TALAMINI, Natale
– Nacque a Pescul, frazione di Selva di Cadore, il 25 dicembre 1808 da Bernardo e da Bortola Pampanini. Ebbe nove tra fratelli e sorelle, fra cui Antonio, futuro scultore, e Natale (omonimo, soprannominato Natalino), in seguito divenuto sacerdote.
Introdotto dal padre alla lettura della Bibbia, ricevette la prima istruzione dal maestro del villaggio, Andrea Bonifacio Protti, e studiò latino presso il parroco del paese, Bartolommeo Belfi, che fu anche suo padrino di cresima.
Nel 1824, inviato a Udine dal padre, completò la sua formazione studiando umanità, retorica e filosofia presso il ginnasio episcopale e poi teologia in seminario, cominciando a comporre i primi versi in italiano e latino. Data una evidente precocità negli studi, il vescovo Emanuele Lodi risolse di affidargli l’insegnamento del latino al ginnasio ancor prima che concludesse il percorso seminariale.
A parte qualche ritorno a Pescul, dove celebrò la prima messa nel 1832, fu per lo più a Udine che trascorse questo periodo della vita, prima di essere mandato presso l’abate Bianchetti a Latisana per lo studio delle lingue orientali, che insegnò poi nel 1833-34. A causa di alcune incomprensioni con Bianchetti, che forse giudicava il suo temperamento troppo indipendente e arrogante, lasciò l’insegnamento e nel 1835 si trasferì a Venezia, dove ritrovò suo fratello Antonio, studente presso l’Accademia di belle arti, e fu raggiunto da un altro fratello, Bartolommeo. Tornò a officiare messa e lavorò dapprima come insegnante privato per i figli del futuro podestà Giovanni Correr e quindi, dal gennaio del 1836, al ginnasio in San Provolo dove ebbe fra gli allievi il futuro patriota Bernardo Canal. Insegnante di ruolo dal 1838, svolse tale professione fino al 1849.
A Venezia abitò in una casa di Santa Maria del Giglio e poi in campo San Luca. A San Zaccaria, in calle del Rimedio, condivise l’abitazione dal 1847 con Pacifico Valussi, all’epoca giornalista per l’Osservatore triestino, e Niccolò Tommaseo. Di quest’ultimo, in particolare, e di Daniele Manin, con cui pure strinse amicizia, condivise le sorti il giorno del loro arresto: alle sue rimostranze per il fatto che gli venisse negata la possibilità di vedere i due appena condotti in prigione, fu a sua volta incarcerato per un breve periodo.
Dopo la morte del padre, il 3 agosto 1847, manifestò il proprio fervore patriottico e antiaustriaco in una serie di poesie destinate a fogli volanti.
Una lamentazione per le sorti d’Italia è l’oggetto del sonetto A Pio IX, improvvisato nel mese di settembre e dedicato a quel pontefice su cui Talamini, come molti italiani, nutriva e concentrava le proprie speranze. Dello stesso periodo è il sonetto al principe di Metternich, fremente di sdegno contro colui che aveva definito l’Italia un’espressione geografica. Altre liriche, vergate nel medesimo torno d’anni, avrebbero adattato temi e toni della poesia risorgimentale, accusando il barbaro oppressore e incitando alla rivolta armata, denunciando gli italiani traditori che sostenevano lo straniero e deplorando le intestine discordie.
All’irrompere del Quarantotto, incoraggiò la formazione di quella piccola lega cadorina che, animata da ideali antiaustriaci, fu guidata da Pietro Fortunato Calvi. Visto il coinvolgimento nelle vicende della sua terra e il forte legame con Venezia, venne eletto rappresentante all’assemblea veneta del 27 gennaio 1849.
Caduta la Repubblica di San Marco, Talamini rientrò a Pescul assieme al fratello Bortolo. Fu però sorpreso dalla polizia austriaca, che non aveva mai cessato di tenerlo d’occhio, e tratto in arresto nell’agosto del 1851 per via di una lettera ricevuta dal mazziniano Filippo De Boni, già direttore del Gondoliere. Recluso nelle carceri veneziane di San Severo per sei mesi tra il 1851 e il 1852, fu trasferito nella fortezza di Legnago fino al maggio del 1853 e di qui a Palmanova fino al febbraio del 1854.
Durante gli anni di prigionia scrisse alcuni sonetti antiaustriaci (fra cui un dittico al patriota comasco Luigi Dottesio, giustiziato nel 1851), non esitando a stigmatizzare, tuttavia, il tentativo di János Libényi di assassinare Francesco Giuseppe I, nella convinzione (espressa nel sonetto Il pugnale, 1853) che il regicidio contribuisse ad alimentare l’odio e non estinguesse la genia dei tiranni.
Nel periodo in cui fu recluso vennero a mancare i fratelli Santo e Antonio (rispettivamente il 1° luglio e il 6 dicembre 1853), cosicché, uscito di carcere, Talamini si trasferì a Borca di Cadore, per occuparsi dell’istruzione dei figli di Santo.
Nel 1858 scrisse la canzone L’educazione nel Regno Lombardo-Veneto, occasionata dal testamento con cui Daniele Cernazai, conosciuto ai tempi di Udine, lasciava una cospicua somma al conte di Cavour da destinare all’istruzione della gioventù veneta e lombarda.
Nella sua terra, ove rimase sino al 1866, Talamini tornò a dedicarsi all’attività religiosa, celebrando regolarmente la messa, e assistette la madre malata, che morì il 16 ottobre 1861. Seguendo i fatti storici e politici del suo tempo, compose quindi il canto Napoleone III e l’Italia; in esso esprimeva preoccupazione per il debito assunto dagli italiani nei confronti della Francia e ammoniva il sovrano a non assecondare i propri fini egoistici, esortandolo altresì a fondare il suo regno sulla libertà e l’amore per le genti.
Già negli anni Cinquanta, con l’anacreontica per Nozze Coletti-Vallenzasca, aveva dato avvio alla stesura di poesie celebrative per matrimoni. Fra quelle apparse in plaquettes d’occasione si ricordano le canzoni L’amor coniugale elemento sovrano della famiglia e della nazione fondamento d’ogni grandezza, per nozze Vialetto-Bonaguro, e Il mare e l’Alpi, per nozze Cicogna-Cellini, entrambe del 1864. Ideò anche alcuni epicedi, fra cui In morte di Virginia Gaza-Gei, del 1860. Diverse furono poi le liriche di argomento religioso, indirizzate a parroci o scritte per l’edificazione di chiese.
Alla dichiarazione di guerra all’Austria (20 giugno 1866), elaborò un inno in versi decasillabi e dodecasillabi. Al successivo abbandono del Cadore da parte delle autorità austriache, pronunciò il discorso Il brindisi, in cui equiparava il popolo cadorino a quello d’Israele e concludeva inneggiando a Vittorio Emanuele.
L’impegno a favore del proprio territorio lo portò a essere eletto in Parlamento. Dopo aver fatto tappa a Venezia nel novembre del 1866 ed essere rientrato nel Cadore, venne nominato dapprima cavaliere e poi eletto deputato (il primo della storia di origine cadorina) nella tornata del 22 dicembre con centocinquantacinque voti, prendendo parte alla seconda sessione della IX Legislatura del Regno d’Italia.
Due anni dopo rievocò l’epopea risorgimentale in Parole dette il 15 agosto sulla piazza di Pieve all’arrivo del feretro dei caduti a Termine nel 1848 e per l’anniversario della battaglia dei Treponti, edito per i tipi della Tipografia Deliberali (Belluno 1868). In esso commemorava la figura di Calvi, distintosi nei moti cadorini del 1848, e la battaglia di Tre Ponti del 14 agosto 1866, paragonando, secondo un topos ricorrente, le poche centinaia di cadorini che avevano resistito agli austriaci ai trecento delle Termopili. Sviluppando uno dei motivi di Napoleone III e l’Italia, infine, concludeva ribadendo che l’errore degli italiani era stato di affidarsi all’aiuto di nazioni straniere.
Nella seconda metà degli anni Sessanta si impegnò nella stesura di due opuscoli in prosa: Il consorzio cadorino, che apparve presso i tipi della Tipografia Tissi (Belluno 1867), e Le lavoranzie boschive nel circondario d’Auronzo, edito dalla Tipografia sociale della gioventù (Venezia 1871).
In essi ripercorreva la storia dei boschi del Cadore, da sempre la principale fonte di sostentamento della comunità locale, che erano stati negli anni oggetto di vendite e aste, poi annullate. Riconoscendone l’importanza per l’economia del territorio, Talamini auspicava la creazione di un consorzio che tutelasse il diritto di usufrutto degli appezzamenti di terreno boschivo e ne curasse l’amministrazione. Ribadì i medesimi concetti in una Risposta a una serie di osservazioni fatte a margine del secondo opuscolo: l’ulteriore pubblicazione vide la luce per i tipi della Tipografia Guernieri (Belluno 1871).
Nel 1875 compose un canto «per laurea in medicina» dal titolo Il materialismo, in cui accusava l’arte di Esculapio di inaridire il cuore e «intenebrare» la mente, e si cimentò nella stesura di una lunga canzone sul conterraneo Tiziano Vecellio, rimasta incompiuta. Esaltò quindi le compagnie alpine in alcune strofe di dodecasillabi dedicate al conte Pietro Manfrin. Sempre nel 1875 poté vedere la realizzazione di quel «Consorzio cadorino» che caldeggiava da quasi tre lustri e venne approvato con regio decreto il giorno 11 ottobre.
Il 9 febbraio 1876 Talamini decise di rientrare nel suo paese natale. Da gran camminatore qual era, partì da Borca e si avventurò a piedi sino al valico dolomitico di Forcella Forada, avanzando per molte ore nella neve alta e incurante del fatto che suo fratello Giuseppe era morto di freddo a seguito di un viaggio analogo. Giunto a Pescul dopo molte ore, non si fermò tuttavia a riposare, ma preferì recarsi in visita alle scuole cadorine. Il lungo cammino lo minò nella salute: le sue gambe andarono in cancrena e dovette sottoporsi all’amputazione di tre dita del piede. Dato l’aggravarsi del suo stato, si allettò il 15 febbraio e il 6 aprile 1876, alle 11 del mattino, gli fu portato il viatico. Dopo poche ore, quello stesso giorno, morì.
Lasciò incompiuta la canzone Il mare, parte di un dittico che doveva includere anche una lirica sulle Alpi. I paesi di Borca e Pieve lo onorarono per i trenta giorni successivi alla morte e un epitaffio di monsignor Giovanni De Donna fu inciso sulla sua lapide. Alcuni amici provvidero a raccogliere i suoi testi poetici, poi confluiti nell’antologia Poesie di Natale Talamini scelte, ordinate, commentate da Antonio Ronzon, precedute da un discorso intorno alla vita e all’opera dell’autore (Milano 1897).
Fonti e Bibl.: Rendiconti del Parlamento italiano: sessione del 1866-67, Discussioni della Camera dei deputati, Firenze 1867, p. 39; Il Cadore descritto da Antonio Ronzon, Venezia 1877, pp. 224-227; G. Agnoli, Un prete patriota, Venezia 1898; A. Ronzon, Brevi cenni sulla vita di N. T., Venezia 1927; N. Tommaseo, Venezia negli anni 1848 e 1849, a cura di P. Prunas, Firenze 1931, pp. 245-247, 394-397; A. Ronzon, Introduzione a N. Talamini, Poesie, cit. (rist. anast., Belluno 1976), pp. III-XXXVI.