LOMELLINI, Napoleone
Nacque intorno al 1320 presumibilmente a Genova da Leonello di Pietrino, impegnato nei commerci, e da una Caracosa di casato ignoto.
Presenti a Genova sul finire del XII secolo, forse di antica origine popolare, i Lomellini - discesi da un "Bonvassallus de Lumello", console nel 1197 - rivendicavano una diretta origine dall'antica schiatta feudale dei conti palatini di Lomello, divisi in numerosi rami, sparsi tra Pavia, la Lomellina e l'Oltrepò. Più che questa supposta ascendenza, rafforzata dall'adozione di pratiche familiari assai chiuse a ingerenze esterne alla consorteria, fu però l'esercizio della mercatura che diede modo alla famiglia di emergere all'interno del ceto cittadino, permettendole di conseguire, agli inizi del Trecento, lo status nobiliare. Tale risultato, ottenuto anche grazie alla militanza nel partito guelfo e al favore di Roberto d'Angiò, a lungo signore di Genova, non comportò peraltro da parte dei Lomellini una partecipazione attiva alle vicende politiche cittadine; essi ne rimasero piuttosto ai margini, attenti a incrementare i propri affari, che li vedevano protagonisti di notevole rilievo sia sui mercati del Levante sia sulle piazze commerciali di Londra e di Bruges. Fu solo dopo l'avvento del dogato popolare di Simone Boccanegra, avverso ai magnati ma aperto alla collaborazione con la nobiltà imprenditoriale, che la presenza dei Lomellini nella vita pubblica genovese si fece più incisiva. Segno di questo loro mutato atteggiamento fu, nel 1343, l'acquisto della signoria di Masone, nell'alta Valle Stura, in un'epoca in cui castelli e terre dell'entroterra genovese erano possesso esclusivo delle grandi casate nobiliari (Doria, Spinola, Fieschi). Questo acquisto avvenne per opera di Angelo, zio paterno del L., ricco mercante e banchiere, monopolista del ferro dell'Elba.
Il L. si dedicò giovanissimo alla mercatura, sulle orme del padre e dello zio, operando soprattutto a Napoli e nel Meridione, dove i guelfi Lomellini godevano della protezione dei sovrani angioini dai quali avevano ottenuto privilegi, titoli e cariche: si riferisce infatti alla sua permanenza napoletana il primo documento che lo riguarda, datato 1343 (Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. V.3.19).
Negli anni successivi egli pose le basi per la sua grande fortuna, investendo i guadagni ricavati dai commerci e dalle speculazioni bancarie sia nel debito pubblico cittadino sia nell'acquisto di beni immobili. In particolare, con successive acquisizioni dai Longo e dai De Mari acquistò nella contrada di Banchi alcune case che riunì in una domus magna con annessa una grande loggia aperta sulla strada.
Il palazzo divenne il centro aggregante del numeroso e ricco ramo dei Lomellini da lui disceso, che fu da allora detto "di Porta" (o "di Banchi"), per distinguerlo da quello originario "di Borgo", situato intorno alla contrada di S. Agnese, dove ancora oggi via Lomellini ricorda la continuità della loro presenza in quell'area.
Definito da varie fonti "multus dives et magnus mercator" (Petti Balbi, 1991, p. 180), il L., pur non prendendo apparentemente parte alle lotte politiche che sconvolgevano Genova, rivestì varie cariche pubbliche: anziano nel 1355, nel 1357 fu chiamato a dirimere la controversia tra il doge Simone Boccanegra e il signore di Monaco Raniero Grimaldi per il possesso di Roccabruna. Fu quindi consigliere nel 1368, ufficiale di guerra nel 1367 e 1374, finché, nel 1378, la difficile situazione in cui si trovava la Corsica lo spinse a promuovere, con altri mercanti cittadini, un'importante impresa politica e finanziaria.
Il controllo genovese sull'isola, da sempre limitato al possesso di Capo Corso (infeudato a famiglie cittadine) e delle piazze costiere di Bonifacio e Calvi, nel 1358 si era esteso a tutta la parte settentrionale, detta da allora "Terra di Comune". Si era trattato però di un possesso assai contrastato, continuamente minacciato dai baroni dell'Oltremonte, uno dei quali, Arrigo Della Rocca, nel 1372-73 era riuscito a impadronirsi di quasi tutta l'isola con il sostegno catalano, proclamandosi successivamente conte di Corsica. Il Comune di Genova, in quel momento esposto agli attacchi dei Visconti e dei nobili fuoriusciti e impegnato nella guerra con Venezia, pensò di delegare la difesa delle sue residue posizioni nell'isola a un cartello di imprenditori che, analogamente a quanto fatto anni prima a Chio e Cipro, assunse il nome di maona. A questa sorta di compagnia per azioni, il 23 ag. 1378 il doge Nicolò Guarco appaltò il governo della Corsica in forma di investitura feudale.
Nell'iniziativa, seppure da lui promossa, il L. non si espose in prima persona, facendosi rappresentare, quasi come un prestanome, dal figlio primogenito Leonello, ma continuò per alcuni anni a essere il vero capo della maona corsa.
Il suo peso sulla scena politica genovese cresceva: rieletto anziano nel 1380 e 1390, nel 1381 fu uno degli ambasciatori inviati dal Comune a Torino per trattare la pace con Venezia. Qui egli prese i primi contatti con il conte Amedeo VI di Savoia al quale, con alcuni nobili guelfi, offrì l'anno successivo la signoria di Genova in cambio dell'abolizione del regime popolare instaurato dal Boccanegra. La morte del conte, avvenuta nel marzo 1383, fece fallire il complotto, ma il L. continuò a tramare per la fine del governo dogale, favorendo grandemente, nel 1396, la dedizione di Genova al re di Francia Carlo VI. Sotto la signoria francese, nel 1398, fu eletto per la quarta volta anziano, ma i tumulti che in quell'anno scoppiarono a Genova tra guelfi e ghibellini lo costrinsero a cercare rifugio nella vicina Savona, tanto più che i ghibellini, ben presto padroni della situazione, si accanirono contro le case dei guelfi devastando in particolare la contrada di Banchi e la casa del L., che andò distrutta. Sotto l'impressione di questi avvenimenti, il 14 maggio 1399 il L. chiese e ottenne per sé e i propri figli la cittadinanza savonese, impegnandosi ad adempiere tutti gli obblighi connessi e rinunciando ai privilegi, soprattutto fiscali, che avrebbe comportato la cittadinanza genovese.
Il L. morì, probabilmente a Savona, nei primi mesi del 1401.
Fu, secondo i contemporanei, uomo parco e riservato, di modesti costumi e molto pio. Dal matrimonio con Teodora Di Negro, figlia del giureconsulto Giorgio, nacquero diciassette figli, di cui dieci maschi e, fra questi, alcuni tra i più importanti protagonisti della vita politica ed economica genovese a cavallo fra Trecento e Quattrocento, come Leonello, Battista e Carlo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Notai antichi, 230, c. 241; Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. V.3.19: Documenti relativi a Napoleone e Carlo Lomellini e discendenti, cc. 4r-7r, 8v-11v, 13-14; IX.4.22: O. Ganduccio, Origine delle famiglie nobili di Genova, cc. 269v-270r; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., C.IX. 44: Albero genealogico dei Lomellini, pp. 4 s.; Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont, a cura di J. Doehaerd - C. Kerremans, Bruxelles-Roma 1952, p. 3; Les relations commerciales entre Gênes, la Belgique et l'Outremont d'après les archives notariales génoises (1320-1400), a cura di L. Liagre-De Sturler, Bruxelles-Roma 1969, pp. 175-178; E. Jarry, Les origines de la domination française àGênes (1392-1402), Paris 1896, pp. 221, 433, 474, 572, 576; G. Balbi, Genova e la Corsica nel '300, Roma 1976, p. 62; B. Kedar, Mercanti in crisi a Genova e Venezia nel Trecento, Roma 1981, p. 115; G. Petti Balbi, I maonesi e la maona di Corsica: un esempio di aggregazione economica e sociale, in Mélanges de l'école Française de Rome, Moyen Âge - Temps mod., XCIII (1981), pp. 153 s.; Id., Simon Boccanegra e la Genova del '300, Genova 1991, pp. 178, 180, 350.