Natàn
Profeta ebreo, che visse sotto David e Salomone (sec. X a.C.). S. Bonaventura lo menziona nella schiera dei dodici grandi dottori, nel cielo del Sole (Pd XII 136 Natàn profeta e 'l metropolitano / Crisostomo); e tale menzione è stata giustificata, nell'arco amplissimo della tradizione esegetica dantesca che per brevità riassumiamo citando la' dubitosa affermazione " accoppiandolo a Crisostomo (forse perché ambedue avevano avuto franche parole di rimprovero nei confronti dei regnanti) " offertaci dal Toynbee, con il ricorso al ‛ rimprovero ' al re David per l'uccisione di Uria l'Ittita e l'adulterio con Betsabea, sulla scorta del passo biblico di II leg. 12, 1-12.
Il nome di N. proprio per il ‛ rimprovero ' era diventato exemplum della superiorità dello spirituale sul temporale nella tradizione esegetica biblica e teologico-politica, particolarmente in Alessandro di Hales e in s. Tommaso: " Forte distinguetur, sicut distinguit Gratianus... quod sicut reges praesunt in causis saeculi, sacerdotes in causis Dei, Nathan vero Propheta, cum David redarguit, suum exercuit officium in quo erat rege superior, non regis usurpavit officium in quo erat rege inferior... Sed contra. Sicut saecularia ordinantur ad spiritualia, ita potestas saecularis ad potestatem spiritualem; sed saecularia subsunt spiritualibus ordine rationis et divino; ergo potestas saecularis subest potestati spirituali: ergo Imperator Summo Pontifici ", Sum. theol. I Il 87 6.
È evidente che per diventare exemplum nell'esegesi francescana e tomistica, in questo unitariamente ierocratica, N. doveva essere considerato typus Ecclesiae, simbolismo tipologico troppo acriticamente accettato dai primi commentatori della Commedia (e massime da Benvenuto) e seguito apoditticamente dalla tradizione ormai secolare degli altri commentatori. Di qui il non meno tradizionale abbinamento di N. con la figura del metropolitano Crisostomo, per la ragione già citata del ' rimprovero '. Ma se questo solo filone fosse stato alla base della precisa ' intentio Dantis ' ci troveremmo di fronte a una professione di aperta ierocrazia da parte del poeta, e tale, a dir poco, da considerarsi altamente problematica nella generale posizione politica sua, per non parlare del correlato problema dello specifico indugio nel sottolineare, con sostantivi che nel contesto acquistano evidente solennità perché qualificativi di ben diversi ‛ officia ', sia la funzione di N. quale profeta sia quella di Crisostomo quale metropolitano.
E poiché D., per ripetere con il Gilson, " n'écrit pas d'ordinaire un nom propre sans avoir quelque raison de le faire ", diventa indispensabile approfondire la ricerca, investigando tutta la ricca gamma della tradizione esegetica e del simbolismo medievale, per individuare la funzione di N. nella precisa ' intentio Dantis', traguardando ogni proposta attraverso le grandi linee del pensiero. teologico-politico del poeta e quello non meno capitale del simbolismo tipologico che si fonda, com'è noto, sempre e soltanto sul personaggio storico.
Da questo punto di vista che, in ultima analisi, è quello che solo ha valore, N. appare più volte citato nei Libri dei Re o in altre parti dell'Antico Testamento in relazione con i re David e Salomone di cui annuncerà la nascita, interpreterà il nome come " Amabilis Domino eo quod diligeret eum Dominus ", profetizzerà il regno da Dio provvidenzialmente voluto " usque in sempiternum " (II Reg. 7, 1-29); e, infine, contribuirà all'elezione e all'ascesa al trono dello stesso Salomone ormai minacciato dalle pretese del figlio di David, Adonia (III Reg. 1, 5 ss.). Questi concetti e fatti, che implicano missione ben più alta che non il semplice. ‛ rimprovero ', appaiono ripresi nei Paralipomeni (i Paral. 17, 1-15, e soprattutto 29, 29-30) dove a N. è attribuita anche la funzione di ‛ scriba ' sia di David che di Salomone, e il nome di N., chiuso come appare tra quello di Samuele e di Gad, con la sottolineata definizione di ‛ propheta ' opposta a quella di ‛ videntes ', giustifica ulteriormente la ragione per cui D. lo sceglie.
Ed è precisamente in questa linea che le proposte di Giovanni di Salisbury nel Policraticus (IV 6 " Quod [princeps] debet legem Dei habere prae mente et oculis semper, et peritus esse in litteris, et litteratorum agi consiliis... Si tamen ex dispensatione ob egregiae virtutis meritum, principem contingat esse illitteratum, eumdem agi litteratorum consiliis, ut ei res recte procedat, necesse est. Assistant ergo ei Nathan propheta, et Sadoc sacerdos... qui eum a lege Domini divertere non patiantur, et quam ipse oculis et animo non ostendit, linguis suis introducant, quasi quodam aurium ostio, litterati ", ediz. Webb, I 250, 254-255) e di Ugo di San Vittore, nel De Claustro animae (" Salomon in regem ungitur, quando pacificus animus gratia Spiritus Sancti fecundatur... Unxerunt, inquit, Salomonem Sadoc sacerdos et Nathan propheta. Sadoc et Nathan Salomonem in regem ungunt, quando iustitia et misericordia animum cuiuslibet potentis modestum reddunt, ut extendi valeat per dispensationem, ne ipse vel per iram rumpatur, vel alios a se ipso separet per nimiam crudelitatis oppressionem ", Patral. Lat. CLXXVI 1141), diventano ben significative perché contengono non soltanto l'abbinamento illuminante " Nathan propheta-Sadoc sacerdos " (che richiama, ma chiarendolo in modo nuovo, quello dantesco di Natan profeta-metropolitano Crisostomo), ma anche quello non meno capitale nel simbolismo della teologia-politica, soprattutto carolingia e liturgica, dell'incoronazione, " Salomon rex - Nathan propheta - Sadoc sacerdos ". Da questo punto di vista, quindi, N. non può più essere considerato typus Ecclesiae, come voleva la tradizione ierocratica e che in questo caso spetta invece a s. Giovanni Crisostomo, ma dev'essere considerato invece typus prophetae il cui ‛ offizio ' vien più altamente esaltato se abbinato con Salomone, vero typus Christi e attraverso il simbolismo tipologico carolingio typus Regis.
Inserito in questa linea tipologica e abbinato con quello di Salomone, il nome di N. acquista una nuova dimensione e la scelta del poeta non si limita alla ragione del ' rimprovero ' ma a quelle ben più valide della ‛ salvezza ' di Salomone (come affermato da Pietro Comestore che nella Historia Scholastica ha scritto " Eadem nocte factum est verbum Domini ad Nathan: ‛ Dic servo meo David: Non aedificabit mihi domum... sed filius eius succedens ei in regno faciet domum nomini meo, et stabiliam thronum eius, usque in sempiternum, et ego ero ei in patrem, et ipse erit mihi in filium '. Ex hac promissione coniicitur quod salvus sit Salomon ", Patrol.. Lat. CXCVIII 1330-1331), e della ‛ renovatio ' del regno salomonico come profetizzato da Gioacchino da Fiore nel Liber Figurarum: " consummato illo ordine qui significatur in Petró et David, remanebit loco eius ordo ille qui significatus est in Ioanne, discipulo quem amabat Iesus, et puero Salomone, qui dictus est amabilis Domini " (ediz. Tondelli, tav. XIX).
La portata di queste nuove addizioni concorre a giustificare la serie dei dati e delle ‛ figure ' che compongono l'intero pantheon' dei 12 + 12 sapienti esaltati nel cielo del Sole, rispettivamente da s. Tommaso e da s. Bonaventura, e ridotti a un comun denominatore che è come il caposaldo del pensiero teologico-politico di D., e cioè la contrapposizione alla tradizionale formula, diadica medievale, espressa nel dualismo pontefice o imperatore, di quella triadica ebraico-romana esaltatasi nel regno salomonico e in quello di Augusto, formula insieme innovativa e storicamente valida e provvidenziale, ed espressa per mezzo delle equazioni tipologiche Salomone-imperatore, Sadoc-papa, N.-profeta e Augusto-imperatore, Cristo-pontefice, Virgilio-profeta.
In tal senso D. opera una precisa distinzione tra i diversi o ficia dei profeti - ‛ gratia propbetalis ' e ‛ missio ' - che si addicono il primo a Gioacchino da Fiore e il secondo a N., e suggerisce l'arditissima prefigurazione di N. (il cui nome, per mezzo della nominum interpretatio codificata da s. Isidoro e diventata tradizionale fino alle [Magne] Derivationes di Uguccione, era sempre stato interpretato " Nathan, qui dedit vel dantis ") quale typus prophetae e per consequens quale typus Dantis, e cioè quale prefigurazione di sé stesso e della propria non meno provvidenziale ‛ missio ' di profeta insieme del nuovo Davide (Enrico VII) e del nuovo Salomone (Giovanni di Boemia), a diventare come l'antico N. ‛ elettore ', ‛ salvatore ' e ‛ scriba ' del nuovo regno e della non meno provvidenziale ‛ renovatio '.
Bibl. - G.R. Sarolli, D. scriba Dei, in " Convivium " XXXI (1963) 385-422, 513-544, 641-671; ID., Prolegomena alla D.C., Firenze 1971.