ΝAQ‛A
Lungo lo wādī Awatib, c.a 160 km a NE di Khartum, sorge un esteso campo di rovine conosciuto sotto il nome di Naq‛a. Sebbene il sito risulti già menzionato nei resoconti dei primi viaggiatori europei che lo visitarono agli inizî del secolo scorso, soltanto alcuni degli innumerevoli monumenti dell'area hanno ricevuto uno studio approfondito.
La costruzione più antica sinora individuata è il tempio F, databile all'inizio dell'epoca meroitica e dedicato alla divinità con sembianze leonine Apedemak, patrona del Gebel Naq‛a, collina che fu sfruttata in antico per l'estrazione della pietra.
L'edificio presentava un ingresso a pilone preceduto da un portico a colonne; si componeva di un unico ambiente ipostilo sulla cui parete di fondo si apriva una nicchia davanti alla quale è ancor'oggi collocato un altare.
La decorazione delle pareti interne, parzialmente conservatasi, mostra la candace (regina) seguita da un principe di fronte agli dèi Ammone, Mut e Khonsu, la c.d. Triade Tebana, e ad Apedemak. Il fatto singolare è che non sembrerebbero esservi rappresentazioni del sovrano.
La regina ritratta nei rilievi è forse da identificare con Shanakdakhete (II sec. a.C.), menzionata in un testo in geroglifico meroitico iscritto sui montanti della nicchia. Sono da considerarsi aggiunte posteriori la serie di tre ambienti che si appoggiano al tempio perpendicolarmente rispetto all'asse di sviluppo principale e il piccolo edificio situato davanti alla facciata, a torto interpretato come chiosco.
La fase costruttiva più importante di N. corrisponde al regno di Natakamani (inizio I sec. d.C.), il periodo di massimo splendore dell'architettura meroitica. Sotto questo sovrano furono eretti gli edifici più importanti e più noti di N.: il Tempio di Ammone e il Tempio del Leone. I due edifici sacri esemplificano le due tipologie più caratteristiche dell'architettura cultuale meroitica. Il primo ha lo spazio interno suddiviso in una serie di ambienti, il secondo ne prevede uno solo. I templi del primo tipo erano normalmente dedicati a divinità mutuate dal pantheon egiziano, gli altri a divinità locali. La diversa partizione interna corrisponde perciò a due esigenze cultuali differenti.
La via di accesso al Tempio di Ammone è costituita da una scalinata monumentale, che permette di superare un dislivello di c.a 2,5 m, seguita da un viale bordato da tre coppie di statue di ariete, un chiosco e altre tre coppie di statue di ariete. Il chiosco è costituito da quattro colonne sul lato corto e da cinque su quello lungo. La decorazione interna prevede la rappresentazione di ventotto geni del Nilo che si dirigono verso il tempio con due vasi per libagioni in mano.
L'accesso al Tempio di Ammone è rivolto verso O ed è inquadrato da un pilone dietro il quale si trovano due sale a sviluppo longitudinale. La prima aveva otto colonne poggianti su basi quadrate. Dalla seconda sala si accede a una più piccola, parallela alle precedenti, che immette nel santuario vero e proprio, circondato da una serie di ambienti accessori. Il pilone e gli accessi sono realizzati in arenaria, mentre le mura erano in mattoni crudi con un rivestimento di mattoni cotti, una tecnica costruttiva assai in uso proprio durante il regno di Natakamani.
Il soffitto di una delle sale interne sembrerebbe essere stato ottenuto con lastre di granito. Nella decorazione compaiono le effigi di Ammone di Tebe (a testa umana) e di Ammone di N. (criocefalo). Le figure dei rilievi si ispirano a modelli egiziani, ma le forme sono quelle squadrate e massicce proprie del modo rappresentativo meroitico: a questa stessa sensibilità appartiene anche la resa dei seni della regina, visti di fronte e come appiattiti sul torace, che non ha alcun riscontro nell'arte egizia.
Il Tempio del Leone era il luogo di culto per eccellenza del dio Apedemak. La sua struttura è molto semplice, un ingresso a pilone rivolto verso È immette in un unico ambiente il cui soffitto era sorretto da quattro colonne. Più interessante è la decorazione che mostra caratteristiche uniche. La mole sinistra del pilone presenta in facciata una scena tratta dall'iconografia templare egiziana: il sovrano che abbatte i nemici; lo stesso motivo è ripreso sulla mole destra dove la figura di Natakamani è però sostituita da quella della consorte, la candace Amanitore.
Particolare estremamente originale è la presenza di un leone, personificazione del dio Apedemak, tra le gambe del sovrano e dietro la gonna della regina.
La prima figura è assai ben riuscita. Il leone è rappresentato nell'atto di sbranare un nemico caduto: le due teste sono rappresentate in visione frontale e i due corpi aggrovigliati si iscrivono in un ovale all'interno del quale le membra della belva si confondono inestricabilmente con quelle dell'uomo. Il leone dietro la regina è invece rappresentato nell'atto di balzare contro il gruppo di nemici legato. Sui lati corti del pilone si trova una singolare versione iconografica del dio Apedemak: la testa leonina si innesta su un corpo umano la cui parte inferiore si trasforma in spire di serpente fuoriuscenti da foglie di acanto. Le scene sulle pareti esterne del tempio mostrano la famiglia reale davanti a una teoria di divinità maschili (Apedemak, Horus, Ammone di Tebe, Aqedis e Ammone di N.) sul lato sinistro del tempio (corrispondente alla mole del pilone su cui è ritratto Natakamani) e di divinità femminili (Iside, Mut, dea con falco, Ḥatḥor e Satis) sul lato destro (corrispondente alla mole del pilone su cui è ritratta Amanitore). La partizione che vuole l'elemento maschile a sinistra e quello femminile a destra è mantenuta anche nella parete esterna del muro posteriore. Re e regina, entrambi seguiti da un principe, convergono verso il centro dove si trova un'immagine di Apedemak con quattro braccia e tre teste.
Tale iconografia è servita da sostegno all'ipotesi secondo cui l'arte meroitica sarebbe stata influenzata da quella indiana. In questo caso, invece, ci troviamo di fronte alla fusione di due immagini di Apedemak, una rivolta verso il re e l'altra verso la regina, in un'unica figura; la terza testa leonina in visione frontale serve da elemento di congiunzione. L'intera composizione risulterebbe strana, ma non fastidiosa, se non fosse per la parte inferiore delle gambe, rappresentate di profilo, che conferisce all'insieme un aspetto grottesco.
Dibattuta è la datazione del «chiosco romano» che sorge davanti al Tempio del Leone. Per Krauss è opera del II-III d.C., mentre Török lo vorrebbe contemporaneo o di poco posteriore al Tempio del Leone. Il chiosco è opera assai felice dell'architettura templare meroitica di ispirazione egizia con evidenti influssi dell'arte greco-romana. È in arenaria e ha forma rettangolare con due accessi al centro dei lati corti; doveva servire come stazione per il simulacro della divinità durante le processioni. Caratteristiche propriamente egizie sono l'inquadratura della finestra centrale dei lati lunghi, sormontata da cavetto, gola e fregio di urei, e le basse cortine a chiusura degli intercolumnì. Appartengono al patrimonio artistico ellenistico-romano i capitelli di tipo corinzio, sormontanti le semicolonne appoggiate ai pilastri, e i semiarchi che si innestano su imposte a capitello. Negli intercolumnì è concettualmente nuova la proporzione tra la cortina e lo spazio soprastante, la cui ampiezza è elegantemente limitata dal semiarco. L'architrave è privo di fregi e la sua unica decorazione è una modanatura regolare nella parte superiore. Al di sopra delle due entrate, nella parte interna, sono rappresentati due leoni distesi e affrontati, sicuramente da collegare con il culto di Apedemak che aveva sede nel tempio vicino.
Degno di menzione è anche il tempio G, costituito da un unico ambiente con ingresso a pilone e circondato da una fila di colonne che si raddoppia in corrispondenza della facciata. L'edificio è racchiuso da un muro di cinta a perimetro quadrato.
Bibl.: P. L. Shinnie, Two Statues at Naqa, in Kush, I, 1953, p. 53; T. Krauss, Der Kiosk von Naga, in AA, 1964, pp. 834-867; S. Wenig, Das Verhältnis von Wandrelief und Raumfunktion am meroitischen Amuntempel von Naq'a, in W. K. Simpson (ed.), Studies in Ancient Egypt, the Aegean, and the Sudan. Essays in Honor of Dows Dunham on the Occasion of His 90th Birthday, 1980, Boston 1981, pp. 200-210; AA.VV., Der Löwentempel von Naq'a in der Butana (Sudan) (Tübinger Atlas des Vorderen Orients, Suppl. 48, 1-4), 4 voll., Wiesbaden 1983; L. Török, Meroitic Architecture: Contributions to Problems of Chronology and Style, in Meroitica, VII, 1984, pp. 351-366; I. Gamer-Wallert, Der Löwentempel von Naq'a in der Butana (North-Sudan), in AW, XV, 1984, 4, pp. 31-44; id., Der Löwentempel von Naq'a. Eine neue Dokumentation seiner Reliefdarstellung, in ZÄS, CXII, 1985, pp. 25-43; I. Hofmann, H. Tomandl, M. Zach, Der Tempel F von Naq'a, in Varia Aegyptiaca I, 1985, pp. 27-35; H. Tomandl, Der Thronuntersatz von Naq'a, in Beiträge zur Sudanforschung, I, 1986, pp. 149-156.