nasali
L’espressione articolazioni nasali si riferisce a un modo di articolazione (di ➔ vocali così come di ➔ consonanti) in cui, essendo il velo palatino (o palato molle) abbassato, il passaggio rinofaringale è aperto e l’aria fuoriesce liberamente dalle cavità nasali (➔ fonetica articolatoria, nozioni e termini di).
La possibilità di alzare o abbassare il velo palatino (il cosiddetto meccanismo oro-nasale) ha un ruolo fondamentale nell’articolazione dei suoni linguistici, vocalici e consonantici, e permette di contrapporre suoni orali a suoni, appunto, nasali. Il processo di nasalizzazione viene segnalato nelle trascrizioni fonetiche (➔ alfabeto fonetico) con il diacritico ‹˜› posto sopra il simbolo del fono orale che si trova in prossimità di suoni nasali.
Durante l’articolazione delle vocali nasali il velo è abbassato e il flusso d’aria fuoriesce dalla bocca e dal naso: la cavità orale e quella nasale fungono entrambe da cassa di risonanza (fig. 1). Il sistema fonologico dell’➔ italiano standard è privo di vocali nasali (ma non alcuni dialetti settentrionali della penisola: cfr. § 3), come del resto i 4/5 delle lingue del mondo: tipologicamente, le vocali nasali sono infatti piuttosto marcate, ovvero foneticamente più complesse. La nasalizzazione delle vocali in italiano è pertanto un fenomeno contestuale, privo di valore distintivo, prodotto dalla vicinanza di consonanti nasali (➔ fonetica sintattica; ➔ allofoni).
Le consonanti nasali, come le occlusive, sono prodotte mediante una completa chiusura del canale orale e una susseguente completa apertura. Tuttavia, a differenza delle occlusive, le nasali sono continue e non momentanee, poiché l’abbassamento del velo palatino consente all’aria di fuoriuscire liberamente e in modo prolungato attraverso le cavità nasali. La pressione dell’aria contro l’ostacolo creatosi all’interno della bocca è pertanto molto debole e la susseguente esplosione non produce rumore, dal momento che solo una minima quantità d’aria fuoriesce dalla cavità orale.
Come le ➔ vibranti, le ➔ laterali e le approssimanti, le consonanti nasali sono caratterizzate dalla vibrazione spontanea delle pliche vocali: i quattro modi di articolazione sono pertanto raggruppati sotto la classe delle sonoranti (in opposizione all’altra grande classe, detta delle ostruenti, ove l’attivazione del meccanismo laringeo è opzionale). Sono molto più rare le consonanti nasali sorde, presenti in alcuni idiomi del Sud-est asiatico, e trascritte con l’apposito diacritico ‹ ̩› posto sotto il simbolo della nasale (per es. [n̩]). Esistono anche le cosiddette occlusive prenasalizzate (che in alcune lingue sono in opposizione fonologica con le corrispondenti sequenze di nasale e occlusiva: per es., in cingalese la[nd]a «biglietto» rispetto a la[nd]a «cieco»); così come sono attestate, soprattutto in Australia, le occlusive con rilascio nasale, ovvero consonanti occlusive inesplose seguite da nasale di breve durata e con rilascio immediato (Ladefoged & Maddieson 1996: 118-136).
Nell’➔alfabeto fonetico internazionale sono censiti sette luoghi di articolazione per le consonanti nasali: bilabiali, labiodentali, alveolari, retroflesse, palatali, velari, uvulari, con una distribuzione molto ineguale nelle lingue del mondo, lingue che purtuttavia hanno (in un numero che pare quasi raggiungere la totalità degli idiomi censiti) almeno una nasale nel proprio inventario fonologico. Di solito, la presenza di una nasale velare o palatale (o anche palato-alveolare) implica la presenza di una nasale bilabiale, che a sua volta implica la presenza di una nasale alveolare/dentale. Questa gerarchia implicazionale evidenzia come il luogo di articolazione più frequente sia appunto quello alveolare/dentale: se una lingua ha una sola consonante nasale questa è necessariamente alveolare/dentale (Maddieson 1984).
Le cosiddette antirisonanze (➔ fonetica acustica, nozioni e termini di) rappresentano la principale conseguenza acustica della nasalità, ovvero dell’accoppiamento del risonatore nasale con quello orofaringale. Esse producono sulle formanti uno smorzamento che determina un minore annerimento del tracciato o anche la sua totale scomparsa.
Le vocali nasali sono caratterizzate da risonanze supplementari e da forti antirisonanze, che producono un consistente indebolimento dei tracciati formantici, insieme a una maggiore larghezza di banda per la prima formante. Tuttavia, la nasalizzazione non colpisce tutte le vocali allo stesso modo: anche dal punto di vista acustico, dunque, le conseguenze possono variare in base al timbro.
Le consonanti nasali hanno una struttura formantica comparabile a quella delle vocali, ma molto più debole. La prima formante ha una frequenza di circa 200-300 Hz per tutte le nasali, la seconda formante varia in base al luogo di articolazione (1000 Hz per la bilabiale e la labiodentale, 1300-1500 Hz per l’alveolare, 2000 Hz per la palatale, 2500-2600 Hz per la velare). L’ampia zona di antirisonanza, all’incirca tra i 500 e i 2000 Hz, determina un indebolimento delle formanti comprese in questo intervallo di frequenza, visibile a occhio nudo nei sonogrammi riportati nelle figg. 2, 3, 4, 5, 6, che mostrano anche le variazioni della seconda formante al variare del luogo di articolazione.
Le nasali dell’italiano sono tre: /m/ di [m]ano, /n/ di [n]aso, /ɲ/ di la[ɲː]a (lagna); il numero arriva a cinque se si considerano i due allofoni [ŋ] (ancora, angolo) e [ɱ] (anfora, invece). I tre fonemi nasali sono tipologicamente tra i più comuni; una frequenza minore ha l’allofono labiovelare.
La realizzazione di /n/ è alveolare in posizione iniziale ([n]odo) e in posizione intervocalica (na[n]o), mentre all’interno dei nessi nasale + occlusiva prende solitamente il punto di articolazione della consonante seguente, diventando appunto omorganica (cfr. § 4). Le nasali alveolari e bilabiali possono essere realizzate anche geminate, permettendo la creazione di coppie minime (➔ coppia minima) che si oppongono proprio per il tratto di lunghezza (ca[n]e ~ ca[nː]e; fu[m]o ~ fu[mː]o). La nasale palatale rientra nel novero delle consonanti lunghe per posizione, quelle cioè prive di una controparte breve, perché intrinsecamente lunghe in posizione intervocalica, per cui pigna è pi[ɲː]a e gnomo è [ɲː]omo.
Mentre nei dialetti centrali e meridionali (➔ meridionali, dialetti) la nasale alveolare è rimasta sostanzialmente inalterata, nelle varietà settentrionali ha subito profonde modifiche, con una complessa diversificazione areale. Come in francese, è avvenuta la nasalizzazione della vocale precedente, con successiva caduta del fono nasale, divenuto velare, secondo la trafila (V = vocale, C = consonante): Ṽŋ(C) → Ṽ(C) → Ṽː(C)
Tale trafila è documentata, ad es., da vinu > milanese [vĩː] «vino». Nei dialetti lombardi orientali alla caduta della nasale finale e della nasale prima delle occlusive sorde si è accompagnata una totale denasalizzazione delle vocali, per cui cane > bergamasco [kaː], campu > [kaːp]. Nei dialetti emiliani è diffusa la presenza della nasale velare in posizione finale: cane > bolognese [kæŋ]. A nord della linea La Spezia-Rimini (➔ aree linguistiche), la nasale palatale che nello standard è lunga per posizione viene realizzata come scempia o come [nj]: impegnato è impe[ɲ]ato o impe[nj]ato; tuttavia (De Mauro 19702: 405) quest’ultima pronuncia risulta sfavorita a causa dell’esistenza del nesso /nj/ (notato graficamente ‹ni›) in parole quali Tonio, conio.
Parimenti, allo stesso modo che per le occlusive, le nasali geminate tendono ad essere realizzate come scempie (➔ scempiamento). Nelle parlate dell’Italia mediana (Lazio, Abruzzo, Umbria, Marche centro-meridionali) e, con minore sistematicità, nelle parlate settentrionali, la nasale seguita dalla semivocale palatale si palatalizza in [ɲ]: patrimonio è pronunciato patrimo[ɲː]o o patrimo[ɲ]o.
Nei nessi consonantici in cui sono coinvolte le consonanti nasali si registrano consistenti modifiche, soprattutto nel Centro-Sud. L’occlusiva postnasale sonora si assimila totalmente alla nasale omorganica: mo[nd]o → mo[nː]o; pio[mb]o → pio[mː]o e – con una diffusione sensibilmente minore – li[ŋg]ua → li[ŋː]ua. Tale fenomeno è documentato – con alcune limitazioni diastratiche – anche per il romanesco (➔ laziali, dialetti; ➔ Roma, italiano di). In un’area meno estesa le occlusive sorde dopo consonante nasale si sonorizzano: sa[nt]o → sa[nd]o, ca[mp]o → ca[mb]o. Il nesso nasale alveolare + affricata palatale si assimila nella nasale palatale nel Lazio, in Abruzzo, Molise, Campania (ma[nʤ]are → ma[ɲː]à); lo stesso esito ha il nesso nasale + occlusiva bilabiale, in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania (ca[mb]iare → ca[ɲː]à). In una pronuncia settentrionale d’italiano, la consonante nasale, invece di essere omorganica alla consonante seguente si realizza come velare o – in stili meno controllati – come «transizione nasale aperta» (Mioni 1986: 35), trascritta con il segno di nasalità ‹˜› ma priva di un simbolo consonantico: ad es., tonfo è realizzato, nella pronuncia cosiddetta standard (➔ pronuncia), come [ˈtoɱfo] e nella pronuncia settentrionale [ˈtoŋfo] o [ˈtõfo]. Quindi, mentre in una pronuncia più o meno standard una sequenza Vocale + Nasale tautosillabica presenta solo una lieve nasalizzazione della vocale, nelle pronunce settentrionali si ha una neutralizzazione della nasale seguente e una consistente nasalizzazione della vocale.
La consonante nasale può aprire e chiudere la sillaba (il fatto che la nasale palatale possa chiudere la sillaba è subordinato in realtà allo statuto fonologico attribuito alle consonanti geminate; ➔ consonanti). Per quanto concerne la testa sillabica (➔ sillaba), tutte e tre le nasali possono ricorrere come testa monoconsonantica (nastro, madre, gnocco), mentre soltanto /n/ e /m/ possono ricorrere come secondo elemento di testa biconsonantica, precedute dalla sibilante sonora: [zn]ervante, [zm]acco. Per quanto concerne la coda, /n/ e /m/ possono ricorrere in posizione interna (canto, lampo). In posizione finale di parola ricorrono soltanto nel caso di parole monosillabiche che hanno lo statuto di prestiti acclimatati (quali, ad es., fan e tram), nel caso di apocope sillabica e vocalica (san Giovanni, sarem pronti) e, limitatamente alla nasale alveolare, nel caso di parole funzionali (un, in, non, con).
Casi rarissimi di code biconsonantiche finali di parola in cui sono coinvolte articolazioni nasali sono attribuibili a lessico non autoctono (sprint e, come lessicalizzazione da un originario prefissoide, trans).
Come avviene in molte lingue, le consonanti nasali in posizione preconsonantica sono coinvolte in robusti processi di ➔ assimilazione regressiva per quanto concerne il luogo di articolazione, processi attivi anche a confine di parola. In sostanza, la consonante nasale prende di solito il luogo di articolazione della consonante seguente. Da un punto di vista fonologico, dunque, la distinzione tra fonemi nasali si neutralizza in posizione preconsonantica. Le sequenze dei palatogrammi nelle figg. 7 e 8 rappresentano, rispettivamente, i nessi /-nt-/ e /-nk-/ delle parole cantano e mancano e ben mostrano il differente luogo di articolazione nasale a seconda della consonante seguente: nel primo caso, il contatto lingua-palato, rappresentato graficamente dall’annerimento dei quadratini, avviene nella parte anteriore, all’altezza degli alveoli; mentre nel secondo caso il contatto lingua-palato si realizza nella parte posteriore del palato, verso il velo.
L’estrema diffusione e il carattere allofonico del fenomeno fanno sì che raramente questo raggiunga il livello ortografico (il grafema per la nasale precosonantica è il medesimo in mancano e in mandato), con l’unica eccezione rappresentata dai nessi nasale + consonante bilabiale, che riportano anche a livello ortografico l’assimilazione di luogo, visto lo statuto fonematico di /m/: si pensi all’allomorfia del prefisso in- in lessemi quali i[n]debito, i[ŋ]cauto, i[ɱ]fedele – in cui la nasale viene trascritta sempre con il medesimo grafema – rispetto a lessemi quali i[m]possibile, in cui la nasale è, anche ortograficamente, una bilabiale. In questi nessi l’assimilazione di solito è di tipo parziale e coinvolge solo il luogo di articolazione; diventa totale nel caso in cui la consonante successiva sia essa stessa una nasale (u[m m]estolo = un mestolo). La nasale palatale è esclusa da tali processi assimilativi a causa della sua limitazione contestuale (ricorre solo in inizio assoluto o in posizione intervocalica).Sebbene molti studi recenti condotti con elettropalatografo e articulografo abbiano dimostrato che fenomeni assimilativi nei nessi nasale + velare siano per certi versi graduali e continui (per l’inglese, vedi Ellis & Hardcastle 2002), indagini elettropalatografiche condotte sulla lingua italiana hanno confermato l’aspetto tendenzialmente categoriale del processo (Farnetani & Busà 1994; Calamai & Ricci 2010). De Mauro (19702: 405) segnala una resistenza a simili fenomeni assimilativi nell’italiano postunitario, con pronunce alveolari di [n] davanti a [v] o [k] (convegno, concorso), forse da mettere in relazione con la diffusione di voci caratterizzate dalla presenza di [m] davanti a nasale alveolare (amnesia, amniocentesi, omnium) e di sigle con nessi di nasale alveolare seguita da consonante bilabiale (ENPALS, ENPAS, INPADAI, INPS): tuttavia mancano ad oggi studi di sociofonetica in grado di fornire un quadro quantitativo e qualitativo di tali processi.
La frequenza dei singoli fonemi nasali nell’italiano, in corpora sia di parlato sia di scritto (➔ corpora di italiano), ricalca da vicino la frequenza tipologica, con la classe delle consonanti nasali meno frequente della classe delle consonanti occlusive, ma più frequente della classe delle fricative. Sia nel parlato che nello scritto, la consonante più frequente risulta essere proprio la nasale alveolare /n/, seguita a grande distanza dalla nasale bilabiale /m/ e dalla nasale palatale (Bortolini et al. 1978: 582; Minnaja & Paccagnella 1977). Una proporzione simile è mantenuta anche nella lista di frequenza dei fonemi della lingua italiana nel lessico basico, con la differenza seguente: la nasale alveolare appare meno frequente di /t/ e di /r/ (Chiari 2002: 257; rielaborazione da Batinti 1993: 58-59).
Per quanto concerne i nessi consonantici, la più recente analisi compiuta sul corpus romano del LIP ha mostrato una grande produttività delle nasali come primo elemento (Chiari & Castagna 2005: 72-74): il nesso di gran lunga più frequente è /nt/ (cantare), seguito, a distanza, dalla controparte sonora /nd/ (mandare). Sono relativamente meno frequenti i nessi con l’occlusiva velare sorda /nk/ (fianco) e con sibilante sorda /ns/ (insieme). Per quanto concerne la frequenza delle consonanti geminate, il luogo di articolazione favorito è, al solito, quello alveolare (tonno). Più frequente di /mː/ (mamma) è la nasale palatale lunga per posizione /ɲː/ (vigna). Nei nessi triconsonantici, /ntr/ (contratto) risulta più frequente di /mpr/ (sempre), a sua volta più frequente di /mpl/ (semplice).
La quasi totale assenza di riflessi ortografici nei fenomeni assimilativi è stata trattata al § 4. Il fatto più macroscopico relativo alle articolazioni nasali riguarda la rappresentazione grafica della nasale palatale attraverso il digramma ‹gn›. Tuttavia – è bene ricordarlo – il digramma gn si pronuncia talvolta anche come nesso biconsonantico [gn] in alcuni germanismi (gneiss, wagneriano) e in alcuni grecismi (gnoseologia, gnosi), ma per questi ultimi solo come variante affettata (Serianni 2000: 32).
Nelle carte latine medioevali il digramma compare per la prima volta in due carte lucchesi del 757 e del 759 (Maraschio 1993: 153), essendo più comune la trascrizione etimologica ‹ni›. Una variante che ha riscosso nel tempo un discreto successo è ‹ngn›, forma rafforzata presente anche in iscrizioni latine. Del resto, la combinazione dei due grafemi g e n era presente anche in latino, anche se con un diverso valore fonetico (cognosco è co[gn]osco): nell’evoluzione storica, ben si è prestata a rappresentare l’emergere dei suoni palatali sia nei nessi occlusiva velare + nasale (dove appunto preesisteva), sia nei nessi nasale + /j/ (per es., venio > *venjo > ve[ɲː]o, vinea > *vinja > vi[ɲː]a).
Il digramma ‹gn› fu peraltro il modello per il parallelo digramma ‹gl›, di più tarda attestazione e dall’affermazione più difficoltosa, mancando un modello latino gl su cui innestare le emergenti pronunce palatali (nei testi scritti, dunque, legno appare più frequente di figlio). Alla relativamente ampia uniformità delle scriptae di area toscana (pur con le inevitabili oscillazioni, come quelle, costanti, nella grafia italiana, tra gn e gni) si contrappongono oscillazioni e alternanze maggiori in altre parti della penisola: un esempio è rappresentato dalle forme vighe e vinghe «vigne» reperibili in area pugliese, peraltro di difficile interpretazione fonetica (Maraschio 1993: 153; ➔ scripta).
Dopo le nasali palatali compare il grafema ‹i› nel caso di forme alla prima persona plurale del presente indicativo e congiuntivo (sogniamo, spegniamo), e alla seconda persona plurale del presente congiuntivo (sogniate), in cui la semivocale fa parte della desinenza. Spesso, però, esso viene riassorbito dalla consonante precedente, con perdita della riconoscibilità grafica delle desinenze verbali.
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