NĀSIK
Antica città dell'India occidentale (la Nāsikya di Panini, Aṣṭādhyāyī, VI, 1, 63, e la Nasìka citata da Tolemeo, Geog., VII, I, 63), capoluogo dell'omonimo distretto del Maharashtra, attraversata dalla Godavari, c.a 180 km a NE di Bombay. Era situata al crocevia di importanti carovaniere che mettevano in contatto la costa orientale con quella occidentale e la regione gangetica. È considerata una delle città sacre dell'induismo.
Le indagini archeologiche condotte negli anni '50 da H. D. Sankalia hanno evidenziato quattro principali periodi, dal Calcolitico al XIX sec., considerando a parte le evidenze attinenti al Paleolitico Inferiore di Gangawadi, una quindicina di km da N., lungo l'antico letto del fiume.
Il periodo I (XVI/XI-VI sec. a.C.) è caratterizzato dalla presenza di ceramica color ocra/arancione, talora decorata con bande rosse o nere, c.d. di Jorwe (Jorwe Ware), dall'omonimo sito, nei pressi di Nāsik. Accanto a essa sono stati rinvenuti manufatti microlitici ben rifiniti e oggetti di bronzo (un bracciale, asce, ecc.).
Il periodo II, che segue il precedente dopo un breve iato, può essere suddiviso in/due fasi distinte: A (c.a V/IV-III sec. a.C.) e Β (III sec. a.C.-metà I sec. d.C.). Le abitazioni - con tracce evidenti di distruzioni causate da incendi - sono capanne con muri di argilla pressata, pavimentazioni in terra battuta con frammenti basaltici e coperture a struttura lignea, con tegole. Pozzi in mattoni, ma anche ad anelli modulari, i c.d. ring wells, servivano per l'approvvigionamento idrico o per la decantazione dei rifiuti fisiologici. Tra i materiali vanno annoverati - oltre alla ceramica rossa di uso comune - rinvenimenti della c.d. ceramica nera polita del nord (Northern Black Polished Ware), della ceramica «megalitica» rossa e nera (Black and Red Ware), insieme a un grande numero di armi e utensili in ferro; sono inoltre attestati numerosissimi esemplari di punte di freccia in osso simili a quelle provenienti da Taxila, vaghi in pietre semipreziose, vetro, conchiglia, terracotta, figurine fittili, ecc. Nella fase Β altri materiali sono le monete fuse in rame, senza iscrizioni, e frammenti di «ceramica Āndhra» (Russet-Coated Painted Ware) databili intorno al I sec. d.C.; le capanne sono ora realizzate con una maggiore presenza di frammenti ceramici inclusi nelle strutture di argilla, e compaiono anche case in mattoni cotti con tetti di tegole fissate con chiodi di ferro.
Gli strati del periodo III (metà I-III sec. d.C.) hanno restituito frammenti di ceramica samia di importazione, e di ceramica rossa polita (Red Polished Ware, imitante la ceramica sigillata romana), vaghi di terracotta e utensili di ferro. È in questo periodo, in cui sono frequenti i rapporti con il mondo occidentale, che vengono scavate le principali grotte-santuario, sotto i regni dello kṣaharata Nahapāna (il Nambanus del Periplo del Mar Eritreo) e di Gautamīputra Śātakarṇi dei Sātavāhana.
Dopo un lungo periodo di abbandono il sito di N. cominciò a ripopolarsi intorno al XIII/XIV sec. a opera dei nuovi dominatori musulmani.
Il complesso rupestre di Paṇḍuleṇa. - Su delle alture situate c.a 8 km a SO di N. si trova un complesso monastico buddhista costituito da ventiquattro grotte principali, la cui importanza, oltre che nel valore artistico, risiede nelle numerose iscrizioni attestanti donazioni regie, che hanno consentito una migliore definizione della storia politica del II sec. d.C. e della cronologia e dello sviluppo dello stile architettonico di diversi centri rupestri dell'India occidentale.
Tra i monumenti ricorderemo il caityagṛha e i due leṇa o vihāra «regi».
Il caityagṛha (grotta 18) presenta una maestosa facciata, imitante analoghe strutture lignee, composta su due registri separati da un motivo a vedikā (balaustra); nella parte superiore l'ampio arco «a caitya» si trova al centro di un falso porticato - sormontato da finestre cieche con profilo di arco «a caitya» - con balaustra, pilastri con capitelli a campana, piramide a gradini capovolta e animali addorsati, con i pannelli degli intercolumni raffiguranti uno stūpa su un fondo lavorato a grata con un piccolo arco. Nella parte inferiore, in corrispondenza del grande arco, si trova la porta d'ingresso, entro una cornice decorativa floreale, che sostiene un arco a ferro di cavallo, al cui interno sono finemente raffigurati simboli buddhisti, motivi vegetali e una grata. Accanto all'ingresso due scale conducono ai due monasteri adiacenti (grotte 17 e 20), quella di sinistra, con uno yakṣa con funzione di dvārapāla (guardiano) che ne sorveglia l'accesso, è decorata con una vedikā.
L'interno del caityagṛha consiste di una sala absidata composta di navata centrale con stūpa, volta a botte, che presentava delle costolature lignee, e due ali laterali. Dei diciassette pilastri, a sezione ottagonale (tranne i primi due all'entrata, quadrati), i cinque intorno all'abside sono privi di base e capitello, mentre i restanti hanno base a piramide a gradini sormontata da ghāṭa (elemento architettonico a forma di vaso). Lo stūpa nell'abside presenta un alto tamburo, separato dall'aṇḍa (la parte emisferica) da un fregio decorato «a vedikā»; in egual modo è decorata la soprastante harmikā su cui si imposta una piramide a gradini capovolta che doveva sostenere un ombrello ligneo. In base alle evidenze epigrafiche e stilistiche è possibile affermare che i lavori per completare il caityagṛha sono stati compiuti in diverse fasi. La prima di queste, che risale all'ultimo quarto del II sec. a.C., ha interessato la parte superiore della facciata, l'arco «a caitya» e parte delle strutture interne. Nella prima metà del I sec. a.C. i lavori all'interno dovevano essere terminati e la grotta votata al culto; al periodo di Nahapāna (prima metà del I sec. d.C.) si possono attribuire le scalinate laterali e l'immagine di yakṣa.
La grotta 10, detta anche di Nahapāna (sebbene sia stata donata dal genero Uşavadāta, nel quarantaduesimo anno di regno di Nahapāna corrispondente al 120 d.C.), tra le più grandi dell'India occidentale, è un monastero che consiste di una sala centrale con sedici celle su tre lati. Quello di fondo presenta un pannello scolpito con una triade formata da uno stūpa (rilavorato con una figura terrifica scivaita) affiancato da personaggi femminili sotto tre ombrelli, e di un portico con tre ingressi, due finestre e sei pilastri, simili a quelli del caityagṛha di Kārlī. Sono infatti composti di una base a piramide a gradini con ghāṭa (vaso), fusto ottagonale e capitello a campana su cui poggia un elemento «a cuscino» (āmalaka) iscritto in una cornice e una piramide a gradini capovolta sul cui abaco sono raffigurate coppie di animali addorsati (tigri, elefanti, bovini, ecc.) talvolta con cavalieri. L'architrave esterno traduce in pietra l'opera di travatura lignea, e nella fascia superiore corre per tutta la lunghezza una semplice decorazione «a vedikā».
Questo monastero è servito da modello per la costruzione dell'altro importante lena, la c.d. Grotta di Gautamīputra o della Regina (grotta 3). I lavori di questo monastero si sono protratti in fasi successive: cominciarono durante il regno di Gautamīputra Sātakarṇi, nel cui diciottesimo anno (corrispondente al 124 d.C.) furono terminate, secondo un'iscrizione, la facciata e il portico. Un'altra iscrizione afferma che sei anni dopo parte delle celle era già abitata dai monaci. Il vihāra venne terminato solo nel diciannovesimo anno di regno di Vāsiṣṭhīputra Puḷumāvi (149 d.C.), come è attestato dal panegirico di Gautamīputra - inciso per conto della regina madre Gautamī Balaśrī (nonna di Puḷumāvi e madre di Śātakarṇi) - che documenta inoltre la regia donazione alla setta hīnayāna dei Bhadrāyanīya.
La grotta è costituita da una sala centrale con un bancone di pietra lungo le pareti e diciotto celle, oltre alle due con ingresso dal portico. Sulla parete di fondo c'è un rilievo con l'adorazione dello stūpa simile a quello della grotta 10; il trattamento stilistico delle figure femminili rievoca la tradizione artistica di Kārlī e di Mathurā. La facciata del portico, con una breve scalinata centrale ha una balaustra su cui si impostano sei pilastri a sezione ottagonale con capitello a campana, piramide capovolta, animali e cavalieri, analoghi a quelli del precedente monumento. L'architrave, oltre a imitare la travatura lignea, è decorato con un basso fregio con animali e fiori e, in alto, con un raffinato motivo «a vedikā» con fiori di loto. La balaustra è sostenuta da sei yakṣa-atlanti, corrispondenti ai pilastri, raffigurati dalla cintola in su. L'ingresso centrale è scolpito come un toraṇa (portale che si rifà a modelli lignei), i cui stipiti sono divisi in sei pannelli con figurazioni di gaṇa, mithuna, ecc.; l'architrave presenta una decorazione floreale, stūpa, dharmacakra, albero sacro, e reggimensola leonini. Ai lati dell'ingresso si trovano due dvārapāla con costume indiano (forse due Bodhisattva) che riproducono uno schema compositivo già utilizzato a Sāñcī e uno stile figurativo come quello di Kārlī, sebbene qui le figure siano più tozze e la resa stilistica più rigida. Vedi pure andhra, epoca.
Bibl.: Per l'evidenza archeologica: H. D. Sankalia, Ancient and Prehistoric Maharashtra, in Journal of the Bombay Branch of the Royal Asiatic Society, XXVII, 1951, p. 99 ss.; H. D. Sankalia, S. B. Deo, Report on the Excavations at Nasik and Jorwe 1950-51, Puna 1955; H. D. Sankalia, Coins from Nasik Excavations (1950-51), in S. P. Gupta, K. S. Ramachandra (ed.), Aspects of Indian History and Archaeology, Delhi 1971, pp. 141-143; H. P. Ray, in A. Ghosh (ed.), An Encyclopaedia of Indian Archaeology, II, Nuova Delhi 1989, s.v.; K. Warner Slane, Observations on Mediterranean Amphoras and Tablewares Found in India, in V. Begley, R. D. De Puma (ed.), Rome and India. The Ancient Sea Trade, Madison 1991, p. 207 (sul rinvenimento di ceramica samia).
Per i monumenti rupestri: J. Fergusson, J. Burgess, The Cave Temples of India, Londra 1880 (rist. Delhi 1969), pp. 263-279; E. Senart, The Inscriptions in the Caves at Nasik, in Epigraphia Indica, VIII, 1905-1906, parte III, pp. 59-96; R. S. Wauchope, Buddhist Cave Temples of India, Calcutta 1933, pp. 65-71; Y. R. Gupta, Inscriptural, Architectural and Sculptural Value of the Pandavalena Caves at Nāsik, in M. M. Prof. D. V. Potdar Commemoration Volume, Puna 1950, pp. 284-292; J. L. Trabold, A Chronology of Indian Sculpture: the Sātavāhana Chronology at Nāsik, in ArtAs, XXXII, 1970, 1, pp. 49-88; D. Mitra, Buddhist Monuments, Calcutta 1971, pp. 168-171; V. Dehejia, Early Buddhist Rock Temples. A Chronological Study, Londra 1972, pp. 93-96, 129-130, 159-160; O. C. Kail, The Buddhist Cave Temples of India, Bombay 1975, pp. 96-101; R. J. Del Bontà, A Jaina Cave at Nasik, in Journal of Indian Studies of Oriental Art, n.s. VIII, 1976-1977, pp. 65-68; S. Nagaraju, Buddhist Architecture of Western India (c. 250 B.C.-c. A.D. 300), Delhi 1981, J3p. 258-281, passim; A. M. Quagliotti, Note sulla cronologia degli Saka e degli Sätavähana, in RivStOr, LVI, 1982, pp. 75-113; ead., Nota sulla grotta 3 di Nasik, ibid., LVII, 1983, pp. 171-183.