Nascita
La nascita è il venire al mondo di un essere umano, sia con preciso riferimento all'evento fisiologico del parto sia con significato più ampio e generico di inizio dell'esistenza. La nascita rappresenta anche il punto di contatto tra il mondo degli eventi naturali e quello degli eventi sociali, corrispondendo all'introduzione della persona nel proprio gruppo di appartenenza.
1.
Un tempo, quando il parto era un evento frequente nella vita di una donna e si svolgeva nell'ambito della famiglia, esso era vissuto più naturalmente di quanto non si faccia oggi. Ciò che sarebbe successo in quei momenti e quello che bisognava fare o non fare erano cose risapute, che si aveva occasione di vedere prima ancora di sperimentare. I corsi di preparazione al parto sono sorti all'inizio del 20° secolo quando un ostetrico inglese si accorse che, informando le donne su che cosa sarebbe loro successo e insegnando loro a collaborare in modo attivo alla nascita del bambino, riusciva a ottenere un'attenuazione delle percezioni dolorose (l'odierna 'analgesia psicologica').
Attualmente nei centri ospedalieri questi corsi sono ormai comuni: si propongono di alleviare l'ansia e la paura spiegando i fenomeni della gravidanza e del parto e di diminuire la tensione neuromuscolare con esercizi di rilassamento uniti a esercizi di respirazione, che presuppongono tra l'altro una forte concentrazione da parte della donna, tale da ridurre la percezione cosciente degli stimoli corporei. Altre tecniche utilizzate, ma meno diffuse, sono: i metodi ipnosuggestivi, che ottengono gli stessi esiti inducendo uno stato di trance più o meno profondo; lo yoga, che aiuta le donne ad accettare (anziché sfuggire) le sofferenze e le paure che accompagnano il parto; i corsi di preparazione in acqua, che prevedono lezioni di nuoto (con cui ci si abitua a regolare la respirazione) ed esercizi di stretching, facilitati dalla proprietà dell'acqua di sostenere il peso del corpo e agevolare i movimenti, incrementando l'attività muscolare. A proposito dei risultati delle varie metodiche proposte, si deve tenere presente che, come rilevano R. e G. Forleo (1983), un grande ruolo hanno la modalità e il luogo ove si svolgerà il parto, la disponibilità del personale, l'avere accanto a sé il marito, 'il clima di rispetto e sacralità' che deve caratterizzare la nascita come 'celebrazione di vita'. È questo infatti l'atteggiamento migliore con cui porsi verso l'evento della nascita; è innegabile però che agli occhi del medico essa appare oggi più che altro come una possibile fonte di complicanze patologiche, e che il ricorso automatico al ricovero ospedaliero ha contribuito a trasformarne l'immagine, privandola della sua 'normalità'.
Già D.W. Winnicott (1957) sosteneva che il parto è un processo essenzialmente 'naturale e automatico' di cui non va sottovalutata la dimensione emotiva e affettiva che coinvolge l'intera famiglia: il padre, che partecipa ai sentimenti della moglie arrivando a volte a provarne gli stessi sintomi fisici, pur essendone escluso; la madre, che si trova in uno stato simile alla malattia, anche quando il parto rientra nei limiti fisiologici, è allo stesso tempo la sola persona veramente capace di accogliere il bambino; il bambino, infine, che alla nascita è già una persona in grado di percepire la differenza tra l'essere accolto bene o male. Probabilmente, il 'ricordo' della nascita che alberga in ognuno di noi è legato non tanto al cosiddetto trauma della nascita, la cui esistenza è peraltro controversa (secondo S. Freud alla nascita non vi è coscienza, sicché il senso di pericolo vissuto non ha ancora contenuto psichico), quanto alla qualità delle cure ricevute nei primi istanti di vita.
Queste riflessioni, unitamente a maggiori informazioni e a una migliore assistenza prenatale, permettendo di prevenire o prevedere le gravidanze a rischio, hanno incoraggiato i genitori a riappropriarsi di quella dimensione affettiva che circonda il parto. Tale volontà si è tradotta in varie iniziative: per es., a partire dagli ultimi dieci-quindici anni del 20° secolo si è registrata una crescente richiesta di tornare a partorire a domicilio o in piccole strutture (le 'case da parto') concepite secondo uno schema familiare e situate all'interno della struttura ospedaliera o nelle sue immediate vicinanze. Partorire in casa permette certamente di sentirsi più a proprio agio, rassicurate dalla presenza del coniuge e di altre persone care, nonché dallo stesso personale medico-ostetrico che ha seguito tutta la gravidanza, ma necessita di alcune condizioni ben definite e imprescindibili. È essenziale innanzitutto un'attenta valutazione della gravidanza, codificata da appositi moduli che filtrano selettivamente eventuali parti a rischio. Comunque, complicazioni per la madre o il bambino possono sempre verificarsi, e quindi deve essere assicurata la possibilità di un pronto trasferimento in ospedale.
Al parto deve assistere un'équipe formata da un ginecologo, un'ostetrica e un neonatologo, specializzati in tali esperienze e che avranno fornito in precedenza indicazioni circa l'organizzazione della stanza ove avverrà il parto e il materiale necessario. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), se queste condizioni sono rispettate i rischi del parto in casa non sono maggiori di quelli di un parto ospedaliero. Va comunque tenuto presente che è una scelta che coinvolge tutta la famiglia e che almeno per qualche giorno stravolge le abitudini domestiche: è importante quindi che tutti siano ben convinti e disponibili a un impegno maggiore. Infine, tutti i costi risultano a proprio carico. Nell'ambito delle iniziative volte a ricollocare la nascita in quella sfera di umanità che maggiormente le compete, un ostetrico francese, F. Leboyer, ha messo a punto un metodo (noto come 'metodo Leboyer' o 'della nascita dolce') per rendere il primo contatto con il mondo il meno violento possibile, rispettando la sensibilità e le difficoltà del bambino e offrendogli la possibilità di sperimentare le nuove sensazioni poco alla volta e il più dolcemente possibile. Tale metodo prevede perciò alcune accortezze, quali luci soffuse, rumori ridotti al minimo, musiche rilassanti, temperatura della sala parto più elevata, maggior calma e dolcezza nell'effettuare le prime manovre sul bambino ecc. Una radicalizzazione del metodo Leboyer è il parto in acqua, che permette al bambino una transizione meno brusca dal liquido amniotico, in cui è stato immerso fino a quel momento, alla 'fredda' atmosfera esterna. Vari studi hanno rilevato che questo metodo influenza positivamente il carattere di tali bambini, che sembrano più socievoli, equilibrati e sereni nel loro sviluppo successivo.
Subito dopo la nascita, i primi contatti tra madre e figlio si stabiliscono attraverso canali di comunicazione molto semplici, innati: la vista, il tatto, l'odorato, l'ascolto dei suoni, la condivisione delle prime emozioni. Questi dialoghi consentono alla donna di esprimere i suoi istinti naturali e al bambino di adattarsi al nuovo mondo, di sviluppare le prime reazioni di attaccamento e di stabilire la qualità dei legami interpersonali. Perché il vincolo tra mamma e neonato si avvii in maniera ottimale è dunque determinante permettere che tali meccanismi scattino liberamente: in quest'ottica è nata l'idea del rooming-in (letteralmente "stare in stanza assieme") che prevede di mettere il neonato in camera con la madre, lasciando che sia lei a occuparsene, allattandolo quando ha fame e coccolandolo quando lo richiede, senza seguire orari prestabiliti. In tal modo la madre, affiancata dai consigli del personale sanitario, si abitua sin dall'inizio ad assumersi la responsabilità del proprio bambino e supera più facilmente la fase di depressione e il senso di smarrimento che spesso seguono la dimissione dall'ospedale. Nonostante gli indubbi vantaggi per la mamma e il neonato, il rooming-in si sta diffondendo lentamente poiché comporta un notevole sforzo organizzativo e finanziario da parte delle strutture ospedaliere, nonché un maggior rischio dal punto di vista legale, in quanto la responsabilità del bambino finché si trova in ospedale è del personale sanitario.
Più comune è la pratica della dimissione precoce, sorta per scongiurare l'eccessiva medicalizzazione della nascita e per assecondare l'ormai comune politica di contenimento dei costi e la cronica carenza di posti letto di molti ospedali. Tuttavia, pur non volendo considerare il parto come un processo patologico, esso comporta comunque uno stress fisico, per la mamma e il neonato, che necessita di un adeguato monitoraggio medico: attualmente, si è stabilito che in Italia la durata minima di ricovero ospedaliero è, per un parto normale, di 72 ore e, per un parto cesareo, di 5 giorni dopo l'intervento. Questi tempi vengono considerati ragionevoli per escludere le maggiori complicanze acute del parto e per monitorare le condizioni di salute del bambino, favorendo contemporaneamente l'attaccamento madre-bambino nel contesto della propria famiglia. La pratica della dimissione precoce necessita comunque di una buona compliance familiare (aiuto alla puerpera da parte di parenti o amici, coinvolgimento del padre, buon livello igienico, relativa vicinanza a un centro ospedaliero) e la possibilità di una sorveglianza domiciliare periodica del neonato e della puerpera da parte di personale medico-ostetrico specializzato. Un altro aspetto della maternità, molto rivalutato a partire dagli ultimi decenni del 20° secolo, è l'allattamento al seno.
Passato in secondo piano dopo le rivendicazioni femministe degli anni Settanta e dopo la comparsa sul mercato di formule lattee artificiali nutrizionalmente valide, il ritorno al latte di donna è stato incentivato dalle moderne acquisizioni scientifiche. Esso è infatti l'alimento più ricco di sostanze biologicamente utili e immunologicamente attive, indispensabili per il corretto accrescimento e sviluppo del bambino. Tali sostanze vengono inoltre fornite nella forma più digeribile per il neonato e in misura crescente man mano che i suoi bisogni aumentano. L'attaccamento al seno consolida altresì l'unione tra madre e figlio creatasi durante la gravidanza, cosa estremamente importante per l'equilibrio emotivo del piccolo. Infatti, durante le prime fasi di vita, i momenti di maggiore comunione che il bambino condivide con la madre avvengono durante la nutrizione: il neonato è ben sveglio e tutta la sua emergente personalità è concentrata nello scopo di nutrirsi, ma anche nel volto sorridente della madre e nella sua voce (v. allattamento).
2.
Al momento della nascita il feto subisce una brusca transizione dall'involucro protettivo dell'utero all'ambiente esterno, al quale si deve adeguare compiendo cambiamenti fisiologici di notevole entità. La nascita, dunque, comporta sempre una piccola percentuale di rischio, ma vi sono delle situazioni ben definite che implicano un rischio aumentato di mortalità e morbilità perinatali, come indicato in tabella. Le tecniche sempre più avanzate di medicina e di assistenza neonatale hanno notevolmente ridotto il tasso di mortalità perinatale, contribuendo alla sopravvivenza di neonati potenzialmente suscettibili di inabilità e handicap anche gravi. È dunque essenziale prevenire e identificare il più precocemente possibile le gravidanze a rischio effettuando una campagna d'informazione ad ampio raggio sulla popolazione, controlli medici attenti e seriati e, quando possibile, interventi tempestivi su situazioni patologiche emergenti.
Tali gravidanze vanno seguite presso le unità operative di ostetricia ove sia possibile assicurare un'assistenza ottimale; tali unità operative devono essere collegate, o, nell'ipotesi migliore, essere contigue a unità operative di neonatologia, patologia neonatale e terapia intensiva. Al parto deve essere presente un neonatologo fornito del materiale necessario alla rianimazione, farmaci d'emergenza e un'incubatrice da trasporto con ventilatore artificiale. Non è inoltre da sottovalutare l'importanza di informare la famiglia, prima della nascita, sulle possibili evenienze che si verificheranno durante e dopo il parto e sull'eventualità di immediate terapie intensive sul neonato, mostrando loro il reparto e lo staff della terapia intensiva, discutendo i potenziali problemi e trattamenti che riguarderanno il loro bambino. Ogni unità operativa deve provvedere a sistematici controlli a distanza dei neonati a rischio dimessi improntando un programma di follow up che, in collaborazione con il pediatra di famiglia, monitorizzi con particolare attenzione l'evoluzione della crescita, lo sviluppo neurologico, psicomotorio e neurosensoriale, eventuali patologie croniche. Tale continuità di assistenza con il reparto d'origine è importante per rassicurare la famiglia in merito al fatto che le stesse persone responsabili di decisioni vitali sul proprio figlio al momento del parto continuano ad assumersene la responsabilità; in tale prospettiva, potrebbe anche essere valutata l'ipotesi di programmare visite domiciliari periodiche nei primi giorni dopo la dimissione per offrire un supporto, anche psicologico, alle famiglie di bambini giudicati più ad alto rischio o con scarsa compliance familiare.
3.
La nascita assume rilevanza giuridica poiché sancisce il riconoscimento della persona come soggetto di diritto giuridico. Il nuovo nato deve essere vivo e vitale, cioè in grado di sopravvivere dopo la separazione dal grembo materno; il feto abortito, anche se dà segni di vita, è in realtà a essa incapace e pertanto non è suscettibile di diritto. È considerato invece vitale il neonato con patologia grave o mancante di organi anatomici poiché, sempre per la legge italiana, in tal caso sussiste la vitalità (intesa come presenza di attività cardiorespiratoria). Una vita, anche brevissima, conferisce diritti che possono avere grande influenza in materia di successioni: poiché il requisito della vitalità è presunto dalla legge, spetta a chi ne ha l'interesse la prova della sua non sussistenza. Solo dopo che la nascita è stata denunciata allo stato civile e dopo la redazione dell'atto di nascita il nato vivo diviene soggetto di diritto e acquista un'identità giuridica personale. La dichiarazione di nascita deve essere fatta entro dieci giorni dalla data del parto dal padre o dalla madre o da qualche loro procuratore speciale; oppure può essere fatta dal medico, dall'ostetrica o da chiunque abbia assistito al parto. Nell'atto di nascita vengono enunciati il comune, il giorno e l'ora della nascita, il sesso del bambino, il nome che gli è stato imposto e l'unione da cui è nato: l'atto di nascita costituisce infine prova di filiazione legittima e il bambino prende il cognome del padre. Se i genitori non sono sposati, il bambino può assumere il cognome della madre o del padre, se questi ne riconosce la paternità. In caso di mancato riconoscimento da parte dei genitori, il bambino viene registrato come figlio di ignoti con un cognome inventato; viene posto sotto tutela del Tribunale dei minori ed è reso adottabile.
1.
La nascita segna il passaggio da un evento eminentemente naturale (la generazione dell'organismo corporeo dell'individuo) a un evento di natura sociale, qual è l'accoglimento di una nuova persona nel gruppo di appartenenza dei genitori del neonato. Questo passaggio dal naturale al sociale avviene per gradi, perché anche la vita intrauterina può risultare condizionata da fattori sociali o culturali. La dimensione naturale del concepimento, della gravidanza e del parto rappresenta comunque l'evidenza più pregnante e significativa, anche dal punto di vista dei valori e dei simboli messi in gioco. L'aspetto naturale della nascita è stato universalmente elaborato dalle culture. Questo spiega la sostanziale equivalenza delle pratiche rituali post partum in tutte le parti della Terra. La naturalità del parto costituisce qualcosa di perturbante e di pericoloso, che va tenuto separato oppure ritualmente 'tradotto' nel sociale. Tale aspetto, ovviamente collegato con la sfera femminile, si trova nella maggior parte dei casi in opposizione alla dimensione sociale maschile. Per questa ragione, per es., nella nostra cultura vengono considerati figli 'naturali' quelli la cui paternità è incerta, ossia coloro che non sono stati riconosciuti da un padre. In diversi contesti culturali la dimensione naturale della nascita è stata concepita in correlazione e in equivalenza con quella della morte. In questo senso i due eventi possono essere intesi come aspetti di un medesimo processo, e la nascita appare come ultima fase di un percorso ciclico di rigenerazione iniziato subito dopo la morte dell'individuo, o come diretta reincarnazione dell'antenato. L'equivalenza simbolica di tali fasi può essere riscontrata nei due processi di metamorfosi che coinvolgono il corpo umano dopo la morte e prima della nascita.
Questa chiave di lettura è fondamentale per comprendere il significato dei riti post partum e il fatto che alcuni aspetti della nascita, come alcuni aspetti della morte, siano considerati pericolosi e contaminanti, e che ambedue siano pertinenti alla sfera del femminile e del selvaggio (Death and the regeneration… 1982). Per i polinesiani, per es., la cerimonia della nascita e quella della morte sono sostanzialmente analoghe. Tutto si gioca nell'opposizione tra mondo dei morti, po (che è anche il mondo degli dei, degli antenati e della creazione primordiale), e mondo dei vivi, ao. L'opposizione ao/po è anche quella tra notte e giorno, principio femminile e principio maschile. In questo contesto, il processo della nascita segna una necessaria separazione dall'universo materno, legato alla femminilità e al mondo delle tenebre: il neonato deve essere estratto dalla dimensione femminile impura del po, per essere integrato nel mondo sociale degli umani (Babadzan 1983). La stessa dialettica natura/società si ritrova nelle rappresentazioni della nascita presso gli indios ascé guayaki del Paraguay. Questo popolo possiede una terminologia molto precisa per designare il passaggio che deve essere attuato al momento della nascita: la parola nascere (waa) equivale a "cadere", sicché il neonato 'cade' al mondo, in una sorta di movimento naturale che lo collega alla Terra. Nella logica guayaki, l'opera della levatrice (upiaregy) inverte questa direzione di caduta, sollevando il neonato (upi è "sollevare") e assicurandogli in questo modo l'ascesa alla dimensione umana e l'inizio della sua nuova esistenza nel gruppo. In modo non dissimile, la tradizione giudaico-cristiana considerava impura la donna incinta perché portava in grembo un essere non ancora battezzato, cioè non ancora riconosciuto nella comunità degli uomini (Candilis-Huisman 1997).
Questo aspetto pericoloso e perturbante del nascituro era stato segnalato anche da A. van Gennep (1909) nel suo studio sui riti di passaggio (v. funerale). Nel capitolo dedicato alla nascita è riportata l'usanza marocchina di assimilare il neonato a uno straniero, il quale, secondo le regole dell'ospitalità, deve essere prima di tutto separato dal suo mondo precedente. La separazione del bambino dal corpo della madre è dunque sia fisica sia simbolica. Essa viene operata, attraverso pratiche igieniche ma anche fortemente connotate in senso magico-rituale, su quegli organi, il cordone ombelicale e la placenta, la cui formazione e sviluppo sono strettamente funzionali alla relazione che si instaura durante la gravidanza. Le modificazioni del corpo materno in rapporto al concepimento e alla crescita del feto, l'armonizzazione di questo processo e, al contrario, la necessaria rottura dell'equilibrio perché il parto possa avere luogo, sono aspetti tuttora in parte inspiegati anche dalla scienza medica. Il mistero del corpo ha dunque nella nascita la sua principale roccaforte. Non a caso nell'immaginario medievale l'utero veniva raffigurato come un microcosmo circolare, corrispondente al macrocosmo e influenzato dagli astri, nel quale il feto trovava posto così come l'uomo lo trovava nell'Universo (Candilis-Huisman 1997).
2.
L'idea aristotelica secondo la quale lo sperma maschile e il sangue mestruale femminile si mescolano e si coagulano nell'antro magico dell'utero (Candilis-Huisman 1997), viene condivisa da molti popoli cacciatori-raccoglitori (Arioti 1980). In base a una concezione diffusa tra i nativi della Nuova Guinea, le ossa del bambino sono prodotte dallo sperma del padre, mentre la carne e il sangue derivano dal sangue mestruale della madre (Bonnemère 1990). Nelle tradizioni maori e tahitiane, la donna è considerata come il ricettacolo di un processo di crescita innescato da un principio maschile. Si tratta di una 'scintilla di vita' (purapura) di natura divina, della quale gli uomini sono i detentori. Senza questo catalizzatore maschile, che si insedia nel grembo femminile durante il coito, il concepimento non può avvenire. Per gli abitanti delle Isole Australi, sempre in Polinesia, il momento più propizio per la fecondazione è proprio quello del ciclo mestruale, poiché lo sperma, entrato in contatto con il sangue femminile, ne arresta il flusso e lo fa coagulare, dando così inizio al processo di crescita dell'embrione umano. Secondo un anziano maori, il sangue mestruale espulso è una sorta di essere umano che non ha preso forma. Se invece viene trattenuto nell'utero, la persona può cominciare a crescere (Babadzan 1983). I merina del Madagascar rappresentano un esempio di un'altra concezione abbastanza diffusa (che i primi antropologi fraintesero prendendola troppo alla lettera), secondo la quale i rapporti sessuali sono in un certo senso inutili, dato che la fecondazione è un dono degli spiriti. In particolare, a favorire il concepimento possono intervenire gli antenati mitici, pratiche magiche, pellegrinaggi, l'unzione di pietre sacre, cibi particolari oppure l'ingestione di frammenti delle stuoie sulle quali erano stati posti i corpi degli antenati defunti (Molet 1976). Anche gli aborigeni australiani considerano il concepimento come il risultato di una serie di azioni combinate a livello spirituale, attraverso il sogno e la visitazione di località sacre, i centri totemici dove hanno dimora gli 'spiriti bambini' (Arioti 1980). I desana (tucano) dell'Amazzonia colombiana sono consapevoli del fatto che il seme maschile feconda gli organi femminili per produrre una nuova vita. Lo sperma e le secrezioni femminili sono indicati con un termine che significa amido o miele. Attraverso questa 'dolcificazione' della donna, per ottenere la quale un solo amplesso non è sufficiente, avviene la procreazione (Reichel-Dolmatoff 1971).
3.
Una questione che per lungo tempo ha impegnato le menti degli uomini è la determinazione del momento nel quale l'embrione riceve l'anima; problema assimilabile al dibattito attuale per stabilire quando l'embrione possa essere considerato una 'persona' a tutti gli effetti. Nel Medioevo, il termine stabilito per la discesa dell'anima era 40 giorni dal concepimento per i maschi e 80-90 per le femmine (Candilis-Huisman 1997). Un'ipotesi affascinante a questo proposito la dobbiamo ai maori, i quali pensano che la prima manifestazione ed esteriorizzazione dell'anima (wairua) corrisponda alla comparsa degli occhi nell'embrione. La possibilità tanto di vedere quanto di essere visti costituisce infatti per questo popolo l'essenza che anima la materia e tutto il vivente (Babadzan 1983). Anche a proposito delle profonde e traumatiche trasformazioni che si producono nel corpo femminile durante la gravidanza, vi sono le più svariate rappresentazioni culturali. Significativo è il mito di origine degli indiani hupa della California, nel quale la protagonista (l'antenata mitica Orsa) si trova impossibilitata a camminare, guarda al di sopra della sua enorme pancia e si chiede come è possibile che sia in questo modo che scaturisca il mondo degli umani. Le viene in soccorso un albero dalle foglie amare, che le dona la medicina per poter nuovamente camminare e dare così futuro alla progenie (Goddard 1904). Oltre a una svariata farmacopea, la gravidanza ha sempre attirato su di sé un infinito numero di prescrizioni, tabu alimentari, incantesimi e scongiuri. Rispetto alla questione, per es., della possibilità di avere rapporti sessuali durante questo periodo, le diverse culture hanno dato risposte del tutto contrastanti: per alcune i rapporti sono pericolosi oppure altamente contaminanti, altre sono indifferenti in proposito, altre ancora, come gli indiani delle Pianure (America Settentrionale), considerano l'amplesso in gravidanza molto importante per il nutrimento del feto. Da una prospettiva del tutto diversa da quella dei pericoli e dei rischi simbolici o reali, la gravidanza è stata riconosciuta, fin dall'antica ginecologia ippocratica, come una condizione di perfetto equilibrio fisiologico, di armonia con il nuovo essere che si porta in grembo e di affinamento delle capacità sensitive e intellettive della donna. Il corpo materno svolge dunque un doppio ruolo: quello di proteggere il feto, 'filtrando' tutto ciò che avviene nel mondo circostante, e quello di trasmettere, di far passare al nascituro tutte quelle sensazioni ed emozioni che saranno fondamentali alla sua vita futura (Candilis-Huisman 1997).
4.
Le tecniche e le posizioni del parto variano a seconda delle epoche storiche e delle culture. Le rappresentazioni occidentali più antiche, di epoca grecoromana, mostrano la partoriente seduta sulle ginocchia di una matrona e sostenuta ai lati da altre due assistenti. Nel Medioevo, uno degli strumenti delle levatrici di professione era la sedia da parto, che nonostante le apparenze permetteva una grande varietà di posture, sicuramente maggiore rispetto alla posizione 'ostetrica' nella quale si partorisce oggi nelle cliniche occidentali. L'uso del letto da parto inizia a diffondersi a partire dal Seicento, parallelamente all'introduzione del medico ostetrico maschio, con tutte le complicazioni derivate dal rigido senso del pudore dei tempi. Le levatrici, nelle zone rurali e nelle culture tradizionali, sono sempre state personaggi riconosciuti e rispettati. Per alcuni aspetti erano anche temute, quando incarnavano l'archetipo della donna selvaggia e sapiente, come sages femmes, o decisamente come streghe (Bettini 1998). In Francia, verso la fine del Medioevo, venivano reclutate dalle autorità municipali e, dopo aver prestato giuramento, acquisivano il titolo di madri alleresses (dal latino adlevare, perché sollevavano il neonato per presentarlo al padre), impegnandosi ad assistere e soccorrere tutte le donne incinte, di qualsiasi classe sociale (Candilis-Huisman 1997). Nelle società cosiddette primitive, di solito la donna partorisce in posizione inginocchiata, sorretta o appoggiata a un palo ben conficcato nel suolo. Se le tecniche appaiono semplici, le rappresentazioni del parto in queste culture possono essere incredibilmente elaborate. C. Lévi Strauss (1958) riporta la descrizione di un parto difficile tra i cuna (Panama), o meglio commenta un testo di 535 versetti raccolto e trascritto da un indiano cuna, una sorta di lungo incantesimo con una serie di canti per facilitare il travaglio. In questo testo il linguaggio è mitico-simbolico, ma ogni sua parte corrisponde a una fase reale del parto ed è mirata a risolverne i problemi. La vagina e l'utero, per es., sono rappresentati come un itinerario e una dimora mitica; la dilatazione dell'utero viene operata da aiutanti spirituali animali, che procedono tutti insieme, fianco a fianco, per aprire la strada e facilitare la discesa del bambino.
Un altro esempio etnografico di parto estremamente elaborato dal punto di vita rituale e simbolico è quello dei semai della Malesia, scrupolosamente descritto da R. Knox Dentan. Tra i semai, il parto deve avvenire su un pavimento fessurato, in modo che il sangue puerperale e la placenta possano defluire senza contaminare la casa. Questi sono ritenuti talmente pericolosi che vengono usati degli eufemismi per indicarli. Alla fine del parto, il padre avvolge la placenta in una stuoia di bambù e la porta in un luogo appartato della foresta, deponendola sulla biforcazione di un albero (Learning non-aggression 1978). Le prescrizioni rituali relative alla placenta sono universalmente diffuse. Per quanto riguarda gli indiani dell'America Settentrionale, tra i chippewa (Grandi Laghi) si racconta che nei tempi antichi essa veniva appesa alla biforcazione di un tronco; in seguito si cominciò a seppellirla (Hilger 1951). Per questo genere di interramento gli hopi (Arizona) avevano un posto speciale, chiamato la 'collina delle placente' (van Gennep 1909). Presso i desana, nell'America Meridionale, la placenta veniva considerata come un involucro, un tessuto o una 'tela di ragno' di tradizioni e saperi femminili nella quale il bambino è avvolto (Reichel-Dolmatoff 1971).
Presso i maori la placenta veniva interrata in un luogo lontano dal villaggio. Nella concezione maori, infatti, essa era considerata una sostanza vivente, che in un certo senso doveva essere 'uccisa' e nascosta in un luogo segreto, per evitare che fosse utilizzata a scopo di maleficio. I sinonimi usati per indicarla, nelle lingue maori e tahitiane, rinviano a termini quali terra, suolo natale, madre, utero, e si pensava che essa fosse la custodia del bambino e la sua 'prima casa' (Babadzan 1983). Sempre nel pensiero maori, il cordone ombelicale rappresenta il collegamento attraverso cui la vita passa da generazione in generazione, il filo genealogico che lega il tempo presente a quello degli spiriti ancestrali (Babadzan 1983). La resezione del cordone ombelicale è dunque un atto fortemente simbolico che segna la separazione dalla madre, ma anche dalla 'terra natale' delle origini, che corrisponde in queste culture alla dimora degli spiriti dei morti e del tempo dell''eterno ritorno' dei medesimi eventi. L'inizio di un nuovo 'slancio' temporale nell'esistenza terrena è possibile solo tagliando questo legame materno. Il trattamento rituale del cordone è diffuso con caratteristiche simili da un capo all'altro del mondo. La parte che rimane attaccata all'ombelico dopo il taglio e che si secca spontaneamente viene posta in un sacchettino e appesa al collo del neonato in Sicilia come tra gli indiani d'America. Oppure il pezzetto di cordone viene cerimonialmente fatto sparire: bruciato nel fuoco, posto in una conchiglia e gettato in mare, come fanno in Polinesia, seppellito in un luogo sacro, o sotto una pianta di rose, come fanno ancora oggi in Toscana e in altre regioni. Le pratiche rituali compiute sulla placenta (seppellimento, sospensione sugli alberi) e in misura minore sul cordone ombelicale (che secondo A. Babadzan viene conservato in quanto 'reliquia') sono simbolicamente omologhe ai riti funerari. Questo ci riporta al tema di partenza: la sostanziale continuità dei due passaggi di nascita e morte, e l'affinità dei residui di metamorfosi - come le squame di una muta - che i due passaggi lasciano, e che i viventi devono porsi alle spalle.
M. Arioti, Produzione e riproduzione nelle società di caccia-raccolta, Torino, Loescher, 1980.
A. Babadzan, Une perspective pour deux passages. Notes sur la représentation traditionnelle de la naissance et de la mort en Polinésie, "L'Homme", 1983, 23, 3, pp. 82-99.
M. Bettini, Nascere. Storie di donne, donnole, madri e eroi, Torino, Einaudi, 1998.
P. Bonnemère, Considérations relatives aux représentations des substances corporelles en Nouvelle-Guinée, "L'Homme", 1990, 30, 2, pp. 101-20.
D. Candilis-Huisman, Naître, et après? Du bébé à l'enfant, Paris, Gallimard, 1997 (trad. it. Torino, Universale Electa-Gallimard, 1998).
T.J. Carratelli, T. Giacolini, La nascita del senso del noi, "Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza", 1997, 64, pp. 339-50.
J. de Ajuriaguerra, Skin contact as a first experience. From touching to caressing, "Psichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza", 1990, 57, pp. 544-60.
Death and the regeneration of life, ed. M. Bloch, J. Parry, Cambridge, Cambridge University Press, 1982.
A. Fanaroff, R. Martin, Neonatal perinatal medicine. Disease of the fetus and infant, St. Louis, Mosby, 19976.
R. Forleo, G. Forleo, Figlio figlia. Guida a una gravidanza e a un parto felice, Milano, Feltrinelli, 1983.
P.E. Goddard, Hupa text, "American Archaeology and Ethnology", 1904, 1, 2, pp. 89-368.
H.L. Halliday et al., Handbook of neonatal intensive care, ed. A. Bell e R. Tubman, Philadelphia, Saunders, 19984.
M.I. Hilger, Chippewa child life and its cultural background, Washington, United States Government Printing Office, 1951.
Learning non-aggression, ed. A. Montagu, New York, Oxford University Press, 1978 (trad. it. Il buon selvaggio, Milano, Eleuthera, 1987).
C. Lévi-Strauss, Anthropologie structurale, Paris, Plon, 1958 (trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1966).
M.S. Mahler, F. Pine, A.A. Bergman, The psychological birth of the human infant, New York, Basic Books, 1975 (trad. it. Torino, Boringhieri, 1975).
L. Molet, Conception, naissance et circoncision à Madagascar, "L'Homme", 1976, 16, 1, pp. 3-63.
G. Pescetto et al., Manuale di ginecologia ed ostetricia, 2° vol., Roma, SEU, 1992.
G. Reichel-Dolmatoff, Amazonian cosmos. The sexual and religious symbolism of the Tukano Indians, Chicago, University of Chicago Press, 1971.
R.A. Spitz, The first year of life, New York, International Universities Press, 1965 (trad. it. Roma, Armando, 1973).
A. van Gennep, Les rites de passage, Paris, Nourry, 1909 (trad. it. Torino, Bollati Boringhieri, 19922).
D.W. Winnicott, Child and the outside world, New York, Basic Books, 1957 (trad. it. Firenze, Barbera, 1973).
Id., Babies and their mothers, Reading (MA), Addison Wesley, 1987 (trad. it. Milano, Cortina, 1987).