorobotici. Numerose repliche di questi nanosistemi verranno inalate o saranno iniettate nel paziente e per le loro dimensioni potranno liberamente esaminare l'intero organismo. La presenza di domini di riconoscimento molecolare consentirà l'identificazione delle specie ricercate sia in cellule sia nei fluidi corporei. Come discusso sopra, a seguito del riconoscimento i nanosistemi cambieranno configurazione producendo un segnale rivelabile già quando si trovano all'interno dell'organismo o all'esterno dopo la loro espulsione. La capacità di rivelare segnali biologici estremamente deboli apre la strada alla diagnosi precoce di numerosissime patologie, come nel caso particolarmente importante del cancro.
Sebbene questi complessi scenari siano lontani anni dalla pratica medica, importanti contributi diagnostici basati sulla n. biomedica sono disponibili o di prossima disponibilità nell'ambito della diagnostica per immagini. Un esempio particolarmente interessante è quello della risonanza magnetica nucleare (RMN), un diffuso metodo per l'indagine diagnostica. Numerosi studi sono in corso per mettere a disposizione mezzi di contrasto 'intelligenti' capaci di accumularsi, in condizioni patologiche, in specifici comparti aumentando così enormemente la sensibilità della RMN e, conseguentemente, la capacità di effettuare diagnosi precoci.
Uso in terapia
La rilevanza in ambito terapeutico del nanorobot descritto poco sopra è facilmente comprensibile. In un primo esempio, al riconoscimento molecolare può essere fatto seguire un cambio di configurazione con l'esposizione di un dominio di rilevanza farmacologica. Continuando a considerare l'esempio del cancro, una simile strategia potrebbe portare all'eliminazione delle cellule cancerose ai primissimi stadi della patologia. La n. biologica promette quindi una nuova terapia basata su farmaci intelligenti che potranno essere somministrati in via preventiva per proteggere da vaste classi di patologie e, significativamente, questi farmaci potranno essere progettati in modo specifico per ogni individuo in base al suo particolare corredo genetico. Un secondo esempio di questa 'medicina molecolare' può essere fatto con riferimento alla terapia genica. I sistemi nanorobotici della nanobiotecnologia possono infatti fornire tutti gli elementi necessari alla correzione delle patologie di origine genetica. L'elemento base è il vettore, una sorta di trasportatore molecolare capace di trasferire l'elemento di interesse - in questo caso il tratto di DNA - nella corretta posizione. Sono possibili schemi di trasporto attivo o che utilizzano opportuni segnali molecolari per sfruttare i meccanismi di trasporto cellulare; anche qui il ruolo centrale del riconoscimento molecolare è evidente per il successo della terapia e va oltre l'ambito della terapia genica. Diversi vettori sono in corso di identificazione e sviluppo sia di tipo altamente specifico, come nel caso ora considerato, sia di tipo aspecifico, con lo scopo di consentire il trasporto dei nanorobot diagnostici, o terapeutico in tutti i domini di un organismo. è stato evidenziato che l'aspetto caratterizzante della n. biomedica è il portare la biologia e la medicina al livello molecolare. Questo ha implicazioni anche fuori dagli ambiti strettamente diagnostici e farmacologici qui delineati. La capacità di scambiare informazioni molecolari con le cellule ha un grande significato per la realizzazione di protesi innovative che siano direttamente interfacciate con il sistema nervoso del ricevente e per la stessa rigenerazione guidata di organi interni. La ricerca e lo sviluppo stanno ora affrontando le sfide aperte da questi obiettivi. Esempi sono il controllo della crescita neuronale, la conoscenza dei dettagli della comunicazione chimica ed elettrica intra- e interneuronale, lo scambio di informazione tra circuito elettronico e circuito neuronale biologico. La n. promette di costituire il motore di una nuova rivoluzione che caratterizzerà il 21° sec. in ambiti diversissimi, incluso quello biomedico. È notevole che, benché nasca da molti sviluppi di carattere incrementale in diverse discipline, essa non abbia carattere di continuità con i metodi e le idee del passato; anzi è visibile una vera cesura che appare estremamente fruttuosa e sta portando nella scienza a un nuovo modello, anche culturale, che fonde discipline tradizionalmente diverse e apre straordinarie prospettive di sviluppo.bibliografia
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