Vedi NAUKRATIS dell'anno: 1963 - 1995
NAUKRATIS (Ναύκρατις, Naucrătis)
Città greco-egizia situata sul Delta in prossimità del ramo Canopico del Nilo e a breve distanza da quella che fu nei tempi tardi la capitale del regno, Sais. Le fonti antiche ci parlano con solo un'apparente contraddizione di una colonizzazione milesia nel VII sec. a. C. oppure di una solenne fondazione sociale, sotto l'auspicio del filelleno faraone Amasis circa il 570 a. C. Si ritiene ora che la fondazione di Amasis dové consistere in una regolarizzazione definitiva con un vero e proprio statuto di garanzie e di limitazioni ben definite, che venne a sovrapporsi a penetrazioni de facto sempre più frequenti e attive da parte di elementi greci, soldati di ventura e commercianti, ai margini dell'impero faraonico.
La N. di cui Erodoto ci riporta la nascita fu una sorta di fondazione sociale a cui contribuirono città di stirpe ionica, dorica o eolica quali Chio, Teos, Focea, Clazomene, Rodi, Cnido, Alicarnasso, Mileto, Samo, Mitilene, Phaselis ed Egina. Si tratta quindi, ad eccezione di Egina che conta soprattutto come potenza marittima, di città anatoliche e di isole prossime e gravitanti verso la costa dell'Asia Minore. Di conseguenza tali da comporsi in una confederazione anche culturalmente omogenea, in cui soltanto Egina poteva rappresentare un contatto con la Grecia continentale e il Peloponneso.
La città venne riconosciuta nella località di Kōm el-Gaif ed esplorata a partire dal 1884 da W. M. Flinders Petrie e dai suoi continuatori C. C. Gardner e D. G. Hogarth. Come è il caso per altre località egiziane, le rovine avevano avuto lungamente a soffrire per le depredazioni e per il consueto impiego del terreno del kōm ad opera dei coloni del Delta. Di conseguenza quasi nulla N. ha restituito di scultura o di marmi architettonici: mentre la ricchissima messe di frammenti ceramici era stata accantonata come rifiuti dagli Arabi che avevano estratto e valorizzato la terra di riempimento. Sono quindi solo i preziosi frammenti architettonici subito distrutti del tempio di Apollo che ci conservano l'eco di una raffinatissima cultura anche nel campo monumentale. N. è in realtà una città composita in cui le due civiltà, greca ed egizia, appaiono curiosamente affiancate. Ad esempio il grande recinto sacro che W. M. Flinders Petrie aveva identificato per le sue dimensioni eccezionali con il Panhellenion, la fondazione sociale della città, si è rivelato come un tempio faraonico. E ugualmente le deduzioni che potevano trarsi dalla produzione di una fabbrica locale di scarabei in pastiglia, tutti anteriori all'età di Amasis, non hanno valore per fissare le origini della colonia ellenica. Si tratta infatti di dati che si riferiscono unicamente alla città egizia e che possono tutt'al più indicare una certa attenuazione di vita, per questa ultima, una volta entrato in vigore lo statuto di Amasis con le misure protettive per i coloni greci. In definitiva è solo la testimonianza consistente e precisa della ceramica di importazione a stabilire autorevolmente che un nucleo cittadino ellenico ebbe in N. una vita intensa e continuata a partire dalla metà del VII sec. in poi.
N. non ha infatti restituito opere scultoree di qualche importanza, se si escludono una piccola stele tardo-arcaica con un rozzo oplita tracciato a silhouette e alcuni modesti esempî di quella povera e ibrida produzione di figurine in calcare e in alabastro che conferma questo incontro marginale tra il mondo ellenico e le tradizioni orientali. Un'idea più precisa dell'alta qualità degli scultori ionici attivi in Egitto può dare la piccola testa di koùros del museo del Cairo, purtroppo senza provenienza precisa (Arch. Anz., lxvii, 1952, p. 62 ss.) in cui forme di pura tradizione samia appaiono tradotte nel limpido alabastro egizio.
D'altra parte quella particolare funzione di ponte e di zona d'incontro tra le tradizioni artistiche del mondo ellenico e l'Egitto, che è presumibile fosse svolta innanzi tutto da N., non è in alcun modo valutabile alla luce dei ritrovamenti.
Di altro ordine è il panorama offerto dalla ceramica che costituisce il più ampio e splendido messaggio culturale di questo estremo avamposto della grecità. A dare la misura della straordinaria ricchezza e qualità dei depositi di N. basterà ricordare che per decennî la ceramica di Chio era nota quasi unicamente attraverso i materiali di N. e, di conseguenza, era detta naucratica: mentre ugualmente la produzione ceramica clazomenia è nota ancor oggi principalmente da quanto è riemerso da N. e da Daphnai.
Indotti dalla ricchezza di questi materiali così opportunamente affiancati, non pochi studiosi hanno tentato di ripartirli allo scopo di riguadagnare i caratteri dei varî centri di produzione delle città fondatrici. Di conseguenza gli studî sulla ceramica di N. stanno a segnare le Lappe più rivelatrici in questo ordine di ricerche. Anche oggi il campo della ceramica greco-orientale (east-Greek) presenta molte zone oscure e incerte e tale situazione è abbastanza bene riflessa nei materiali di N.; Mileto ad esempio, la più antica metropoli, non appare chiaramente rappresentata. È presumibile che a questa città sia da riferire una sezione di quel vasto e indeterminato "genere" che chiamiamo ancor oggi wild-goat style (stile dei capri selvaggi). Completamente sconosciuta è la parte che potrebbe essere assegnata a Focea, mentre Sparta, che non è tra le città fondatrici, è presente con un cospicuo gruppo di coppe che è presumibile siano state introdotte da Samo o da Cirene. I materiali attici e corinzi si suppongono da Egina che doveva rappresentare un notevole centro di smistamento di queste produzioni. E dato che Egina figura nella più recente "fondazione" di Amasis, questo potrebbe spiegare la completa assenza dimateriali protocorinzi e l'aspetto relativamente recente di gran parte dei vasi corinzî.
Il panorama della produzione ionica è d'altra parte estremamente vivido e variato. Tra i documenti più antichi figurano frammenti subgeometrici rodî, e cospicui prodotti del più antico stile orientalizzante di Chio, una variante del consueto wild-goat style. Né mancano esempî delle subgeometriche coppe a uccelli (bird-bowls), la cui produzione sembra vada estesa e suddivisa in parecchi centri, le senza patria coppe a occhi e le più comuni coppe ioniche a striscioni. A partire dalla fine del VII sec. s'inizia poi il predominio della ceramica chiotica a calice che ha riservato a N. i suoi prodotti più singolari e smaglianti. I delicati e coloratissimi calici accolgono anche complesse e singolari figurazioni mitiche tra cui si sono intese redazioni di miti locali quali l'uccisione dei figli di Egitto ad opera delle Danaidi.
Tra le serie più cospicue sono anche da ricordare quelle dei vasi clazomeni, di Fikellura, attualmente assegnati a Samo, e i buccheri grigi di Lesbo. La ceramica attica è rappresentata da altissimi prodotti a figure nere, tra cui figurano opere del Pittore della Gorgone, di Sophilos, dei più arcaici e raffinati maestri di coppe come i Pittori C e di Heidelberg, i Pittori dei Comasti, di Kleitias, di Amasis e di moltissimi altri. L'assai minore ricchezza della ceramica a figure rosse sembra d'altra parte una conferma a quella decadenza della città che Erodoto ha pure segnalato.
Una produzione che spesso viene riferita a N. è quella dei piccoli vasi in faïence, che spesso denunciano strane mescolanze di stili tra Oriente e Occidente.
N. nel periodo tolemaico è ancora un grande centro culturale e numerosi filosofi e letterati ne sono originarî o vi risiedettero: ultimi in età romana Ateneo e Proclo. Per contrario la produzione artistica della città è praticamente assente e non è dato in alcun modo di misurare se e in qual modo N. abbia cooperato alle grandi rivelazioni artistiche dell'ellenismo alessandrino.
Bibl.: W. M. Flinders Petrie, Naukratis, I, 1886; E. A. Gardner, Nau kratis, II, 1888; D. G. Hogarth, in Ann. Brit. Sch. Ath., V, 1888-1889 p. 26 ss.; D. Mallet, Mém. Miss. Franç. au Caire, XII, 1893, p. 145 ss.; D. G. Hogarth, in Journ. Hell. St., XXV, 1905, p. 105; H. Prinz, Funde aus Naukratis, Lipsia 1908. Ceramica di N.: E. R. Price, in Journ. Hell. St., XLIV, 1924, p. 180 ss.; E. H. Wedeking, Vasenornamentik, Atene 1934, p. 38 ss.; J. D. Beazley-H. Payne, in Journ. Hell. St., XLIX, 1929, p. 253 ss.; R. M. Cook, ibid,. LXVI, 1946, p. 94 ss.; id., in Ann. Brit. Sch. Ath., XLIV, 1949, p. 145 ss., e XLVII, 1952, p. 159; J. Boardman, ibid., LI, 1955, p. i ss.; W. v. Bissing, in Bull. Soc. Aléx., XXXIX, 1950, p. 33 ss; Fr. Brommer, in Bull. Soc.Aléx., X, 1936, p. 287; E. Gjerstad, in Acta Archaeologica, XXX, 1959, p. 147 ss.