Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Cinquecento la raccolta di rarità naturali e artificiali e la loro organizzazione collezionistica appagano l’interesse per la cultura enciclopedica e la propensione alla ricerca dell’aspetto meraviglioso, prezioso e raro del mondo sensibile.
Il collezionismo, inteso come passione che porta a riunire secondo un criterio coerente oggetti diversi, cui venga attribuito dal collezionista uno specifico valore all’interno di una volontà progettuale, riflette in modo tangibile l’ambiente e il tempo in cui si realizza.Galileo Galilei nelle Considerazioni al Tasso, scritte tra il 1595 e il 1609, per far meglio comprendere il suo giudizio su Ludovico Ariosto rispetto a quello sull’autore della Gerusalemme liberata, ricorre a una similitudine che mette a confronto due luoghi destinati a contenere collezioni: il gabinetto di curiosità e la galleria. Leggendo Tasso gli pare di entrare "nello studietto di qualche ometto curioso che si sia dilettato di adornarlo di cose che abbiano, o per antichità o per rarità o per altro, del pellegrino, ma che però sieno in effetto coselline, avendovi, come saria a dire, un granchio pietrificato, un camaleonte secco, una mosca e un ragno in gelatine in un pezzo d’ambra, alcuni di quei fantoccini di terra che dicono di trovarsi ne i sepolcri antichi d’Egitto e così in materia di pittura qualche schizzetto di Baccio Bandinelli o del Parmigianino e simili altre cosette. Ma all’incontro, quando entro nel Furioso, veggo aprirsi un guardaroba, una tribuna, una galleria regia, ornata di cento statue antiche de’ più celebri scultori, con infinite storie intere e le migliori di pittori, con un numero grande di vasi, di cristalli, d’agate, di lapislazzari e d’altre gioie, e finalmente ripiena di cose rare, preziose, meravigliose e di tutta eccellenza". Lo studietto citato richiama in tono derogatorio quel luogo in cui si raccolgono cose curiose che destano meraviglia e che dalla metà del Cinquecento si diffonde in Europa, in particolare nel Nord, con il nome di Wunderkammer. Nell’ambiente ristretto evocato da Galilei, il collezionista appare come un dilettante che si compiace più della stranezza che della qualità della sua raccolta, disposta in modo evocativo e non sistematico, con commistione di reperti fossili, oggetti di antiquariato e disegni. A fronte sta l’esemplarità di una collezione coerente e armonica che può essere declinata solo in termini di grande arte, senza assimilazioni di prodigi di natura o di bizzarrie. Le due tipologie collezionistiche, sebbene estremizzate come pretesto per un giudizio letterario, aiutano a capire quanto siano distanti i mondi che rappresentano, proprio perché è uno studioso come Galilei a ironizzare sulla contaminazione arte-scienza del gabinetto di curiosità. Da una parte si ha una visione selettiva e specialistica della cultura con l’uomo al centro di un sistema di parti in equilibrio, dall’altra l’inquietudine per un orizzonte che si è aperto verso l’ignoto e che mette in discussione ogni certezza precedente.
Il collezionista della Wunderkammer reagisce al disagio creando per sé un microcosmo che può circoscrivere e controllare, e all’interno del quale frammenti del macrocosmo possono essere raccolti e catalogati come naturalia o artificialia, cose rare scoperte in natura o sapientemente manufatte, oppure come mirabilia, vale a dire cose insolite, mostruose, magiche, inquietanti. La distinzione non è mai netta, proprio perché ogni pezzo accentua il senso che gli si attribuisce nel contesto della collezione: un bezoar (una pietra proveniente dall’intestino o dal fegato di una capra o di un cervo, usata come medicinale per la prima volta dagli Arabi e dai Persiani), un uovo di struzzo, un nautilo, un dente di narvalo, creduto il corno del mitico unicorno, quando siano incastonati in un lavoro artistico di oreficeria, possono stare tanto in una raccolta di naturalia o di artificialia che di mirabilia, ed essere collocati tanto in una Wunderkammer quanto in una Kunstkammer o in una Schatzkammer. Così piante rare, oggetti di oreficeria, reperti d’interesse etnografico provenienti dal Nuovo Mondo, dall’Asia o dall’Africa, animali mostruosi, fossili, lacerti organici pietrificati, coralli, noci di cocco, minerali figurati, dendriti, pietre paesine e quant’altro possono coesistere, purché curiosi e rari.
Caterina de’ Medici, ad esempio, alla sua morte (1589) lascia un cabinet de curiosités con stipi, cofanetti, anticaglie, cristalli, lacche, coccodrilli impagliati, vetri, conchiglie e coralli.
Curiosità ingegnose molto apprezzate nel Cinquecento sono le anamorfosi, immagini che ne celano altre che diventano riconoscibili solo allorché vengano guardate con certi artifici o di scorcio, o da diversi punti di vista. Composizioni anamorfiche esemplari sono i Vexierbilder (quadri con segreto) di Erhard Schön, allievo di Dürer e incisore a Norimberga; in una di queste opere (stampata nel 1535 ca.) sono disegnate figurine di uomini e di animali su una strada zigzagante in un paesaggio segnato da fitte linee ondulate e tratteggi: se però si guarda il disegno con un angolo di incidenza minimo, abbandonando la visione frontale, si riconoscono i ritratti sovrapposti di Carlo V, Ferdinando I, Paolo III e Francesco I.
A dimostrazione dell’interesse che suscitano le anamorfosi esistono anche testi che riferiscono di tecniche e di artisti particolarmente dotati nel genere, come quello del Vignola Le due regole della prospettiva pratica (1583) o il Magiae naturalis, sive de miraculis rerum naturalium libri IV (1558) di Giovan Battista della Porta che scrive: "C’è una parte della geometria che è chiamata prospettiva, che appartiene agli occhi e che produce diversi meravigliosi risultati [...] ora vi mostrerà l’aspetto esterno di una figura, ora non vi mostrerà più nulla, e in uno strano modo cambierà i suoi effetti compiendo varie immagini". Ancora Giovanni Paolo Lomazzo nel Trattato dell’arte della pittura (1584), facendo espresso riferimento all’ambiente milanese del pittore Giuseppe Arcimboldi, dedica un articolo al "modo di fare la prospettiva inversa che paia vera, essendo veduta per un solo forame".
Le anamorfosi più antiche che si conoscono sono contenute nel Codice atlantico di Leonardo e rappresentano un viso di bimbo e un occhio. Mentre, probabilmente, l’anamorfosi più suggestiva è quella che appare nel quadro Gli ambasciatori (1533) di Hans Holbein: la figura simile a un osso di seppia posta in primo piano rivela, se si sta vicinissimi alla tela guardando obliquamente dall’alto verso sinistra, un teschio.
Il bisogno di dominare la collezione in tutta la sua estensione sovente porta a ridurre l’ambiente che la contiene a un’unica stanza o addirittura a un solo armadio, come l’ Arca rerum fossilium (1562) di Johannes Kenteman. Talvolta sono gli oggetti stessi a essere miniaturizzati, come dimostra il nocciolo di ciliegia della scultrice Properzia de’ Rossi (inizio XVI secolo) che richiede la lente perché se ne possano contare le cento piccole teste incise. La più famosa raccolta di meraviglie è quella di Ambras, nel Tirolo, appartenuta all’arciduca Ferdinando d’Asburgo. Tale raccolta è divisa in tre sezioni: l’armeria, la biblioteca e la grande Kunstkammer, che comprende diciotto armadi colorati in modo diverso con pezzi raggruppati in base alle tecniche di lavorazione e ai materiali impiegati.
Quando le raccolte sono cospicue, come quelle enciclopediche di Francesco I de’ Medici a Firenze o quelle onnicomprensive di Rodolfo II a Praga, s’impone la necessità di ordinare, classificare e compilare inventari, destinati a restare documento della consistenza della collezione prima che essa si alteri o si disperda nel tempo, come è destino di quasi tutte le collezioni.
Per questa funzione ordinatrice viene ricordato fra tutti il consigliere artistico di Alberto V di Baviera, il medico fiammingo Samuel Quiccheberg, autore di un progetto per un museo ideale che diventa ipotesi di lavoro e modello per altri dopo di lui: Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi (1565). Quiccheberg organizza la propria trattazione prevedendo cinque sezioni della collezione: la prima relativa al principe e al suo territorio, la seconda dedicata alle arti decorative nel loro complesso, la terza pertinente ai regni animale, vegetale e minerale, la quarta comprendente un museo tecnico e uno etnologico, e l’ultima riservata alle arti figurative. A tutte le sezioni si aggiungono poi una biblioteca, una stamperia, una fonderia e diversi laboratori.
Un aspetto importante del collezionismo enciclopedico è il ricorso a sostituti figurati delle tessere che mancano alla completezza di un progetto; si tratta di un aspetto rilevante per l’evoluzione dello studio scientifico sistematico e anche per il valore artistico in sé delle rappresentazioni sostitutive. Si apre così la strada, tanto per il disegno naturalistico quanto per la pittura, della mise en abîme della collezione, concentrata tutta in un unico quadro, nella cui finzione chi guarda entra da spettatore.
Quiccheberg ricorda di aver visitato il Museo Aldrovandi a Bologna dove ha potuto ammirare tanto animali veri quanto animali rappresentati in immagini dipinte dal vero, e consiglia a chi non può permettersi un campionario reale di colmarne le assenze con uno virtuale. Nel teatro di natura di Ulisse Aldrovandi, medico e naturalista bolognese, si contano più di 2830 tavole acquerellate, oltre a innumerevoli matrici xilografiche. Aldrovandi, che tra le "arti conservative della memoria" considera preminente lo scrivere sul dipingere, lo scolpire e il fondere, osserva "quanto giovamento alli studiosi apportano le pitture di varii animali, come d’occelli, pesci, ceti, serpenti" e aggiunge: "se gli antichi avessero fatto ritrarre e depingere tutte le cose che hanno descritte, non si troverebbe tanti dubii et errori infiniti appresso i scrittori". Egli chiama pinacoteche gli armadi in cui conserva tutto il suo materiale grafico, di cui fanno parte molte opere del veronese Jacopo Ligozzi. Pittore presso la corte dei Medici al tempo di Francesco I, Ligozzi si dedica con particolare abilità e successo alla rappresentazione di piante e animali con disegni, pastelli e tempere. È noto lo scambio di corrispondenza tra i granduchi di Toscana e Aldrovandi, a cui vengono richiesti insistentemente disegni di specie insolite ed esotiche, soprattutto eseguite dall’"eccellente pittore", di cui è lodata la diligenza, la perfezione e la fedeltà agli originali.
Nel XVI secolo la straordinaria fioritura della magia naturale, dell’astrologia e dell’alchimia si riflette anche nelle collezioni, sia in forma concreta – come dimostrano strumenti, apparecchi, macchine, trattati e prontuari –che in forma allegorica nella simbologia delle decorazioni pittoriche degli ambienti a esse destinate. Il granduca Francesco I de’ Medici dispone la sua raccolta di opere d’arte e di curiosità secondo una complessa simbologia alchemica che prosegue anche nelle pitture delle pareti e della volta, giocata sulle innumerevoli corrispondenze dei quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. Viene così creato un ambiente nel quale è possibile ritrovare l’armonia del mondo, e il ritmo segreto del macrocosmo e del microcosmo, attraverso immagini che rievocano le fasi del pensiero iniziatico secondo Marsilio Ficino, per cui non basta costruire l’archetipo del mondo o soltanto guardarlo, ma occorre interiorizzarlo attraverso la meditazione e la contemplazione della sua immagine dipinta nelle stanze in cui si vive. L’uomo microcosmo deve adeguarsi al macrocosmo con la tecnica delle immagini; riuscirà così a organizzare l’armonia perfetta immedesimandosi nel tutto. Arte e magia s’incontrano.