Nashville
(USA 1975, colore, 161m); regia: Robert Altman; produzione: Robert Altman per Landscape/American Broadcasting Company/Paramount; sceneggiatura: Joan Tewkesbury; fotografia: Paul Lohmann; montaggio: Sidney Levin, Dennis M. Hill; scenografia: Robert M. Anderson; costumi: Jules Melillo; musica: Richard Baskin, Jonnie Barnett, Karen Black, Ronee Blakley, Arlene Barnett, Gary Busey, Keith Carradine, Juan Grizzle, Allan F. Nicholls, Dave Peel, Joe Raposo.
A Nashville, capitale del Tennessee e della country music, fervono i preparativi per un fastoso spettacolo di musica e canzoni al Partenone, copia del tempio greco eretta nel Centennial Park. Nei cinque giorni che precedono lo show, cadenzati dalla martellante campagna elettorale del candidato qualunquista e reazionario Hal Philip Walker, si inanellano i percorsi di ventiquattro personaggi, ognuno a suo modo protagonista: divi come Barbara Jean e Haven Hamilton, fan devoti e ossessivi, ragazze ansiose di raggiungere la fama di cantanti, giornalisti, galoppini, spettatori e comuni cittadini di Nashville. La giostra di maschere, voci e canzoni s'interrompe quando, durante il concerto, un giovane fredda a bruciapelo Barbara Jean. Ma lo spettacolo ricomincia subito: l'omicidio offre alla debuttante 'Albuquerque' l'insperata opportunità di intonare It Don't Worry Me con l'accompagnamento del pubblico.
Ritraendo lo show business della musica country dall'interno dei suoi rituali, Robert Altman ha dipinto un affresco polifonico dove identifica i connotati ambientali e sociali di un 'acquario' umano, ne lascia affiorare le dinamiche sotterranee come le nervature di fragilità e nevrosi esistenziali, e smaglia i veli che avvolgono mitologie e totem della cultura statunitense, di cui Nashville diventa insieme condensato e sineddoche. La narrazione, priva di centro e apparentemente aleatoria, si frastaglia in frammenti di episodi paralleli o incrociati, che ora riprendono il filo interrotto, ora evolvono verso nuove situazioni, ora si circoscrivono brevemente alla vicenda di due figure, infine convergono verso il rituale dello spettacolo che si rovescia brutalmente in una tragedia imprevista e immediatamente cauterizzata dalla frenesia pagana dello show che rinasce dalla sua stessa combustione. Già durante la preparazione del film, Altman e la sua sceneggiatrice avevano previsto l'ossatura di ogni episodio, ma decisero di lasciarne aperti gli sviluppi ai contributi via via offerti dalla libera improvvisazione degli attori. In una perfetta alchimia tra il dispositivo permeabile del documentario e il dominio sorvegliato della fiction, la cinepresa penetra nei 'gironi' privati e pubblici di un'opulenta società dello spettacolo, catturando la gamma di movimenti, umori, contraddizioni, opacità e crudeltà che compongono la fenomenologia di quel convulso caleidoscopio che è Nashville. Ogni personaggio è sorpreso all'interno di un flusso collettivo di parole, gesti e comportamenti, dove può occupare il centro della sequenza, oppure essere solo intravisto fuggevolmente sullo sfondo. Le parole delle canzoni (che celano una sottile irrisione dei topoi tematici della musica country), più che fornire un contrappunto alle azioni (o non azioni) del film, ne costituiscono il complemento essenziale.
Perfezionando il sistema sonoro messo a punto per California Split (California Poker, 1974) ‒ da otto a sedici piste indipendenti, per registrare, nello stesso tempo, le parole e i suoni ‒ e continuando, come in quel film, ad adottare l'overlapping (sovrapposizione di più voci, o dialoghi, o rumori), Altman instaura una perfetta simulazione di realtà colta nel suo stesso divenire, mentre la saturazione di musiche, voci e rumori definisce l'identità onnivora, triviale e vorace di un mondo sviscerato con la precisione di un entomologo (come sarà anche in successivi 'affreschi': A Wedding ‒ Un matrimonio, 1978; Health, 1980; Short Cuts ‒ America oggi, 1993), ma non senza una sottile attenzione alle sue derive più dolorose e, soprattutto, lasciando ampi margini di ambiguità di senso. Se uno dei teatri della country music a Nashville, il Partenone, non è altro che una pacchiana imitazione kitsch del tempio ateniese, anche le figure di cui pullula il film e la sua stessa iconografia sono copie ed epigoni derivanti da mitologie che hanno ormai perduto ogni innocenza (la patria, la frontiera, l'esercito). Le mine di nevrosi, frustrazioni e aggressività latenti che covano dietro le quinte e tra le file degli spettatori sono il sintomo di questa perdita. Questo mondo non concede alle star di tradire il proprio statuto semidivino: quando Barbara Jean, anziché cantare, si abbandona dal palco ad alcune confidenze sul proprio passato, rompendo il filtro 'sacro' della rappresentazione, ecco che il pubblico reagisce con crudele insofferenza, quasi in un preludio all'atto omicida del finale.
Il film ha ottenuto il Premio dei critici newyorchesi e l'Oscar per la migliore canzone originale (I'm Easy di Keith Carradine). Altman supervisionò anche il montaggio di una versione in due parti, di due ore ciascuna, comprendente materiale non inserito nell'edizione di-stribuita. Destinata alla televisione americana, non risulta sia mai stata trasmessa.
Interpreti e personaggi: David Arkin (Norman), Barbara Baxley (Lady Pearl), Ned Beatty (Delbert Reese), Karen Black (Connie White), Ronee Blakley (Barbara Jean), Timothy Brown (Tommy Brown), Keith Carradine (Tom Frank), Geraldine Chaplin (Opal), Robert Doqui (Wade), Shelley Duvall (Martha, 'Los Angeles Joan'), Allen Garfield (Barnett), Henry Gibson (Haven Hamilton), Scott Glenn (soldato Glenn Kelly), Jeff Goldblum (uomo del triciclo), Barbara Harris (Winifred, 'Albuquerque'), David Hayward (Kenny Fraiser), Michael Murphy (John Triplette), Allan Nicholls (Bill), Dave Peel (Bud Hamilton), Cristina Raines (Mary), Bert Remsen (Star), Lily Tomlin (Linnea Reese), Gwen Welles (Sueleen Gay), Keenan Wynn (Mr. Green), James Dan Calvert (Jimmy Reese), Donna Denton (Donna Reese), Merle Kilgore (Trout), Carol McGinnis (Jewel), Richard Baskin (Frog), Elliott Gould, Julie Christie (se stessi).
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Sceneggiatura: R. Altman, J. Tewkesbury, Nashville, New York 1976 (trad. it. Torino 1978).