natura
A introdurre il tema della n. giova anzitutto ricorrere al passo della Monarchia (II II 2) ove si legge che, quemadmodum ars in triplici gradu invenitur, in mente scilicet artificis, in organo et in materia formata per artem, sic et naturam in triplici gradu possumus intueri, cioè quale Idea nella mente di Dio, quale strumento nel cielo e quale sinolo di materia e di forma nel mondo sublunare.
Da questa triplice considerazione della n. converrà pertanto prendere le mosse, ordinando la vasta materia (la voce ricorre 3 volte nella Vita Nuova, 8 volte nelle Rime, 2 nelle Rime dubbie, 128 nel Convivio e 69 nella Commedia) secondo le tre diverse e principali accezioni del termine stabilite da D.: la metafisica, la cosmica e la fisica.
N. Come Idea. - Elaborata secondo motivi schiettamente neoplatonici, la dottrina dantesca sulla derivazione delle cose da Dio non si limita a postularne la creazione temporale, ma accoglie e risolve il problema più propriamente metafisico del rapporto tra le " forme " o n. e il creatore. Neoplatonica è soprattutto l'identificazione di forma, idea e n. (chiamale Plato ‛ idee ', che tanto è a dire quanto forme e nature universali, Cv II IV 5), intesa come un archetipo o exemplar degli esseri presente in mente primi motoris (Mn II II 20; cfr. ad es. Pg XXV 71, Ep XIII 53, e Pd IV 54) e insieme come causa primordiale da cui ogni cosa riceve non solo l'essere ma il suo proprio essere. L'essenza o n. delle cose, " dalla quale dipende poi la loro capacità ad agire, prima di essere una realtà effettiva è un'idea, un ‛ essemplo intenzionale ' che esiste in una mente, e su questa idea essa è modellata nel venire all'esistenza " (B. Nardi, Citazioni dantesche, p. 103). Conformemente alla tradizione speculativa cristiana (cfr. H.A. Wolfson, citato in bibl.), D. identifica la seconda persona della Trinità, il Verbo, con il τόπος νοητός, il νοῦς che è il luogo delle idee o modelli eterni del reale. In Dio, universalissima cagione di tutte le cose (Cv III VI 5), o meglio nella divina. mente è l'essemplo intenzionale (cfr. § 6), l'idea trascendente e generale che le intelligenze motrici dei cieli, poste fra il creatore e il mondo sublunare, concorrono a limitare e determinare, secondo quella visione gerarchica di esseri e di cause ricevuta e accolta da D. dall'anonimo Liber de causis (Et hoc dicitur in libro De Causis, quod tc omnis causa primaria plus influii super suum causatum quam causa universalis secunda ", Ep XIII 57; in questo contesto D. afferma che ogni essenza è causata da un'intelligenza, immediatamente o mediatamente, tramite la n.: cum natura sit opus intelligentiae, § 58; cfr. Mn II VI 4 cum [la natura] sit opus divinae intelligentiae).
Con ciò la teoria della participatio, ovvero del primato della causalità formale su quella propriamente efficiente, trova la sua più compiuta espressione: ciascuna forma ha essere de la divina natura in alcun modo: non che la divina natura sia divisa e comunicata in quelle, ma da quelle è participata per lo modo quasi che la natura del sole è participata ne l'altre stelle, Cv III II 5: dove divina n. sta a designare la divina bontade la quale, eminentemente semplice e indivisibile, è però diversamente ricevuta da ciascuna creatura secondo lo modo de la sua vertù e de lo suo essere (Cv III VII 3), così come vedemo la luce del sole, la quale è una, da uno fonte derivata, diversamente da le corpora essere ricevuta. Sulla linea dello pseudo-Dionigi (De div. nom. IV 1; cfr. A. Nygren, pp. 149-150), la bontade è qui intesa da D. nel senso di causalità divina: è la n. stessa di Dio che, nella pienezza della sua realtà, si riversa, per così dire, all'esterno dando origine al creato (è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero, Cv III VII 2; ne le bontadi de la natura [e] de la ragione si mostra la divina, II 8; cfr. If XI 48), la cui nobilitade o perfezione (per questo vocabulo ‛ nobilitade ' s'intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa, Cv IV XVI 4; nobilitade, dice in tutte cose perfezione di loro natura, § 8; tanto quanto la cosa è perfetta, tanto è in sua natura nobile, XI 2; cfr. IV XVI 5 e 7, XXVI 6, I 7) decresce nella misura in cui si allontana dalla fonte divina (quanto la forma è più nobile, tanto più di questa natura [cioè della divina] tiene, III II 6). Nobiltà e perfezione sono altresì sinonimi di virtù (ciascuna cosa volgarmente vedemo, in sua natura [virtuosa], nobile esser chiamata, IV XIX 4; Ciascuna cosa è virtuosa in sua natura che fa quello a che ella è ordinata, I V 11). In questo contesto la n. figura come un debito (si conviene la cosa quando più satisface al debito de la sua natura, IV XXVII 12; oltre li termini del debito de la nostra natura, III VI 10; cfr. § 13; oltre 'l dimando di nostra natura, III Amor che ne la mente 29), ovvero una prescrizione, insita nell'essenza stessa della cosa, la cui attuazione ne realizza la perfezione (ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione, Cv I I 1).
Più in generale, la n. è considerata come una proprietà trascendente che appartiene tanto agli esseri dotati di esistenza quanto ai loro principi, come la sostanza o la specie, e ne costituisce la realtà intima e inalienabile, in breve la loro natura.
L'espressione natura naturans è impiegata da D. (VE I VII 4; cfr. Mn II II 3) per designare Dio creatore distinto, come " auctor naturae " (natura lo suo corso prende / dal divino 'ntelletto e da sua arte, If XI 99; Da quel punto / depende il cielo e tutta la natura, Pd XXVIII 42; cfr. anche m 87 e Cv III VIII 22), dalla " natura naturata " che è l'insieme delle cose create. La formula, corrente nel linguaggio scolastico come riferisce s. Bonaventura (Seni. III VIII 11), si trova nella versione latina del commento di Averroè al II libro della Fisica aristotelica (v. H. Siebeck, e H.A. Lucks).
N. Come Strumento di Dio. - Un discorso a sé merita la dottrina dantesca della n. universale, sul cui significato e provenienza non sembra sia stata fatta piena luce. La definizione più ampia ed esauriente la si trova in Quaestio 45, ov'è detto che intentio Naturae universalis est ut omnes formae, quae sunt in potentia materiae primae, reducantur in actum, et secundum rationem speciei sint in actu, essendo ad essa sottomessi aequaliter actus et potentia rerum, quae. possunt esse et non esse (cfr. § 44). Non è infatti ammissibile che Dio, nella cui mente tutte le forme o idee sono in atto, venga meno ab integritate diffusionis suae bonitatis (§ 46), lasciando, come che sia, inattuata la potenzialità della materia ovvero, per dirla col Nardi, " la pluralità simultanea e successiva degli individui, in una specie di esseri corruttibili, è ordinata a che la specie possa realizzare tutta e sempre quella perfezione ideale che i singoli... non possono raggiungere. Soltanto in questo modo, tutta la potenza della materia è sempre in atto " (Dal " Convivio " alla " Commedia ", p. 88). La diffusione bonitatis aecternae in fluitantem materiam (Mn II II 2) non è però direttamente dispiegata da Dio ma è compito del cielo quod organum est artis divinae e come tale ‛ naturam ' comuniter appellane (l'azione diretta di Dio avviene nei miracoli oltre n. ' [Mn II IV 3] e nella creazione dell'anima, azione che si aggiunge all'opera della n., Pg XXV 71 e 60. Ciò fonda la libertà umana svincolata dalla necessità astrale e soggetta unicamente a Dio, che pertanto è detto miglior natura, Pg XVI 79; cfr. anche Pd VIII 133, dove natura generata vale " creatura, sostanza generata "). Ne consegue pertanto che la n. universale non s'identifica in nessun caso con Dio, come comunemente si sostiene, bensì con i cieli, intesi come ‛ secondi agenti ' (Mn II IV 3) ovvero complesso delle cause seconde attraverso le quali si realizza il fine e l'intenzione di Dio nella n. inferiore.
Ciò sembra contrastare con quanto afferma D. in Cv III IV 10 fece ciò la natura universale, cioè Iddio, ma la contraddizione è solo apparente e cade a una lettura non mutila del passo in questione. D., constatata l'insufficienza del nostro intelletto a cogliere direttamente e perfettamente le sostanze separate, nega che tale difetto possa venir imputato all'uomo perché fece ciò la natura universale, cioè il cielo strumento della creazione mediata (è posto fine al nostro ingegno, a ciascuna sua operazione, non da noi ma da l'universale natura, Cv III IV 11; cfr. XV 10 [due volte], IV XIII 8), ma chi volse in questa vita privare noi da questa luce è Dio stesso perché - afferma s. Tommaso (Sum. theol. 192 1) - " intendo... naturae universalis dependet ex Deo, qui est universalis auctor naturae ". E come lo scultore non s'identifica con lo scalpello con cui opera, parimenti Dio non può venir confuso con lo strumento della sua volontà che è, a differenza di quello, ottimamente disposto a tale scopo: cum Deus ultimum perfectionis actingat et instrumentum eius, quod coelum est, nullum debitae perfectionis patiatur defectum... restat quod quicquid in rebus inferioribus est peccatum, ex parte materiae subiacentis peccatum sit et praeter intentionem Dei naturantis et coeli (Mn II II 3). È la mala disposizione de la materia... che fu principio del peccato de la natura (Cv III IV 7; cfr. Pd XIII 76, VIII 139) e a tale imperfezione soggiace talvolta la n. particolare, i singoli individui, mai la n. universale, ché impossibil veggio / che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi (Pd VIII 114; cfr. Quaestio 44, Mn I X 1, II VI 2 e 15, Cv IV XXIV 10, III XII 10), od operi inutilmente (cfr. Cv III XV 8 e 9, II VIII 12, Quaestio 28, Mn I III 5 e 10, XIV 2; cfr. Pd IV 124-132 e VE I II 2); in tal senso male è ciò che devia dall'intenzione della n. e di Dio (Mn I XIV 2) proprio in quanto intenzione della n. e di Dio coincidono (III II 2). Nondimeno la natura particulare è obediente a la universale, quando fa trentadue denti a l'uomo, é non più né meno, e quando fa cinque dita ne la mano, e non più né meno (Cv I VII 9); più in generale la n. universale ordina la particulare a sua perfezione (IV XXVI 3; Quaestio 48) e tanto ha giurisdizione quanto tutto lo mondo, dico lo cielo e la terra, si stende (Cv IV IX 2), e detta giurisdizione è a certo termine finita (§ 3; cfr. § 2, e Mn II VI 5 ss., III II 5). Nella Quaestio l'emersione della terra, la cui n. particolare è " esse deorsum ", è ordinata per volontà della n. universale ut mixtio sit possibilis (§ 49) e attuata a virtute coeli (§ 48), cioè dall'ottava sfera o delle Stelle fisse che ha unitatem in substantia ma multiplicitatem in virtute (§ 70). La n. universale è detta anche circular natura (Pd VIII 127) e natura superior (Mn I I 1). All'opposto ‛ natura inferior ' designa il complesso dei fenomeni del mondo sublunare (VE I IV 6).
Circa l'origine della dottrina dantesca vi sono pareri discordi: il Moore e il Biagi (p. 131) concordano nell'additare Alberto Magno come fonte di D., il Busnelli (pp. 90-91) avanza il nome . di s. Tommaso e il Boffito parla più genericamente di dottrina neoplatonica collegata " con la vieta concezione dell'anima del mondo ". A tale disparità di opinioni fa peraltro riscontro la tesi secondo cui la n. universale presenta in D. una duplice concezione; per l'una essa s'identificherebbe con Dio e per l'altra se ne distinguerebbe come causa universale, non meglio precisata. Ma, una volta identificata la n. universale con la forza, diffusa e comunicata da Dio alle sfere celesti, che governa il ciclo delle generazioni e conseguentemente tutti i mutamenti del mondo sublunare, allora non sarà difficile ricondurne la paternità ad Avicenna: " Intelligo autem per naturam particularem virtutem propriam regiminis unius individui, et intelligo per naturam universalem virtutem infusam in substantias coelorum, quasi unam rem et gubernantem universitatem generationum " (Metaph. tr. VI c. 5, Venezia 1508, fol. 94 v. a; cfr. Suff. I 7; cfr. R. De Vaux, p. 25).
In tale attribuzione concordano Alberto Magno (" Avicenna distinguit duplicem naturam, scilicet universalem et particularem. Universalem appellat diffusam virtutem in substantiam coelorum. Particularem appellat illam quae est in istis rebus singularibus, sive individuis... secundum quod dicitur quod natura est vis insita rebus ex similibus similia procreans ", Isag. I 1; cfr. Phys. II I 5) e Ruggero Bacone: " Natura dupliciter est universalis et particularis, ut Avicenna docet 6° Methaphisicae. Universalis est virtus regitiva universi diffusa in substancias coelorum per omnia corpora mundi... Natura particularis est virtus regitiva speciei cum suis individuis " (Comm. Natur., ediz. R. Steele, pp. 92-93). Púr non nominando Avicenna, s. Tommaso concepisce la n. universale come un essere concreto identificato con un corpo celeste: " natura universalis dicitur vis activa primi corporis [cioè la prima sfera o primo cielo], quod est primum in .genere causarum naturalium " (Div. Nom. Exp. n. 550); " cum autem nullum inferiorum corporum agat visi per virtutem corporis caelestis, impossibile est quod aliquod corpus naturale agat contra naturam universalem " (De Pot. 6 1 ad 1); " natura quidem particularis est propria virtus activa et conservativa uniuscuiusque rei... Natura vero universalis est virtus activa in aliquo universali principio naturae, puta in aliquo caelestium corporum " (Sum. theol. I II 85 6); " universalis autem natura, quae est in corpore caelesti, comprehendit universaliter omnem generationem sicut suum effectum " (In lib. de causis prop. 9, ediz. Saffrey, p. 61); " dicitur autem natura universalis, virtus activa in causa universali, puta in corpore caelesti " (In lib. De caelo et mondo II 9, n. 375; cfr. T. Litt, pp. 157-160, 277). La distinzione n. universale e n. particolare è presente anche in Pietro d'Abano (Conc. diff. XV).
N. Come Gerarchia Degli Esseri Creati. - Lo sommo, desiderio di ciascuna cosa, e prima da la natura dato, è lo ritornare a lo suo principio (Cv IV XII 14), e questo vinco d'amor che fa natura (If XI 56 e 62; cfr. Pg XVIII 26, Cv III II 3), ovunque presente, è come una forza interna al creato tesa a collegare tra loro tutte le cose: " amorem, sive divinum sive angelicum sive intellectualem sive animalem sive naturalem dicamus, unitivam quamdam et concretivam intelligimus virtutem " (ps.-Dionigi De div. Nom. IV 15).
Ogni essere pertanto ha 'l suo speziale amore (Cv III 111 2): gli .elementi a lo luogo proprio (cfr. Pd IV 77, XXIII 42, Cv IV IX 6), i minerali a lo luogo dove la loro generazione è ordinata (§ 3), le piante a certo luogo più manifestamente (§ 4; cfr. IV XXIV 8), gli animali per i loro simili, l'uomo infine, avendo in sé natura di tutte queste cose, tutti questi amori puote avere e tutti li ha (§ 5), compresa l'aspirazione a le perfette e oneste cose, che ne è il coronamento. Dove ciò che qui interessa sottolineare non è tanto la nobilitade umana che, assommando in sé queste cinque n. (la natura umana è perfettissima di tutte l'altre nature di qua giù, II VIII 10), più riceve de la natura divina che alcun'altra (III II 6; cfr. § 14, IV XXI 9), quanto la concezione, ereditata da Proclo e dallo pseudo-Dionigi, di una n. interamente governata e gerarchicamente ordinata dall'amore. Questo aspetto dinamico dell'essere manifestato dall'amore è altresì presente nella n. intesa aristotelicamente come " principium alicuius et causa movendi et quiescendi in quo est primum per se et non secundum accidens " (Phys. II 1, 192b); così concepita la n. manifesta l'essere nel suo profilo operativo ovvero la capacitade (Cv III XIII 9), il poder (Rime XC 38; cfr. Cv IV II 11) o vertù (Rime XCI 9) della creatura: nam, quamvis natura dicatur de materia et forma, per prius tamen dicitur de forma (Mn III XIV 2; cfr. XIV 30). Avicenna, sviluppando la definizione aristotelica, distinse una n. elementale (" principium movendi uno modo et non sponte "), una n. vegetale (" principium movendi diversis modis et non sponte "), una n. animale (" principium movendi diversis modis et sponte "), e una n. angelica (" principium movendi uno modo et sponte "). Anche D. parla di gradi generali (Cv III VII 6) o n., ma ne conta cinque: la n. elementale o prima, la natura seconda, del corpo misto (III 6), la natura terza, cioè de le piante (§ 9, due volte), la natura quarta, de li animali, cioè sensitiva (§ 10), la quinta e ultima natura, cioè vera umana o, meglio dicendo, angelica, cioè razionale (§ 11; questa natura si chiama mente, § 12; cfr. III VII 6, VIII 6, XIII 5, seconda occorrenza).
N. come principio del divenire. - Così concepita la n. si configura come un tutto ordinato non solo nella costruzione gerarchica degli esseri ma anche nell'insieme delle sue manifestazioni. In tal senso il termine indica anzitutto il " complesso del creato " (Pd X 28, XXVII 106 la natura del mondo, che vale il latino " rerum natura ", Cv IV XXII 11), oppure una forza quasi personificata (If XXXI 49, Pg VII 79, Cv III VIII 19 l'impeto de la natura, IV IX 12 volontà de la natura) con le qualificazioni della potenza generatrice e materna (in Pg XXIX 137 la natura fece dono di Ippocrate ai mortali, e in Cv IV VI 15 provvide Aristotele di ingegno quasi divino; v. anche III V 7). Nello svolgersi dei suoi processi la n. opera infatti come un principio d'ordine generale, entro il quale ogni evento naturale ‛ diviene ' e si compie secondo una graduale esplicazione dalla potenza all'atto o perfezione.
Ciò spiega l'affermazione di Pd VIII 143 E se 'l mondo la giù ponesse mente / al fondamento che natura pone, seguendo lui, avria bona la gente, dove il fondamento, cioè l'insieme delle inclinazioni innate (è il caso della n. umana), contiene già - anche se in potenza - la norma del suo proprio sviluppo. Perciò assecondare e seguire tale sviluppo significa a un tempo rispettare l'ordine naturale e conseguire il suo fine che, in quanto in Dio e venuto da lui, è di per sé il Bene.
A ciò va ricondotto il discorso sulla buona natura umana, cioè quello stato naturale di perfezione dell'essenza dell'uomo che partendo dal naturale appetito al bene che de la divina grazia surge in noi e che è simile a quello che pur da natura nudamente viene (Cv IV XXII 5), induce per gradi alla beatitudine terrena o perfetta attuazione della n. umana.
Questa via alla perfezione D. vede tracciata nell'evolversi ‛ secondo n. ' dell'arco della vita umana, che l'uomo deve seguire consentendo appunto all'ordine naturale. Quest'ordine è presente a D. quando afferma che la nostra buona e diritta natura ragionevolmente procede in noi, sì come vedemo procedere la natura de le piante in quelle (Cv IV XXIV 8), proprio in quanto l'adeguazione a questo sviluppo naturale - come nell'accrescersi delle piante - costituisce la realizzazione di un processo secondo retta ragione (ragionevolmente procede) e pertanto di un'esplicazione secondo il vero bene della nostra ' essenza ' (buona e diritta natura). Di qui nasce la descrizione delle virtù proprie di ogni età, esercitando le quali si attueranno i dettami naturali del bene che ci derivano dalla buona natura (Cv IV XXIV 11, XXVI 9, XXVII 2, dove la buona natura è parafrasi del ciceroniano Senect. X 33 e che denuncia l'ascendente stoicheggiante di tutta la dottrina). Evidente perciò che la nobiltà umana s'identifica con l'esplicazione perfetta della buona n. dell'uomo, e in tal senso D. identifica nobile anima con nobile natura (Cv IV XXV 13, due volte; cfr. III III 12, IV XXV 1 e 3 [due volte], 11 e 13, XXVI 2 e 3, XXVII 1 e 20). Per la connessione nobiltà-perfezione di n., vedi Cv IV XVI 7-8 (4 volte); e in genere tutto il capitolo.
La buona natura indica pertanto uno stato di attuazione piena dell'essenza umana e delle virtù ad essa proprie: così pietade e religione sono le buone disposizioni da natura date che rilucono nella nobiltà (Cv IV XIX 5); solo l'hormen, cioè la potenza seminata per buona natura (III VII 13) rende atti all'amore per la Donna gentile (Beatrice, in Vn XIX 11 49, è l'incarnazione vivente di quanto de ben po' far natura); solo coloro ne' quali alcuno lumetto di ragione per buona loro natura vive ancora (Cv IV VII 4) possono venir ‛ dirizzati ', cioè corretti verso la verità, appunto in quanto buona natura è esplicazione dell'essenza umana, che è anzitutto ‛ ragione '. Così ancora le mirabili operazioni dei Romani più eccellenti furono possibili in quanto la luce de la divina bontade poté aggiungersi sopra la loro buona natura (IV V 17). Quanto più. la n. è ‛ buona ' tanto più il desiderio, ad essa commisurato, seguirà un fine alto, come nei santi in cui ciascuno aggiugne lo fine del suo desiderio, lo quale desiderio è con la bontà de la natura misurato (III XV 10).
La n. come ‛ principio d'ordine generale ' dispone quindi l'uomo alla perfetta attuazione della sua essenza. Ma ogni disposizione umana che non sia acquisita con l'esercizio (però che la consuetudine non è equabile a la natura, Cv III VIII 18) e ogni disposizione naturale trova comunque fondamento in essa.
Così è la n. che produce nell'uomo la capacità di parlare (Pd XXVI 131), o di sentire (Pg XV 33), o che presiede al manifestarsi di fenomeni che non contraddicano la regola generale del suo ordine (Rime XCV 6, dov'è detto che il nascere del frutto da un albero troncato sarebbe un ‛ contraddire ' la n. che al difetto fa riguardo e pertanto lo impedisce). Se sul piano razionale l'uomo, riconoscendo l'ordine di n., raggiunge per ciò stesso la verità (Cv II I 13 [2 volte], IV VIII 15, e cfr. Pd IV 131), sul piano della convivenza civile da tale ordine deriverà la regola per la formulazione di quelle leggi che rendono in forma esplicita una norma inscritta nella n. (IX 15, e cfr. Mn II VI 3; v. anche LEGGE).
N. Come Essenza O Sostanza. - La n. inoltre, in quanto si precisa e realizza un essere individuo o una specie (a meno che non li indichi in quanto ‛ individui ', ‛ cose create ', dove varrà " sostanza ": Pd I 110, . VIII 100, XIX 49, Cv II VIII 10), s'identifica con la loro " essenza ". Nel caso dell'uomo e di ogni altro essere essa indicherà:
Ciò che lo costituisce in generale e che corrisponde all' ' essenza 'specifica: Vostra natura, quando peccò tota / nel seme suo (Pd VII 85 e Pg XVI 105); la natura de la... cagione (Cv III II 5); natura di nobilitade (IV X 2); sua natura [della carità] (Pd III 78; e XIX 55, con riferimento all'intelletto); Cv III III 6. Più volte ricorre la correlazione di due nature come due ' essenze ' o ‛ sostanze ': If XII 84, XXV 100, Pg XIV 40, XXXI 81, Cv IV I 2, XXII 12. L'espressione natura umana ricorre anche in Cv II IV 10, V 12, VIII 6, III IV 7, XIII 5 e 8, IV V 14 (n. umana e divina), XIV 7, XXI 12, XXVII 7; If XV 81, Pg XXII 39, XXVIII 78, Pd XIII 43 e 86, XXXIII 4. La n. umana si fuse con la n. divina in Cristo: Pd Il 42, VI 14, VII 31, 35, 41 e 45. L'espressione natura angelica ricorre in Cv II V 9, III XV 10, Pd X 117, XXIX 71 e 130; divina natura, in Pd XIII 26.
Ciò che consegue immediatamente a essa come insieme di attributi propri ' (in tal senso indica la specifica condizione naturale e da ciò le espressioni mia natura, nostra natura, vostra natura, nostra propria natura, lor natura): da mia natura / trasmutabil e son (Pd V 98); sua virtù la mia natura [corporea] vinse (XXII 102); Cv IV XXIV 5 (cfr. anche XXVIII 4, Rime LXXXVII 9, Rime dubbie XI 6); le divizie... / vili son da lor natura (Cv IV Le dolci rime 51); natura... passiva [del cielo], Cv II V 18. In Pd II 142 natura lieta indica l'attributo proprio dell'intelligenza motrice. Ugualmente in Rime CIII 4 natura cruda è riferita alla pietra; C 34 animali... gai / di lor natura, cioè disposti " naturalmente " (di natura) all'amore. In Cv IV XIX 6 le nature della nobiltà indicano specificamente i propria, gli ' attributi essenziali ' della nobiltà, secondo un valore analogo a quello di ' naturalitade ' (v.). Analogo il caso di Cv III VIII 8 (cfr. § 1).
In accezione ancor più ristretta indica inoltre la n. del singolo, cioè le qualificazioni che si aggiungono alle determinazioni essenziali date dalla specie. Così in Vn XX 4 5 natura... amorosa (ripreso al § 7) o la nostra natura, cioè le ' caratteristiche tipiche ' delle tre donne di Rime CIV 33, o la virtù della natura diabolica (Pg V 114), o ancora la natura del passionato (Cv III VIII 18), dove l'ambito di significato comprende l'elemento fisico-naturalistico della ‛ complessione ' (valore simile ha al § 20). Allo stesso modo levitade di natura (Cv IV XV 15, dove la locuzione di natura vale " naturale ") indica un'infermità o ‛ difetto ' di n. limitatamente alla condizione fisica dell'intelletto (§ 11). Allo stesso valore vanno ricondotti Pg XXVII 74 natura del monte, e If XVI 17 natura del loco.
In quest'ultima accezione n. vale anche, più genericamente, " inclinazione naturale "; " indole ", " carattere ": così in If 197, Pg VIII 130, Pd VIII 82, Cv I VI 3 (2 volte) e 4 (da confrontare con Rime XC 46), IV IV 10 e VI 11, dove indicherà l'" istinto " insito per n. negli animali.
Altre accezioni. - Da segnalare l'uso correlato di ‛ n. e arte ', dove n. si caratterizza come insieme di capacità di produrre effetti ed eventi irripetibili e inimitabili da parte di qualsiasi ‛ arte ' umana, intesa come insieme di procedimenti tecnici, o artifici tesi alla realizzazione di prodotti ‛ artificiali ' e pertanto inferiori ai prodotti naturali. Un confronto in tal senso tra arti e n. è in Cv IV IX 11 e 12 (2 volte). Ancora la correlazione è in If XI 110, Pd XXVII 91, Pg XXXI 49. La capacità di Dio di operare miracoli oltre la n. è comunque superiore sia alla n. che all'arte (Pd XXIV 101, Pg X 33). In If XXIX 139 Capocchio, in quanto ‛ contraffattore ' delle opere naturali, è di natura buona scimia.
In Cv III V 12 Libro de la Natura de' luoghi e de le proprietadi de li elementi è volgarizzamento del titolo del De Natura locorum di Alberto Magno.
Da notare infine l'espressione ‛ secondo ' o ‛ per n. ', equivalente al latino per o secundum naturam (Cv IV XXIV 6, Rime dubbie XXIX 12).
Per le occorrenze del Fiore sono da vedere XXV 12, XXXIX 10, XL 2, LVIII 7, LXIX 10, LXXXI 9, CXXIII 7, CLVII 10, CCXXXIII 3 e 12, CXCI 6, CCXXIII 8.
Bibl. - Si veda anzitutto La filosofia della n. nel Medioevo, Atti del III Congresso internazionale di filosofia medievale, Milano 1966 (che comprende contributi fondamentali per la nozione di n. nel Medioevo). Inoltre: H. Siebeck, Ueber die Enstebung der Termini natura naturans und natura naturata, in " Archiv für Geschichte der Philosophie " III (1890) 370 ss.; E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896, 154-156; G. Boffitto, Intorno alla Quaestio de aquà et terra attribuita a D., Torino 1903, II 58-61; G. Biagi, La Quaestio de aqua et terra di D.A., Modena 1907; A. Mansion, La notion de nature dans la Physique aristotelicienne, Lovanio 1912; J.W. Beardslee, The use of φύσις in fifth Century Greek Literature, Chicago 1918; W.B. Weazie, The word Φύσις, in " Archiv für Geschichte der Philosophie " XXXIII (1920) 1-22; B. Nardi, Le citazioni dantesche del ‛ Liber de causis ', in " Giornale crit. Filosofia Ital. " v (1924) 193-215 (rist. in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 81-109); R. De Vaux, Notes et textes sur l'avicennisme latin, Parigi 1934, 25; H.A. Lucks, Natura naturans - natura naturata, in " The New Scholasticism " IX (1935) 1-24; M.-D. Chenu, Naturalisme et théologie au XIIe siècle, in " Recherches de sciences religieuses " XXXVII (1950) 5-12; M. Timpanaro Cardini, Φύσις e τέχνη) in Aristotele, in Studi di filosofia greca, Bari 1950, 279-305; A. Nygren, Érôs et Agapé. La notion chrétienne de l'amour et ses transformations, III, Parigi 1952, 149-150; M.-D. Chenu, L'homme et la nature. Perspectives sur la Renaissance du XIIe siècle, in " Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age " XIX (1952) 39-66; T. Gregory, L'idea di n. nella scuola di Chartres, in " Giornale critico della filosofia italiana " XXII (1952) 433-442; M.-D. Chenu, Découverte de la nature et Philosophie de l'homme à l'école de Chartres au XIIe siècle, in " Cahiers d'histoire mondiale " II (1954) 313-325; H.A. Wolfons, The philosophy of Church Fathers, I, Cambridge Mass. 1956, 257-286; B. Narri, Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 88; T. Litt, Les corps célestes dans l'univers de Saint Thomas d'Aquin, Lovanio-Parigi 1963, 157-160, 277; M. Isnardi Parente, Techne, Firenze 1966, 76-208; A. Pellicier, Nature. Étude sémantique et historique du mot latin, Parigi 1966; R. Lenoble, Esquisse d'une histoire de l'idée de nature, ibid. 1969.