NARDO di Cione
NARDO di Cione. – Nacque a Firenze intorno al 1320. Ebbe tre fratelli, anch’essi impegnati nelle arti: Andrea detto l’Orcagna, Matteo e Jacopo.
Il nome di Nardo compare fra gli iscritti all’arte dei medici e speziali fra il 1346 e il 1348, in un momento di poco successivo rispetto all’iscrizione del fratello Andrea (Hueck, 1972). Ricordato nei documenti sempre con il nome Nardo, forse un’abbreviazione di Leonardo (Milanesi, in Vasari [1568], 1878, p.594), non sembra fondata l’identificazione con quel Leonardo di Cione che nel 1355 si iscriveva all’arte fiorentina dei maestri di pietra e legname (Frey, 1885; Gronau, 1932). Secondo Vasari e altre fonti rinascimentali (Anonimo Magliabechiano, 1537-42 circa; Baldinucci, 1686) il nome del maestro era Bernardo; da ciò sono derivati equivoci attributivi dovuti all’omonimia con il pittore Bernardo Daddi.
La formazione di Nardo avvenne a Firenze fra quarto e quinto decennio, in un milieu culturale dominato dalla bottega di Giotto impegnata nella decorazione della cappella del palazzo del Podestà (Firenze, Museo nazionale del Bargello), dalle pale d’altare di Bernardo Daddi e dall’umanità grandiosa delle invenzioni di Maso di Banco, di cui fu tramite forse anche il fratello Andrea Orcagna. Da queste esperienze scaturì un linguaggio caratterizzato da figure monumentali, ma ingentilite dalla tenerezza del modellato e da una luminosità diffusa che attestano la partecipazione di Nardo a quella corrente pittorica definita «dolcissima e unita», di cui principali esponenti furono Stefano e Giottino (Volpe, 1983; L’eredità di Giotto, 2008,p. 30).
In un documento databile verso il 1348-50, Nardo è ricordato fra i migliori pittori viventi attivi a Firenze (Chiappelli, 1900). Sulla base di questo documento, che cita «Maestro Archagnia e Maestro Nardo in Balla», è stato talvolta supposto che fin oltre la metà del secolo Nardo tenesse bottega insieme al fratello Andrea nel borgo di Balla, l’attuale via de’ Servi; lo studio delle decorazioni della foglia d’oro condotto sulle opere dei due maestri non ha tuttavia evidenziato l’impiego di punzoni condivisi, strumenti di solito ricorrenti all’interno di uno stesso atelier (Skaug, 1994). Fin dal 1351 i due fratelli figurano soggetti a tassazioni separate, seppure entrambi residenti nella stessa parrocchia di S. Michele Visdomini (Colnaghi, 1928; Offner, 1960). La data MCCCLXIIII accompagna la registrazione di Nardo fra gli iscritti alla Compagnia di S. Luca (Gualandi, 1845).
Il pittore risiedé con continuità a Firenze, pur spostando più volte la sua residenza. Nel 1359 figura fra i contribuenti della parrocchia di S. Reparata, mentre fra il 1362 e il 1364 abitava nel popolo di S. Ruffillo, presso un certo Forte Bezzoli detto Bambo (Archivio di Stato di Firenze, Prestanze, 9 [1359], c. 30v; 16 [1362], c. 29r; 40 [1363], c. 62r; 126 [1364], c. 93v). Il testamento redatto il 21 maggio 1365 lo ricorda infine residente del quartiere di S. Maria Novella; nell’atto, che menziona fra i testimoni il pittore Niccolò di Tommaso, Nardo legava somme di denaro all’Opera di S. Reparata, alla Confraternita della Misericordia, all’ospedale di S. Maria Nuova e sono nominati eredi in uguale parte i fratelli Andrea, Matteo e Jacopo (Milanesi, 1901). A giudicare dal testamento, Nardo non sembra aver avuto né moglie né figli, circostanza che porterebbe a escludere pertanto il riconoscimento del pittore Mariotto di Nardo nel figlio di Nardo di Cione, come invece sosteneva Vasari (1568). L’ipotesi di identificazione, già contestata da Milanesi (in Vasari [1568], 1878, p. 610), è stata recentemente riproposta in virtù della parzialità del testamento, non conosciuto nella sua stesura originaria (Chiodo, 2008).
Morì a Firenze prima del 16 maggio 1366, data in cui i fratelli eseguirono le sue volontà (Milanesi, 1901; Offner, 1960).
Non sono giunte opere firmate da Nardo di Cione. Allo stato attuale degli studi, sussiste oggi un solo dipinto riconducibile a lui su base documentaria, l’affresco frammentario con Cristo Pantocratore in mandorla fraquattro angeli ubicato nell’oratorio fiorentino del Bigallo; la pittura murale è da porre in relazione con la deliberazione della Compagnia della Misericordia del 24 ottobre 1363 con la quale si affidava al pittore la decorazione di una delle volte e «altre chose» nell’oratorio della Compagnia, divenuto in seguito sede della Confraternita del Bigallo (Poggi, 1904; Procacci, 1973). La decorazione pittorica della cappella si legava alla sistemazione del gruppo scultoreo con la Vergine col Bambino e angeli commissionato nel 1359 ad Alberto Arnoldi e collocato nell’oratorio fra il gennaio e l’agosto 1364, termine entro il quale evidentemente fu ultimata anche la pittura murale. La prosecuzione della decorazione dell’oratorio fu poi affidata nel 1369 a Jacopo di Cione (Levin, 1999). Nonostante l’esistenza dei documenti, è stata talvolta negata l’autografia nardesca per l’affresco superstite (Procacci, 1973), opera da inserire a pieno titolo nel catalogo del maestro.
Le scarse notizie su Nardo riportate dalla storiografia rinascimentale trovano posto in genere in margine alla biografia di Andrea Orcagna. Fondamentale per la ricostruzione della sua personalità è la testimonianza di Lorenzo Ghiberti, che riferisce al pittore la decorazione murale della cappella Strozzi nella chiesa di S. Maria Novella a Firenze, definita «bellissima opera condotta con grande diligentia». Vasari ricorda diverse opere condotte in collaborazione dai due fratelli: oltre agli affreschi Strozzi, essi avrebbero eseguito a Firenze la decorazione della facciata della chiesa di S. Apollinare, della cappella Cresci nella chiesa della Ss. Annunziata, dipinti oggi perduti, e della cappella maggiore di S. Maria Novella, coperta nel XV secolo dagli affreschi di Domenico Ghirlandaio; il ritrovamento di alcuni Santi e Profeti raffigurati nei costoloni della volta e facenti parte dell’antico ciclo pittorico (Firenze, Museo di S. Maria Novella; Becherucci, 1948) ha confermato la paternità orcagnesca della decorazione, databile al quinto decennio del XIV secolo, e non sono mancati i tentativi, non pienamente convincenti, di riconoscere la mano di Nardo in alcune di queste figure (Kreytenberg, 1994-95). Vasari prospetta infine una prolungata attività del maestro a Pisa, dove avrebbe eseguito molte storie nella chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno. Il ciclo pittorico della cappella Strozzi ha costituito dunque il punto di partenza per la ricostruzione dell’identità artistica di Nardo, il cui corpus di opere si è delineato nel corso del XX secolo grazie soprattutto ai contributi di Osvald Sirèn, William Suida, Richard Offner e Hans Dietrich Gronau.
Situata nel transetto della basilica domenicana di S. Maria Novella e dedicata a S. Tommaso d’Aquino, la cappella Strozzi (nota odiernamente come Strozzi di Mantova) è ornata sulle pareti con affreschi, in parte staccati, che illustrano il Giudizio universale, il Paradiso e l’Inferno, temi connessi con la destinazione funeraria dell’ambiente e finalizzati a celebrare la Chiesa quale intermediatrice di salvezza. Il programma iconografico comprende anche le raffigurazioni di S. Tommaso e delle Virtù nella volta, dei Padri della Chiesa e dei Santi domenicani nell’arco d’ingresso, di S. Tommaso d’Aquino e della Madonna col Bambino nella vetrata di fondo. Non sussistono documenti inerenti l’erezione della cappella e la sua decorazione, mentre è noto un contratto del 1354 relativo alla commissione di Tommaso di Rossello Strozzi ad Andrea Orcagna per la pala d’altare, da eseguirsi entro 20 mesi (Baldinucci, 1686; Kreytenberg, 2000); sebbene nel documento non si faccia alcun accenno alle pitture murali, tanto da indurre alcuni studiosi a ipotizzare che esse potessero già essere state compiute e commissionate da un diverso committente (Jacopo di Strozza, morto nel 1351, secondo Orlandi, 1955), l’unità iconografica che lega gli affreschi e il trittico di Andrea Orcagna posto sull’altare, unanimemente riconosciuta, induce a considerare l’insieme frutto di un’unica campagna decorativa. L’iscrizione con la data 1357 presente nel trittico costituisce dunque il probabile termine entro il quale furono ultimati gli affreschi. Il ciclo domenicano, noto per riprodurre con fedeltà la Commedia di Dante nella raffigurazione delle bolge infernali, rivela la propensione di Nardo per la rappresentazione della figura umana, sia nei suoi aspetti esteriori, grazie alla ricchezza descrittiva dei costumi e delle fisionomie, sia nell’espressione degli affetti, amplificati dal fitto dialogare dei beati e dalla gestualità appariscente dei dannati. Nardo, che per la raffigurazione del Giudizio universale attinge al modello dell’affresco giottesco nella cappella del palazzo del Podestà (Museo nazionale del Bargello), ricerca l’individuazione fisionomica, traendo ispirazione anche dalla numismatica antica (Gronau, 1937). Nella scena del Paradiso, la Vergine e il Redentore siedono su un trono dalla solida struttura architettonica, la cui forma poligonale del baldacchino ricorda il trono della Madonna in maestà di Giotto nella chiesa di S. Maria di Ricorboli a Firenze. Intorno a esso si dispongono una miriade di santi e angeli; l’esigenza di rendere ciascuna figura ben riconoscibile ha probabilmente influito nella scelta di disporre i beati in ordinate file parallele che occupano quasi l’intera parete, con un effetto di bidimensionalità stridente rispetto alla notevole articolazione spaziale del trono. Per la realizzazione degli affreschi, Nardo si avvalse di collaboratori, fra i quali sono stati riconosciuti Niccolò di Tommaso (Boskovits, 1975) e Giovanni del Biondo, cui spetta la decorazione della volta e dell’arcone d’ingresso (Offner - Steinweg, 1967).
La commissione a Nardo degli affreschi nella chiesa domenicana giunse verosimilmente dopo che il pittore aveva già dato prova di abilità nella tecnica della pittura murale; sembrano a lui riconducibili alcuni cicli pittorici, assai deteriorati, eseguiti probabilmente verso la metà del secolo: gli episodi evangelici nella cappella Giochi Bastari della Badia fiorentina (Derisione di Cristo, Andata al Calvario, Flagellazione, Suicidio di Giuda), il Martirio di s. Bartolomeo nella cappella Covoni nella stessa chiesa (Offner, 1960), il ciclo dedicato a S. Anna nella cappella degli Steccuti nel chiostro di S. Maria Novella (Becherucci, 1948; Offner, 1960).
Fra le opere su tavola, la cui seriazione cronologica è ancora oggi dibattuta, sono ritenute generalmente espressione dell’attività più antica e databili entro la prima metà del sesto decennio l’Annunciazione oggi nella collezione Alana, di Newark, Delaware (Boskovits, 1975), il S. Benedetto del Museo nazionale di Stoccolma e la relativa predella nella raccolta Berenson a villa I Tatti a Firenze (Offner, 1960), la Crocifissione del Museo diocesano di Milano (Dipinti italiani, 2000), la Madonna del Parto del Museo Bandini a Fiesole (Il Museo Bandini, 1993). È in genere considerato un’opera giovanile anche il polittico con la MadonnacolBambino e santi oggi nel castello di Bojnice in Slovacchia, lavoro caratterizzato dal forte ascendente di Bernardo Daddi (Offner, 1960); l’influenza daddesca potrebbe comunque essere stata mediata anche dal suo allievo Puccio di Simone, implicando di conseguenza un avanzamento della cronologia (Tartuferi, 2001). È stato proposto che il medaglione con Cristo benedicente conservato a Berna, Kunstmuseum costituisse una delle cimase del polittico (Coor Achenbach, 1962; Manifestatoridelle cosemiracolose, 1991), ma la stessa ipotesi può valere anche per il Redentore benedicente in collezione privata (Middeldorf, 1956), del quale tuttavia non sono note le dimensioni.
Alla metà del sesto decennio si data la tavola con la Madonna, il Bambino e santi oggi al Brooklyn Museum, per la quale è stata supposta l’identificazione col dipinto firmato da Nardo e datato 1356 ricordato nel XVII secolo nell’Ufficio della Gabella dei contratti di Firenze (Ranalli, in Baldinucci [1686], 1845); l’ipotesi si basa sulla presenza, fra i quattro santi rappresentati, dei protettori di Firenze Giovanni Battista, Reparata e forse Zanobi (Meiss, 1951). L’opera, in origine sormontata da una cuspide con la figura del Redentore benedicente già nella raccolta Artaud de Montor (Steinweg, 1938) e conservata oggi nello stesso museo americano, rivela nella ieratica frontalità della Vergine un certo scarto in direzione delle scelte formali e iconografiche del fratello Andrea. In prossimità degli affreschi Strozzi sembrano collocarsi anche il tabernacolo del Museo Meermanno-Westreenianum all’Aia (Boskovits, 1975), compositivamente prossimo alla scena del Paradiso (Tartuferi, 2001), e la Madonna col Bambino, ex Jones, oggi all’Institute of art di Minneapolis (Offner, 1960).
Dovrebbero collocarsi fra la fine del sesto decennio e l’inizio del successivo opere di squisita fattura quale il trittico con la Madonna col Bambino e i ss. GiovanniEvangelista e Pietro oggi alla National Gallery di Washington (Shapley, 1966), il trittico portatile al Courtauld Institute of art di Londra (Offner, 1960), la Crocifissione della Galleria degli Uffizi (Marcucci, 1965), il frammento con la Madonna e il Bambino passato all’asta a Londra (Sotheby’s, 10 luglio 1968, cat. n. 27), già in collezioni private inglesi (Offner, 1960), il polittico cui appartenevano il pannello con S. Giovanni Evangelista nel Lindenau-Museum di Altenburg e quello con S. Giacomo al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo (Da Bernardo Daddi, 2005).
Sarebbe stato eseguito in collaborazione da Nardo e Andrea di Cione il tabernacolo cui appartenevano le tavole con S. Pietro e S. Giovanni Battista della Yale University Art Gallery a New Haven e la Vergine annunciata in una collezione privata (Kanter, 2009); l’opera attesterebbe, secondo Kanter, una tardiva condivisione della bottega da parte dei due fratelli, che per le loro opere si sarebbero avvalsi anche degli stessi collaboratori, quali Jacopo di Cione e il Maestro della Predella dell’Ashmolean Museum. La proposta dello studioso, seppure tutta da verificare, ha il pregio di riconoscere alla bottega di Nardo il ruolo di fucina per la formazione di numerosi pittori attivi nel terzo quarto del XIV secolo; a questo proposito, è datato 9 luglio 1357 il contratto redatto presso il notaio Antonio di Puccetto Spada a Pistoia che sancisce le condizioni dell’apprendistato biennale del pittore Giovanni di Bartolomeo Cristiani presso la bottega di Nardo di Cione a Firenze (Arch. di Statodi Pistoia, Protocolli notarili 9,c. 422 rv; Chiappelli, 1925; una trascrizione in italiano del documento si conserva nel Fondo Chiappelli della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, inserto 55.5, cc. 2v-3r [per gentile segnalazione di Giacomo Guazzini]).
Negli ultimi anni di attività Nardo sembra cambiare la strumentazione impiegata per la decorazione della foglia d’oro, sostituendola con punzoni che, secondo Skaug (1994), si sarebbero diffusi a Firenze dal 1363. Essi connotano i trittici eseguiti dal pittore per il monastero fiorentino di S. Maria degli Angeli e la pala d’altare con i Ss.Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Giacomo, oggi alla National Gallery di Londra, opera che rivela nei raffinati effetti luministici dei panneggi tangenze con gli aspetti più appariscenti della corrente naturalistica della pittura fiorentina fra sesto e settimo decennio (Gordon, 2011). Sono datate 1365 le due pale d’altare eseguite per il capitolo del monastero camaldolese fiorentino di S. Maria degli Angeli. Il trittico con il Thronum Gratiae e i ss. Romualdo e Giovanni Evangelista (Firenze, Galleria dell’Accademia; Cataloghi della Galleria, 2003) sormontava l’altare deiGhiberti, mentre quello con la Madonna e il Bambino fra i ss. Giobbe e Gregorio (Firenze, Museo dell’Opera di S. Croce) stava nella cappella commissionata da Tellino Dini (Marcucci, 1965); per inciso, quest’ultimo ricopriva l’incarico di capitano della Compagnia della Misericordia al momento della commissione a Nardo della succitata decorazione dell’oratorio della Confraternita nel 1363.
Simili per dimensioni, forma e struttura compositiva – una figurazione centrale e due santi ai lati – i due trittici rivelano la volontà di conferire unità estetica agli arredi dell’ambiente, rispettata anche nella pala eseguita da Giovanni del Biondo con la Presentazione al tempio destinata all’altare Benini nella stessa aula e datata 1364 (Galleria dell’Accademia). Gli stanziamenti per l’erezione e la dotazione delle tre cappelle, seppure dovuti a benefattori diversi, risalgono tutti al 1363 (Bent, 2006), circostanza che sembra avvalorare l’ipotesi di un progetto unitario di cui fu forse responsabile Nardo di Cione, al quale potrebbero essere state commissionate anche altre pale d’altare (Palladino, 1999; Gordon, 2011). L’esecuzione dei trittici si protrasse fino al 1365 e, forse anche a causa della salute malferma del pittore che sarebbe morto di lì a poco, fu condotta con l’ausilio di collaboratori, la cui mano appare più palese nel trittico Dini (Firenze, Museo dell’Opera di S. Croce): spettano al Maestro della predella dell’Ashmolean Museum le figure dei santi nei pannelli laterali mentre a Niccolò di Tommaso si riferiscono le scene della predella (Offner, 1960; Tartuferi, in Angeli e demoni, 2006).
L’ipotesi che fosse stato eseguito per S. Maria degli Angeli anche il trittico con l’Incoronazione della Vergine e santi oggi smembrato fra Londra, Victoria and Albert Museum, e Monaco, Alte Pinakothek (Offner, 1960; Bent, 2006) e alla cui esecuzione sembra aver partecipato nuovamente il Maestro della predella dell’Ashmolean Museum, potrebbe essere verosimile, oltre che per la presenza di santi in vesti monacali bianche, anche per il ripetersi di elementi decorativi comuni ai due trittici fiorentini, come la simile alternanza dei motivi delle stoffe che fanno da piano di appoggio.
Le pale d’altare camaldolesi documentano l’estrema evoluzione stilistica di Nardo; il maestro – ma va tenuto conto del massiccio intervento dei collaboratori nell’esecuzione – sembra rinunciare alla morbidezza e alla luminosità del modellato delle opere più antiche per accogliere gli ideali scultorei di Orcagna e dei cosiddetti Malerplastiker. L’umanità delle figure che sempre ha caratterizzato le figure di Nardo appare travalicata dal tono ieratico e monumentale delle composizioni, nelle quali sempre più prevale l’ornamento.
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