narcisismo
L’ideale dell’Io
L’ideale dell’Io è il modello cui l’Io vuole aderire, senza mai riuscirci completamente, proprio perché si tratta di un ideale. L’ideale dell’Io è uno dei concetti più complessi e controversi della psicoanalisi, continuamente intrecciato con quello di Super-Io. Sigmund Freud introduce l’espressione «ideale dell’Io» nel 1914 (in Introduzione al narcisismo) collegandolo al narcisismo e all’illusione della perfezione narcisistica della prima infanzia. Quando il bambino si rende conto di non essere in grado di corrispondere a tale modello perfetto, tenta di recuperarlo appunto come ideale: «Ciò che egli proietta davanti a lui come ideale è il sostituto per il perduto narcisismo della sua infanzia in cui egli era il suo ideale». Dunque l’ideale dell’Io è l’erede del narcisismo originario, alimentato da libido narcisistica, che si origina in epoca precoce preedipica, mentre il Super-Io è l’erede del complesso di Edipo e svolge le sue funzioni normative, protettive e punitive prevalentemente sotto l’egida dell’aggressività. Entrambi originano dalla dimensione relazionale del bambino con i genitori – o di chi si prende cura di lui –, in una rete di identificazioni e di reciproci rispecchiamenti (➔ fase dello specchio). In età adulta, se l’Io non si adegua ai dettami del Super-Io, subisce l’attacco intrapsichico punitivo e prova colpa; se invece si discosta dal modello dell’ideale dell’Io, prova vergogna.
In Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) Freud osserva che talora – come nell’ipnosi, nella malia amorosa e nell’adorazione nei confronti di un leader – una figura esterna può divenire il depositario dell’ideale dell’Io di un individuo. Quando questo processo avviene contemporaneamente in più persone, in una situazione di gruppo, può scomparire qualsiasi forma di pensiero critico, con tutte le possibili conseguenze pericolose sul piano sociale e politico. Nella Chiesa e nell’esercito, scrive Freud, il gruppo si unisce e si riconosce in un leader che enuncia la legge contrapponendo un ‘noi’ a un ‘loro’ e, di fatto, costituisce un ideale politico o religioso, sostenuto dalla coesione interna della libido narcisistica, mentre l’aggressività viene convogliata fuori, verso gli estranei o i nemici. Nella massa la convergenza dell’ideale dell’Io con quello del gruppo può essere facilitata dalla personalità di un leader che abbia le stesse qualità ideali dell’individuo, per cui più facilmente diventa un oggetto d’amore. Perciò l’individuo segue ogni indicazione e direttiva del capo che, rappresentando l’ideale condiviso dal gruppo, diviene il modello cui ogni componente aspira.
Nell’innamoramento, l’altro può essere collocato al posto di un proprio irraggiungibile ideale dell’Io e di conseguenza è amato per gli aspetti di perfezione che il soggetto voleva raggiungere, più che per le sue reali qualità. L’altro diventa quindi acriticamente l’assoluto, ciò che di più prezioso esiste, mentre l’Io si impoverisce come accade nei confronti del leader. Freud sottolinea invece come nello stato maniacale, quando sono in atto le difese maniacali, ci sia una coincidenza totale tra Io e ideale dell’Io: uno stato di esaltazione megalomane senza autocritica o inibizioni.
Alcuni autori considerano Super-Io e ideale dell’Io come caratteristiche o funzioni diverse di un’unica istanza, derivati entrambi dalle identificazioni più o meno primitive con i genitori: il Super-Io con connotazioni severe e punitive, l’ideale dell’Io invece con connotazioni di sostegno e rassicurazione. Altri autori ne sottolineano piuttosto le differenze. Heinz Hartmann e Rudolph Loewenstein affermano che l’ideale dell’Io è una componente ideale del Super-Io, che si propone di raggiungere mete ideali e non proibizioni come il Super-Io. L’ideale dell’Io si forma quando il bambino è costretto dall’ambiente ad abbandonare la propria onnipotenza e la proietta sui genitori. Per Moses Laufer l’ideale dell’Io è una funzione del Super-Io che deriva dal bisogno del bambino di ritrovare l’onnipotenza infantile attraverso uno specifico lavoro dell’Io. Invece per Daniel Lagache il Super-Io rappresenta l’autorità e l’ideale dell’Io è la maniera in cui si può rispondere alle richieste dell’autorità. Janine Chasseguet Smirgel pensa che l’ideale dell’Io rappresenti un tentativo di recupero del narcisismo onnipotente originario, che persegue l’illusione dell’unione con la madre mentre il Super-Io, derivato dall’Edipo, favorisce il contatto con la realtà e il distacco libidico dalla madre. Questa autrice pone anche il problema di un’ulteriore distinzione tra Io ideale e ideale dell’Io, a partire dai termini freudiani di Ich-ideal e ideal-Ich; ma la maggior parte degli psicoanalisti ritiene invece che tale quesito sia una interpretazione troppo rigida dello stile colloquiale, aperto ed esplorativo di Freud. Helen Deutsch descrive il ‘donchisciottismo’ come una patologia dell’ideale dell’Io, un’incapacità di adeguare l’ideale di sé alla realtà e alle proprie capacità. Infatti, se la distanza tra Io e ideale dell’Io è troppo piccola, non c’è spinta a migliorare e a cambiare; se è troppo grande, si rischia di restare schiacciati dall’umiliazione della propria inadeguatezza e si rischia la paralisi. In definitiva, considerare l’ideale dell’Io e il Super-Io come sinonimi non dà valore al pensiero di Freud, che cerca di mettere in luce la complessità e la dinamicità della struttura psichica, tra libido e aggressività, colpa e vergogna, nella tensione continua dell’Io a cercare di coincidere con i propri valori e i propri ideali. Sul piano clinico, lo psicoanalista deve stare attento a non abusare del potere che gli conferisce il transfert, a non prendere il posto dell’ideale dell’Io dei pazienti e a non cercare in essi sotterranee gratificazioni narcisistiche o oggettive.